L’antipartitocrazia maschera un Regime di partiti della peggior specie (Gramsci) – 3^parte

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di Angelo Ruggeri *

Riformare i partiti, non la Costituzione, democratizzandoli e ridando sostanza sociale alla politica e ruolo politico al sociale.

In realtà erano già sbagliate le analisi di chi, a sinistra, a partire dagli anni ‘70, ha passivamente accolto la suggestione, già allora “populista”, di rafforzare il governo e le istituzioni di vertice dello Stato. Contro un “prevaricare” dei partiti che è stato attribuito ad essi in quanto tali e non inteso come “prevaricazione” delle segreterie di partito anche sulla propria base territoriale/sociale, contro l’art.49 della C..

Così negli anni 90 , tutti i vertici di partito, in commistione tra loro, hanno potuto passare per innovatori e far passare per “innovazione” quello che era un loro proprio interesse a perfezionare e potenziare – legalizzandola con legge – l’anticostituzionale prevaricazione delle segreterie di partito sulla società e sui propri militanti e base.

Sicché, prendendo a pretesto il fatto che le segreterie fuori da ogni controlllo (in quanto non controllate dal basso) candidavano i corrotti, sulla falsariga della destra montanelliana, le stesse segreterie, accusavano gli elettori di essere colpevoli di votare i “corrotti” che venivano candidati dalle segreterie stesse.

Con l’uninominale diedero a sè stesse il potere esclusivo non solo più di candidarli, ma anche di farli eleggere sicuramente, avendo tolto agli elettori la possibilità di esprimere le preferenze con un referendum a cui avevano aderito tutte, ma proprio tutte, le segreterie di partito (compreso Rifondazione del vanaglorioso Bertinotti). Quello sulle “preferenze” fu un referendum antidemocratico, il “referendum civetta” che produsse la svolta e rilanciò tutti gli altri referendum antiproporzionali, rimastifino a quel momento in difficoltà per essere stati cassati da una precedente sentenza della Corte.

Il tutto avvenne omettendo, e si continua tutt’oggi ad omettere, che la degenerazione dei partiti consisteva nell’abbandono delle motivazioni ideali e programmatiche che furono all’originesiadella storia dei partiti, -prima socialista e poi cattolico, e comunista- (conseguentemente divenuta anche corruzione gestionale penalmente perseguita)siadello svolgersi della loro dialettica e del “pluralismo sociale” e non solo di quello “politico”, a cui gli “ambiti”, per “esprimersi” – giustamente invocati da Fiori – anche in Parlamento e nelle sedi istituzionali sono garantiti solo dal “proporzionale”.

Per concludere, in concreto, occorrerebbe riprendere il discorso e percorso interrotto alla fine degli anni 70, finalmente riconoscendo che è dall’abbandono della strategia per attuare, coi partiti e i movimenti, la democrazia sociale prefigurata dalla Costituzione italiana nella convergenza politico culturale di Dossetti e Togliatti per il controllo sociale dell’economia (e non già per lo “stato sociale”), che deriva la degenerazione della politica e quella corruzione dei compiti dei partiti, divenuta conseguentemente anche corruzione penalmente perseguibile.

Abbandono che taluni hanno giustificato contraddittoriamente con l’idea che, per respingere l’atomismo dei singoli, il corporativismo sociale e il plebiscitarismo politico, si dovesse affidare a partiti snaturati della loro originaria identità sociale e di rappresentanza dialettica degli interessi di classe, il compito “di indirizzo politico, di responsabilizzazione e di integrazione” (Fiori, 20/9/98).

Con ciò prescindendo dai rapporti sociali e agendo in senso opposto a quanto per nella “crisi della civiltà” e “della modernità”, fanno le religioni, divenute, oggi, rivelatrici degli aspetti dell’organizzazione sociale da valutare contestualmente nel quadro complessivo dei valori che, in quanto tali, proprio come nella nostra Costituzione, non sono estrapolabili dalla visione di sintesi dei rapporti sociali e dalle loro dinamiche sia nazionali che transnazionali.

Donde che, forse, é da questa mancata considerazione del ruolo politico del sociale e della sostanza sociale della politica, che si può spiegare come si arrivi all’accettazione passiva e grave della delegittimazione e demolizione della nostra Costituzione per il tramite di “forma di governo” ” e “forma di stato” delle endiadi “presidenzialismo-maggioritarismo” e “federalismo/presidenzialismo” e per il tramite del falso mito dell’Europa che non esiste se non come unità geografica.

Un mito che, proprioil risultato “proporzionalistico” delle recenti votazioni “nazionali” a dislocazione istituzionale “europea”, ha disvelato come un “logo” sotto cui si concreta l’arretramento dalla “civiltà giuridica” tanto enfatizzata dal costituzionalismo liberale che si configura come “blocco” della democrazia e nuova “apartheid” dei popoli dalle istituzioni dell’ambigua cittadinanza europea (Balibar, Noi cittadini d’Europa?).

Un “logo” che serve e ha per scopo di spostare la decisione politica verso tutti i poteri autocratici, tecnocratici e monocratici, sia nazionali che sovranazionali, rendendo , com’era negli stati dell’Est Europa con la “dottrina Breznev”, a “sovranità limitata”, non gli stati quanto i Parlamenti e le istituzioni democratiche sorte dalla “sovranità popolare” antifascista delle Costituzione più avanzate, tanto che in Italia si rende intoccabile persino il potere a vita del governatore di Bankitalia e che “chi tocca Fazio muore” (come dimostra la vicenda di Tremonti).

L’Europa plebiscitata dai mercati e dal capitale è stata controplebiscitata dai popoli, col voto e il non voto. Un plebiscito contro i governi di destra e sinistra, euroscettici o euroentusiasti dell’Europa “più” o “meno” “federalista” dei “liberisti” e dei “riformisti”.

Di più.

Con le “europee”, le uniche elezioni “nazionali” non fondative di un governo, l’uso elettorale della proporzionale ha “scatenato” il pluralismo nelle coalizioni politiche intervenendo a concorrere alla legittimazione del pluralismo sociale nel momento in cui importanti spezzoni del movimento operaio organizzato ( non “moltitudini” alla Toni Negri o movimenti generici tipo “girotondi” o del pacifismo meramente passivo ) hanno rivelato il fondamento reale e teorico della conflittualità di classe.

Ultimamente si è arrivati anche a ricongiungere nelle vie di Milano – finalmente – dal basso, la lotta dei lavoratori dell’Alfa e dell’ATM, lasciati, sin qui, soli ed isolati come altri, da quando, col concorso delle posizioni capitolarde di Cgil e Ds si è ricorso alla “concertazione”strumento di controllo dell’autonomia di massa, che, non a caso, la Confindustria del “marranello” Montezemolo e dell’Uomo delle tariffe Telecom Tronchetti Provera, invita a rilanciare proponendo da Capri un nuovo “compromesso di classe”.

Questo compromesso dovrebbe essere un “patto sociale” tipo quello che, dall’abolizione della scala mobile alle c.d. “nuove politiche del lavoro”, ha permesso di schiavizzare i lavoratori, non solo a Melfi, e di cancellare i diritti del lavoro e sociali, acquisiti quando, negli anni ’60-’70 ci si batteva, appunto, per l’attuazione della Costituzione e non per le “riforme istituzionali”.

Un’occasione da cogliere per mettere al bando le esasperazioni tatticistiche della sinistra anche radicale, sia sindacale che politica e ripartire da una sorta di azzeramento delle compagini egemoni del “centrodestra” e del “centrosinistra”; per un rilancio strategico di lotte sociali che, attraverso (anche e in primis) la rivendicazione del proporzionale “puro”, ristabilisca il regime della democrazia come libera dialettica delle parti sociali e politiche di partiti e sindacati, ridando, finalmente, identità alla politica e non limitandosi, come sin qui hanno fatto, all’obiettivo della conquista del governo, del potere “burocratico” delle istituzioni, da gestire per conto degli interessi del grande capitale privato. (Fine)

 *(Centro Naz. Il Lavoratore)

L’antipartitocrazia maschera un Regime di partiti della peggior specie (Gramsci) – 3^parteultima modifica: 2012-02-06T08:15:00+01:00da iskra2010
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