Lettera su proporzionale puro e iniziative

 

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di Angelo Ruggeri

Diversamente da quanto è stato continuamente detto dai fautori dell’”ammodernamento” della Costituzione e del sistema politico ed elettorale della Costituzione, presentato come un’esigenza tecnica di adeguare alcune norme ai nuovi tempi, le costituzioni e i sistemi elettorali non sono un fatto meramente tecnico, rispecchiano i rapporti tra le classi, possono avere un segno progressivo o regressivo.


Cari tutti. mi permetto di inviare il nostro “scambio” di vedute anche a Giorgio Cremaschi, che è cresciuto nella Fgci, e mi chiedo: “negli stessi anni in cui ero alla Fgci nazionale?”, e poi nel PCI; a Tiziano Rinaldini, cresciuto nella Fgci precedente a me e poi nella Fiom e nel PCI e a Mario Agostinelli, che iniziò con T. Rinaldini nella Fiom e nel PCI di Varese e ad altri. Questo perchè, anche al di là di ogni eventuale diversità su qualunque altra cosa, secondo me, nella misura in cui lo volessero e fossero d’accordo, avendo per altro aderito all’appello e quindi condividendo l’obiettivo di ristabilire non “UN” proporzionale ma “IL” proporzionale “puro” o integrale, dovrebbero essere “punte di lancia” delle iniziative e delle lotte per tale scopo. Credo, anzi, che “punta di lancia” di ciò, e al di là di ogni diversità di posizioni su altre questioni, potrebbero ed anzi “dovrebbero” diventare ed esserlo tutti i gruppi, movimenti, reti, coordinamenti, ricostruttori di “partiti” e, specialmente, coloro che paventano, invitano, si richiamano al rilancio delle lotte sociali e che vogliono ristabilire la democrazia sociale in Italia. L’Italia, non a caso e grazie alla sua Costituzione e al proporzionale, è stato riconosciuto come il Paese di maggiore “democrazia avanzata” dell’Occidente. Tutto ciò al punto tale da essere preso ad esempio, da parte della Trilateral (o internazionale capitalistica) di Rockefeller, Agnelli, Huntington, Monti ecc., come il “caso italia” di “democrazia avanzata” contro cui e per cui, impostare la strategia di riduzione della democrazia che intralciava sia la stabilità che la governabilità capitalistica dell’Occidente, strategia di cui oggi, vediamo una fase, quella che da allora ha rilanciato e avviato il comando dall’alto, come in tanti altri momenti della storia precedente. Questo, penso io, cari Agostinelli,Cremaschi, Rinaldini e, più certamente, altri con le stesse caratteristiche, che si muovono dal sindacato e dai movimenti, dai centri di iniziativa territoriale sia sociali che politici (tra cui includo ad esempio Walter Montella a Milano e Andrea Montella a Pisa), per ristabilire, col proporzionale integrale, sia la capacità della lotta sociale e di classe di incidere anche a livello istituzionale, sia di ristabilire la dialettica propria del proporzionale. Vale a dire una dialettica sociale, prima che politica, che il proporzionalepuro ha garantito da sempre, come è stato dalla fondazione della democrazia fino agli anni ’60-’70 e parte degli ’80, quando, con tale dialettica, era stato avviato e si portava avanti con la lotta, il processo di democratizzazione della società, dello Stato e dell’impresa, le due grandi strutture del potere gerarchico dall’alto. Strutture in cui la Costituzione è rimasta negletta, respinta ed, anzi, proprio partendo da queste e con le stesse è stata persino combattuta, sino ad informare e a conformare (sancendolo con l’abolizione del sistema proporzionale) la società, lo Stato e i partiti (e i sindacati) alle loro strutture e forme di potere autoritario e gerarchico. In questo la centralità dell’impresa e le sue forme di potere e di rapporti sociali e di produzione sono diventate l’Alfa e l’Omega di tutto e di tutti, sia della politica, della cultura, della società e, via via, anche delle famiglie e dei singoli, individui costretti tutti, volenti o nolenti, a partecipare al processo di accumulazione capitalistica (che doveva e dovrebbe essere al centro della battaglia politica, perché esso guida il criterio delle inique politiche di tutti i governi sul terreno della ridistribuzione iniqua di rendite e profitti a scapito di salari e pensioni) con l’estensione progressiva del risparmio forzoso sia collettivo che individuale. Tutti forzati, appunto, fin dagli anni ’90 e in modo progressivo a ricorrere all’intermediazione capitalistica bancaria con fondi pensioni o di quiescenza aziendali, ecc. o polizze assicurative e fondi individuali di vario tipo. Quindi, non già da oggi, come sembra “aver scoperto” più per polemica fine a se stessa che per denuncia di una strategia e per un’analisi di classe, la Camusso, quando dice (ma va là?) che nel provvedimento sulle pensioni della Fornero c’è una norma che favorisce e spinge a ricorrere alle assicurazioni private: COME SE I FONDI PENSIONE NON FORNISSERO GIA’ DA OLTRE 20 ANNI OLTRE IL 60% DEI CAPITALI CHE CIRCOLANO NELLA BORSA DI LONDRA CHE E’ LA CAPITALE DEL CAPITALE. L’organo di stampa della City e del capitalismo mondiale, l’Economist, ieri l’altro, ha dato i numeri a proposito del 2012, confermando quel che è storicamente scontato e che abbiamo continuato a dire e a ripetere fin dall’inizio della guerra di Libia, in particolare negli scritti dedicati ad Aden Arabia: … che la guerra è il volano principale del sistema di accumulazione capitalistico (ma va là?), sia attraverso il rilancio della produzione e vendita delle armi del kombinat industriale-militare, da qui anche il NUOVO SCANDALO LOCKHEED, dopo quello degli anni ’70 di Tanassi difeso da Moro, per l’acquisto, da parte del nostro governo, di aerei il cui costo supera il valore stesso delle ultime manovre di bilancio (sic); sia attraverso le commesse per la ricostruzione sulle macerie e sui morti (di cui certo al capitalismo industriale-bancario europeo nulla importa) affidate alle compagnie dei Paesi protagonisti della guerra interimperialista e delle distruzioni di tutto ciò per cui, in questi stessi Paesi saranno, in seguito, pagati per la ricostruzione: si che, nel 2012, LA LIBIA CON IL 25% DI CRESCITA DEL PIL SARA’ IL PAESE CHE CRESCERA’ MAGGIORMENTE NEL MONDO, come prevede l’Economist del Paese dell’imperialismo del capitalismo finanziario che con quello francese è stato protagonista delle distruzioni e dei massacri di Libia. La Borsa della Capitale del capitale, cioè di Londra, è quella a cui tutti i capitalismi finanziari nazionali (vale a dire capitale industriale- bancario) hanno teso e tendono ad adeguarsi confacendosi nolenti, ma soprattutto volenti, alle sue pressioni e dettami. L’abolizione della dialettica sociale, oltre che politica, tramite l’abolizione del proporzionale, non per caso è avvenuto, proprio nel 1993, cioè in coincidenza con la pressione esercitata dal mondo finanziario anglosassone, dall’Europa e dagli Stati Uniti, affinché avvenisse una svolta di crescita liberista fondata sull’abbattimento del debito pubblico. Tutto ciò

  • nel decennio in cui la “sinistra” si è ricomposta unitariamente dal punto di vista intellettuale e culturale rispetto al mercato;
  • nel decennio dello scandalo di tangentopoli, che, emerso a livello del sistema d’impresa, è stato ristretto al “sistema politico” per celare l’attacco mirato alla “democrazia” come regime della libera dialettica sociale e politica garantita dal proprozionale;
  • nel decennio circa in cui la “sinistra” nelle sue varie articolazioni ha governato il Paese.

Sinistra” che ha governato il paese rompendo gli indugi e seguendo, decisamente, il corso della globalizzazione del capitalismo (tocca ripeterlo) cosiddetto incivilito della Common Law:con la creazione delle istituzioni di un’economia di mercato quali l’Italia non aveva sino ad allora mai posseduto; con lo smantellamento delle PPSS (rilanciare le PPSS con piani socialmente e democraticamente determinati dovrebbe essere il primo punto e obiettivo strategico del rilancio di un’economia che non voglia essere esclusivamente dominata da imprese e banche private) e lo smantellamento del diritto pubblico dell’economia a favore del diritto economico privato, con cui e per cui il mercato ha cominciato ad assumere il volto dell’istituzionalizzazione sollecitando e accompagnando l’abbattimento sia del proporzionale che delle “riforme istituzionali”. Questo è stato riconosciuto come titolo di merito della sinistra anche ed in primis sui giornali della confindustria e dai suoi storici del capitalismo che hanno scritto che: uomini come Carlo Azeglio Ciampi (indicato per primo anche perchè ha cancellato il proporzionale col c.d. “mattarellum”), Romano Prodi, N. Andreatta, G. Amato, V. Visco, Pierluigi Bersani, Enrico Lettasaranno ricordati come i costruttori delle regole di mercato in un’Italia che così è stata profondamente trasformata (Giulio Sapelli, storico del capitalismo e della confindustria, sul Sole 24 ore). È importante cercare di non “arenare la questione del proporzionale in un asfittico pianeta istituzionale, separato dall’analisi politico-sociale, dei partiti e dei sindacati e di cosa è stato e di cosa oggi avviene”. In coerenza con quanto ho affermato, cioè “se la costituzione non è materia dei giuristi, se le questioni istituzionali e del potere non sono materia dei vertici e delle segreterie di partiti e sindacati che negli anni hanno avocato a sé tali problemi, allora è bene evitare che non se ne parli e non se ne scriva soltanto in termini prevalentemente specialistici, giuridici o politici, ma si sappia riallacciare il tema in tutta la sua organicità politica-economica-sociale-istituzionale, non solo teorica ma anche di prassi politica e sociale. Una prassi delle forze politiche, sindacali, dei movimenti, del territorio: territorio di cui, non a caso, negli anni ’70 si parlava continuamente ma che i movimenti di oggi che, parlando di “BENI COMUNI” DIMOSTRANO DI NON SAPERE COSA sia IL TERRITORIO, OVVERO DI NON SAPERE CHE IL TERRIOTRIO NON E’ IL LUOGO DELL’AMBIENTE O DEI “BENI COMUNI” LOCALI, MA E’ IL SOCIALE DOVE C’E’ TUTTO ED IN PRIMIS C’E’ L’IMPRESA CON I SUOI RAPPORTI DI LAVORO, RAPPORTI DI PRODUZIONE E RAPPORTI SOCIALI PRIVATI E CAPITALISTICI CHE DOMINANO LA FABBRICA ED IL TERRITORIO, dove anche il Comune non è il palazzo comunale ma è la comunità, per cui non può essere gestito come una azienda privata da un manager o sindaco elettivo. Il comune è il luogo istituzionale del sociale territoriale, NON E’ IL SOGGETTO DEI SERVIZI e NEMMENO DEI SERVIZI DEL c.d. “BENE COMUNE” ma E’ IL SOGGETTO DELL’ECONOMIA, IL SOGGETTO DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DEMOCRATICO-SOCIALENAZIONALE che deve partire dal territorio sociale per arrivare a decidere NON DEI SERVIZI O DEI GIARDINETTI o “BENI COMUNI” LOCALIMA DELLE SCELTE ECONOMICHE NAZIONALI. Questo servirebbe per incidere sulle scelte nazionali fondamentali, per cui serve la lotta sociale di classe contro il potere privato d’impresa, che dall’alto verso il basso controlla le istituzioni e cala le decisioni dal centro nazionale di governo fino alla periferia e serve un sistema proporzionale perché è la cerniera di collegamento tra lotta di classe sociale e territoriale e le istituzioni nazionali centrali, dal basso verso l’alto.

Per cui non si può separare il sociale dall’economico parlando di “beni comuni”, pensando di evitare così la lotta di classe, rivendicando “beni comuni” come se una lotta per il pubblico non comportase una lotta (quindi di classe) contro il potere privato e d’impresa. Ma queste cose si dovrebbero sapere bene e quindi mi fermo, invitando solo a considerare la questione dei sistemi elettorali e quindi del proporzionale come fatto non tecnico ma che rispecchia i rapporti di classe e sociali che si vogliono instaurare, mantenere oppure che si vogliono trasformare.

Lettera su proporzionale puro e iniziativeultima modifica: 2012-01-29T09:00:00+01:00da iskra2010
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