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di Angelo Ruggeri
…(…) La costituzione italiana rappresenta un’anomalia che occorre eliminare, per collocare l’Italia nella piena “normalità” della nuova fase capitalistica mondiale. Quest’ultima richiede, come si è detto, il superamento di ogni barriera di protezione nazionale[1], l’abolizione del capitalismo di stato nazionale – che si basa su una più o meno estesa area di economia sotto controllo totale o prevalente dello stato – in modo che ogni impresa possa essere a disposizione del capitale transnazionale, senza i vincoli posti dagli stati.
L’Europa non è nata, come ci scrivono nei libri di belle favole, dall’impulso dei popoli europei ad unirsi dopo una quasi millenaria storia di guerre intestine, ma è nata sotto il segno del capitale, è stata costruita in funzione dei bisogni di espansione capitalistica, da una borghesia sovranazionale che possiamo chiamare “europeista”. La costruzione della UE richiedeva l’armonizzazione delle legislazioni nazionali con quella europeista, la conformazione di tutti i paesi aderenti al modello suggellato dal trattato di Maastricht del 1991, che è stato imposto ai nuovi entrati nella UE (maggio 2004, gennaio 2007), 10 dei quali erano stati per oltre un quarantennio repubbliche socialiste sovietiche nell’URSS (le repubbliche baltiche) o “democrazie popolari”, anche con la stesura di nuove costituzioni scritte dopo il 1990-91 – con l’apporto determinante di “consiglieri” ed “esperti” inviati da Bruxelles – secondo i dettami della UE, al di là di qualche concessione alle tradizioni e alla storia peculiare di quei paesi. Se vogliamo capire qual è il tipo di costituzione ideale per la UE, basterà guardare queste nuove costituzioni dei paesi ex socialisti ammessi nel club europeo. Dal punto di vista sociale, sono costituzioni proprietarie, santificanti la proprietà privata e la libera impresa.
In alcuni casi, si tratta anche di costituzioni antinazionali, che devolvono al capitale transnazionale la direzione e gestione della propria economia. Il lavoro e i lavoratori in esse sono del tutto assenti. Dal punto di vista della forma di governo, esse sono sostanzialmente presidenzialistiche o semipresidenzialistiche, i poteri dei parlamenti sono ridimensionati rispetto a quelli del “premier” o del presidente della repubblica. I sistemi elettorali sono maggioritari, o con forti sbarramenti. Non si prevedono, in prospettiva, forme di partecipazione effettivamente democratica alle decisioni politiche.
L’Italia è dunque un’anomalia che la classe capitalistica europeista chiede di sanare al più presto. È una costituzione stonata nel coro neoliberista europeo. Del resto, approvando, sia il trattato di Maastricht, che la moneta unica e la legislazione europea, il parlamento italiano ha già ceduto, in contrasto con la Costituzione, un bel pezzo di sovranità ai poteri “forti” della borghesia europeista. Sono cambiate, sostanzialmente, le funzioni della Banca d’Italia, che ha svolto, nella storia dell’economia italiana, un ruolo importante non solo di controllo, ma di organizzazione e promozione dell’economia: oggi è una diramazione periferica della BCE e dipende dalle decisioni di quest’ultima. La presenza dello Stato nazionale, in economia, è annullata e lo Stato non può intervenire a salvaguardia delle imprese nazionali.
La lotta di classe intorno alla Costituzione italiana e le “riforme costituzionali”
(…)…Diversamente da quanto è stato continuamente detto dai fautori dell’“ammodernamento” della Costituzione, presentato come un’esigenza tecnica di adeguare alcune norme ai nuovi tempi, le costituzioni non sono un fatto meramente tecnico, rispecchiano i rapporti tra le classi, possono avere un segno progressivo o regressivo. Nessun mutamento è neutro, indifferente al contesto sociale e alla lotta di classe. Il terreno costituzionale, come campo della lotta di classe, è stato spesso trascurato dalla cultura marxista e la lotta sulla e per la costituzione è stata isolata dal contesto socio-politico complessivo. Il che ha delegato e consegnato, il più delle volte, la difesa della costituzione al solo costituzionalismo progressista, precludendo la possibilità di un’analisi marxista dei rapporti sociali e delle forze in campo che hanno operato e operano per la modifica o lo stravolgimento della Costituzione. Quando e perché si comincia a parlare di riforme della Costituzione? Qual è il contesto internazionale in cui si collocano i mutamenti rilevanti del testo costituzionale? Se ci poniamo queste questioni usciamo dal tecnicismo costituzionale, il che non significa evitare di entrare nel merito anche tecnico di ogni singola questione.
La controffensiva reazionaria al decennio di lotte 1967-1977
(…) Il periodo di maggiore vitalità della costituzione repubblicana è quello della grande stagione di lotte tra la metà degli anni 1960 e 1970, tra il ’68, preceduto dalle lotte operaie contro le “gabbie salariali” e il 1977, l’anno della svolta sindacale dell’EUR all’interno della politica del compromesso storico. Il decennio di lotte sociali e politiche, che, nonostante errori strategici e tattici commessi dai protagonisti di allora, aveva consentito effettivi avanzamenti per il proletariato: è del 1970 lo statuto dei lavoratori. Questo periodo si chiudeva, però, con una progressiva messa all’angolo delle forze operaie e con l’avvio della controffensiva capitalistica generalizzata a livello internazionale con il “neoliberismo” di Reagan e Thatcher e nazionale, mentre rimaneva, dopo la breve parentesi dell’appoggio esterno del Pci al governo durante la crisi del rapimento e delitto Moro, la conventio ad excludendum verso il Pci.
Questa controffensiva partiva da lontano. “Le premesse dell’attacco organico alla Seconda Parte della Costituzione sono rintracciabili nella famosa, ma obliata, riunione della Commissione Trilaterale del 1975. Per i soci della Trilaterale la crescita della democrazia sociale tra gli anni 67-75, traducendosi in un pluralismo politico e sociale da loro chiamato frantumazione e una conseguente capacità di insorgenza e mobilitazione sociale e politica, era divenuta tale da aver raggiunto il massimo di democrazia compatibile con il sistema capitalistico. Per la sua difesa, diventa ora prioritaria l’ideologia della “governabilità”[2]. La traduzione italiana delle indicazioni della Trilateral è costituita dal Piano della Loggia massonica P.2, il cosiddetto Piano di rinascita democratica, fatto scoprire a bella posta nel giugno 1981 all’aeroporto di Fiumicino, in un doppiofondo di facilissima individuazione dalla figlia di Licio Gelli. Data di stesura del testo è inizio 1976. Il Piano P.2 è molto attento nel limitare, per il momento, l’intervento istituzionale a semplici “ritocchi”, riguardanti le norme operative della costituzione vigente [II parte], tali da salvaguardare, a parole, l’armonia dei princìpî del disegno originario [I parte]. È di particolare interesse, e siamo all’attualità, l’osservazione che la caratteristica di fondo di questa seconda fase consiste nella formazione di due poli, entrambi moderati, liberal-conservatore l’uno e social-laburista l’altro, capaci di sostituire il dissolto sistema partitico, la cosiddetta “partitocrazia”, senza alcuna conflittualità di classe e senza alcuna ideologia, per venire incontro all’opinione pubblica[3]. Il piano Gellidisegna un sistema politico borghese affatto estraneo all’idea di democrazia conflittuale pensata dai costituenti: riduzione dei poteri del parlamento, presidenzialismo, bonapartismo, legame diretto tra il capo e le masse (del resto, Forza Italia e la Lega si muovono sul modello del capo carismatico); limitazione del diritto di sciopero, criminalizzazione della conflittualità sociale. Sul piano ideologico, ma con forte valore politico, vi è la rottura con l’Atto di nascita della Costituzione: la “Resistenza”.
(…)A completare il quadro della profonda involuzione che il paese subisce sul piano istituzionale e sociale, viene il protocollo d’intesa sul costo del lavoro, politica dei redditi, concertazione siglato il 3 luglio 1993 da Governo, Confindustria e sindacati confederali Cgil, Cisl, Uil, che abroga gli ultimi residui di parziale difesa dei salari col meccanismo della “scala mobile”, persino nella versione rimaneggiata dopo l’attacco craxiano del 1984. Dopo la svolta dell’EUR del 1977, che aveva portato il maggior sindacato italiano a farsi carico delle compatibilità economiche capitalistiche (la “politica dei sacrifici”), il XII Congresso della Cgil (cfr. il suo Programma fondamentale) fa un’ulteriore pesantissima concessione agli interessi del capitale. Il programma contiene “espliciti progetti di sovvertimento del sistema politico e costituzionale italiano, col superamento di una democrazia che si organizzi attraverso partiti-società e la centralità del parlamento […] I vertici sindacali, in modo del tutto similare alla Lega e al Pds, condividono appieno il sovvertimento in atto del sistema democratico-costituzionale, convinti che il passaggio ad una Seconda Repubblica, tutta governativa, vada perseguito sostituendo corporativisticamente il sindacato ai partiti nel governo del paese, così come viene esplicitamente configurato nell’accordo del 3 luglio”[4].
Il 3 agosto 1993 il parlamento approva la nuova legge maggioritaria. È un sistema ibrido, in base al quale si applica il maggioritario a turno unico per 2/3 dei seggi, 472 alla camera e 238 al senato, mentre i restanti 158 e 77 vengono assegnati col proporzionale. Viene così abbandonata l’autonomia del parlamento dal governo, come portato di un pluralismo imperniato sul sistema elettorale proporzionale, che prima del 1993 risultava applicato a tutti i tipi di elezioni, escluse quelle riguardanti i piccoli comuni.
Il 6 agosto 1993 la legge costituzionale n. 1 istituisce la Commissione parlamentare per le riforme istituzionali, prevedendo, unicamente per i progetti di legge della XI legislatura, un diverso procedimento di revisione costituzionale che comporta, fra l’altro, la obbligatoria sottoposizione a referendum dei progetti approvati dalla Commissione…
Italia, unico paese dell’Occidente attraversato da un terremoto politico
[…]
Lo scontro tra i due “poli”
(…) La grande borghesia italiana è nata sotto protezione statale e dallo stato continua a pretendere facilitazioni e sovvenzioni. Essa si preoccupa della spesa pubblica solo perché vuole mangiare la maggior parte possibile delle entrate statali: oltre al plusvalore estorto al lavoratore nel processo lavorativo,vuole appropriarsi, attraverso la leva dello Stato, anche di quote crescenti del salario indiretto (risorse destinate a servizi sociali, sanità, scuola, attraverso cui si forma o si mantiene in forma la forza-lavoro) e del salario differito (trattamento di fine rapporto, pensioni) dei lavoratori. Unite nelle politiche antioperaie, le due frazioni della borghesia italiana si dividono e competono sulla spartizione del bottino statale. L’alternarsi alla direzione di Confindustria, la maggiore associazione degli industriali, vero e proprio forgiatore della coscienza di classe capitalista, del “berlusconiano” D’Amato e del criptoprodiano Montezemolo, può essere letto come indizio significativo di uno scontro interno tra frazioni della stessa classe. E, a livello internazionale, i due poli possono ben rappresentare, naturalmente con tutte le sfumature del caso, le rispettive frazioni nazionali dei due blocchi imperialistici di USA e UE.
(…) La presenza di una percentuale di proporzionale non va bene ai fautori del maggioritario assoluto. Ed ecco l’infaticabile Segni, supportato dal gruppo dirigente DS (compresi quanti, come Folena, Salvi e Mussi[5], lasceranno negli anni successivi il partito da posizioni di “sinistra”) all’opera per cancellare la quota proporzionale nell’elezione alla camera dei deputati. In quell’occasione, l’allora segretario dei DS Veltroni dichiara:
Siamo nati con l’idea di creare in questo paese un sistema democratico di tipo europeo, una democrazia dell’alternanza, un sistema bipolare dentro il quale vi fosse identità dei partiti e unità delle coalizioni […] questo partito della sinistra […] oggi è al governo grazie alla rottura del vecchio sistema degli anni Ottanta e al primo affermarsi di una via maggioritaria e dell’alternanza […] La democrazia dell’alternanza è il punto strategico decisivo, perché i governi li fanno con il loro voto i cittadini. Col sistema proporzionale i governi li fanno, come negli anni Ottanta, le riunioni tra i segretari di partito, i quali di volta in volta decidono[6].
(…) A fine legislatura, nel 2001, il centro-sinistra approva il nuovo Titolo V con soli 4 voti di scarto, varando uno pseudo-federalismo che ha dato ruolo preferenziale alle imprese anche nelle funzioni pubbliche e di stato sociale e non solo per la produzione di beni, anticamera per introdurre il modello nord-americano, con la Camera degli stati o delle regioni[7]. Il centrosinistra, per dimostrare l’esistenza di un largo sostegno ai contenuti della riforma, malgrado l’esiguità del voto, chiede il referendum previsto dal secondo comma dell’art. 138 della Costituzione. Vengono stabiliti così due precedenti pericolosi: a) l’approvazione di una legge costituzionale a colpi di maggioranza; b), la trasformazione del referendumex art. 138 da oppositivo a confermativo-plebiscitario.
Il 7 ottobre 2001 al referendum confermativo di modifiche al Titolo V della Costituzione, sul 34% di votanti il sì sostenuto da tutto il centro-sinistra, compreso il Pdci, con l’opposizione del Prc, ottiene 10.348.419 voti (64,2%), mentre il No 5.819.187 (35.8%).
Il governo Berlusconi trova dunque la strada spianata per riscrivere la Costituzione. Ma, nonostante l’acerba contesa verbale e ideologica sul davanti della scena, entrambi gli schieramenti si muovono verso obiettivi sostanzialmente simili. Si veda in proposito la “Bozza Amato”, Principi e proposte per la riforma della Costituzione in tema di forma di Governo, Senato della Repubblica, garanzie democratiche, approvata il 10 dicembre 2003 dal coordinamento dei segretari dei partiti del centrosinistra. E si veda anche il programma elettorale dell’Unione (febbraio 2006).
L’infinita “transizione” costituzionale italiana: alla ricerca del “bipolarismo maggioritario”.
Fermato il 26 giugno 2006 il disegno di revisione costituzionale di Berlusconi con una buona partecipazione referendaria, riparte l’offensiva anticostituzionale…
Il 24 aprile 2007 inizia la campagna di raccolta di firme per un nuovo referendum elettorale che si propone di consegnare il premio di maggioranza, sia alla Camera che al Senato, alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi, e di innalzare le soglie di sbarramento, per cui, per ottenere rappresentanza parlamentare, le liste debbono comunque raggiungere un consenso del 4% alla Camera e 8% al Senato.
Secondo i promotori, il sistema elettorale risultante dal referendum spingerà gli attuali soggetti politici a perseguire, sin dalla fase pre-elettorale, la costruzione di un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche e incentivando la riaggregazione nel sistema partitico. Si potrà aprire, per l’Italia, una prospettiva tendenzialmente bipartitica. La frammentazione si ridurrà drasticamente. Non essendoci più le coalizioni scomparirà l’attuale schizofrenia tra identità collettiva della coalizione e identità dei singoli partiti nella coalizione. […] Sulla scheda apparirà un solo simbolo, un solo nome ed una sola lista per ciascuna aggregazione che si candidi ad ottenere il premio di maggioranza. Le componenti politiche di ciascuna lista non potranno rivendicare un proprio diritto all’autonomia perché, di fronte agli elettori, si sono presentate come schieramento unico, una cosa sola. […]
L’eliminazione di composite e rissose coalizioni imporrà al sistema politico una sterzata esattamente opposta all’attuale. Piuttosto che l’inarrestabile frammentazione in liste e listine, minacce di scissioni e continue trattative tra i partiti, il nuovo sistema imporrà una notevole semplificazione[8].
Tra i promotori del referendum troviamo un ampio schieramento trasversale: oltre al solito Segni, campione della strategia referendaria che ha stravolto a partire dagli anni 1990 la Costituzione Repubblicana, esponenti di AN come Alemanno e Adriana Poli Bortone, i radicali Calderisi e Capezzone, la forzista Stefania Prestigiacomo, accanto ad esponenti del partito democratico in costruzione (Ds e Margherita), quali Bassolino, la Melandri, Claudia Mancina, Cacciari, il ministro della difesa Arturo Parisi e giuristi di area Ds come Augusto Barbera, Stefano Ceccanti, Gianfranco Pasquino, uniti nell’obiettivo, dichiarato in centinaia di proclami e interviste, di dare finalmente all’Italia un nuovo sistema elettorale, funzionale ad un sistema “maggioritario bipolare maturo”, onde completare quella lunga e incerta fase della “transizione italiana” apertasi con la grave crisi politica dei primi anni 90, quando, in coincidenza non casuale con la fine del socialismo reale, scomparvero dalla scena politica i principali partiti intorno a cui, per oltre un quarantennio, aveva gravitato la storia della Repubblica, definita pertanto “prima” rispetto alla “seconda”, che si faceva strada sulle sue ceneri. L’obiettivo dei referendari, come scrive Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato Promotore, è quello di “consolidare la democrazia competitiva dell’alternanza e orientare il bipolarismo claudicante verso un orizzonte bipartitico”[9].
(…) Il gruppo dirigente diessino a partire dai primi anni 90 si è schierato esplicitamente e nettamente contro il sistema elettorale proporzionale, per il maggioritario e il bipolarismo , compiendo un netto rovesciamento rispetto alle posizioni che il Pci aveva sostenuto sino ai primi anni 80, muovendosi sempre più consapevolmente e decisamente contro l’impianto della costituzione repubblicana del 1948, che si incardinava sul pluralismo politico dei partiti e la centralità del parlamento per realizzare una democrazia sociale. L’abiura del marxismo e del comunismo ha significato per il gruppo dirigente DS anche l’abiura dei principi democratici costituzionali.
Tutto l’asse del discorso ruota intorno ad una questione essenziale: la stabilità e governabilità del paese. In nome della governabilità occorre avere maggioranze parlamentari ampie, stabili e sicure. Per questo è necessario superare l’eccessiva “frammentazione” del sistema politico italiano, dunque, guerra al proporzionale, che ha il torto di ispirarsi al principio democratico “una testa un voto” su cui insorse la borghesia del terzo stato contro i privilegi feudali agli stati generali francesi del 1789, e passaggio al maggioritario. Semplificazione della complessità, riduzione dello scontro politico ad un sistema binario in cui si confrontano due poli, o, nel caso più spinto, sul modello americano, due partiti: bipartitismo. Maggioritario e bipolarismo per la governabilità, sembra essere questa la formula magica che unisce oggi uno schieramento molto vasto, dalla destra di AN ai DS. Le divergenze nascono sul modo migliore di realizzare il modello ideale sul quale ben pochi sembrano oggi nutrire dubbi anche a sinistra, dove appare introiettata l’ideologia del bipolarismo. Ideologia “facile”, che incontra anche i favori del senso comune, che, come opportunamente annotava Gramsci, citando Manzoni, non coincide col buon senso ed è intriso dei pregiudizi e dell’ideologia dei dominanti…
Note
[1] È così che il nazionalismo viene demonizzato, operando volutamente una confusione tra il nazionalismo imperialista, che animò l’espansionismo coloniale tra il XIX e il XX secolo, nonché i fascismi del ‘900 in Italia, Germania, Giappone, e il nazionalismo a difesa dell’indipendenza e sovranità nazionale, come è, ad esempio, quello palestinese, irlandese o serbo nella storia del ‘900.
[2] Cfr. Angelo Ruggeri, “La strategia delle riforme istituzionali – Dal rapporto della Commissione Trilaterale alla riforma costituzionale del centrodestra”, in Indipendenza, giugno 2006 (http://www.rivistaindipendenza.org). La Commissione Trilaterale (www.trilateral.org) è un’organizzazione fondata nel 1973 per iniziativa dell’influente oligarca USA David Rockefeller, ex presidente della Chase Manhattan Bank. All’atto della fondazione, il direttore operativo era Zbigniew Brzezinski.
[3] Cfr. Il piano P2, in www.contraddizione.it.
[4] Cfr. Angelo Ruggeri, in La contraddizione, Roma, settembre-ottobre 1993, n. 38.
[5] Cfr. l’Appello per il SI al referendum. I firmatari “rilevano che un ampio successo del Sì nel referendum elettorale del 18 aprile è condizione indispensabile per il rilancio delle riforme istituzionali, per il rafforzamento del bipolarismo e della democrazia maggioritaria” (www.democraticidisinistra.it). Corsivi miei, A.C.
[6] Cfr. Aldo Varano, intervista a Walter Veltroni, l’Unità, 15 aprile 1999.
[7] Cfr. Angelo Ruggeri, “Si scrive federalismo si legge privatizzazioni”, in Prealpina, 5 ottobre 2001.
[8] Cfr. http://www.referendumelettorale.org/index.html. Corsivi miei, AC.
[9] Cfr. “Vero bipolarismo o alchimie neocentriste. La scelta da compiere è quasi costituente”, Il Riformista, 19 dicembre 2006. Corsivo mio, AC.