Estrema destra – Achtung Terrorismo

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POLVERIERA ITALIA – ACHTUNG TERRORISMO 
 

08/01/2012





di Rita Pennarola

Viaggio dentro la polveriera Italia, dove l’inizio del 2012 fa scattare l’allerta sulle formazioni di estrema destra, e non solo, con gli effetti della rigida manovra che si calano su un Paese già stretto nella morsa di debito, tagli lineari e disoccupazione. Tra i rigurgiti neofascisti spicca il caso di Forza Nuova, il cui leader spara denunce a raffica e spesso trova chi, in procure o tribunali, è pronto a dargli ragione. Qui presentiamo l’inedito excursus dei casi più recenti. Incredibili ma veri. 



Oltre 200 pagine. Per la precisione, sono 220. Un ponderoso fascicolo di indagini durate oltre quattro anni e che hanno coinvolto polizia postale, uffici anagrafe di mezza Italia, banche dati estere, provider internazionali, compagnie telefoniche… Stiamo parlando della caccia senza quartiere all’erede di bin Laden, che da un momento all’altro potrebbe far saltare in aria il Colosseo o il duomo di Milano?


No, tutto questo ardore la Procura di Roma, nella persona del pubblico ministero Erminio Carmelo Amelio, l’ha profuso per cercare fino allo spasimo di identificare il giornalista che aveva osato offendere l’onore, la dignità e il decoro di un uomo che era stato indagato nell’ambito della strage di Bologna, con richiesta di arresto, poi condannato per banda armata, quindi riparato in Inghilterra per sottrarsi all’estradizione; lo stesso neofascista Roberto Fiore che oggi veste i panni di implacabile accusatore nelle aule di tribunale contro chiunque si permetta di ricordare, a mezzo stampa, il suo passato. Legittimo che lui provi a farlo. Quanto meno curioso che possa trovare giudici o pubblici ministeri pronti a credergli, molto spesso, sulla parola. Soprattutto se parliamo di un tribunale, come quello di Roma, dove da sempre si lamenta la carenza di personale per far fronte al macigno montante dei nuovi procedimenti. E soprattutto visto che nel breve volgere di quattro anni – gli stessi in cui sono stati dispiegati mezzi eccezionali per accertare l’identità dei “diffamatori” di Fiore – Roma è diventata poco meno che una grande frazione periferica di Scampia, con tanto di agguati tutti i giorni per le strade ad opera di sicari malavitosi, e giri alle stelle di stupefacenti e denaro illecito di matrice camorrista. Mentre scriviamo, a Tor Bella Monaca si è registrato l’ennesimo episodio di gambizzazione, mentre solo a fine novembre si era costituito, dopo essere più volte sfuggito all’arresto, il capo della “Nuova camorra romana” Giuseppe Molisso, legato ai clan Licciardi, Contini e Mazzarella. Senza contare l’autentica invasione dei Casalesi nell’intero Agro pontino e il loro stabile insediamento nel cuore del tessuto produttivo romano, come ha lucidamente mostrato la recentissima sentenza sui fatti di Fondi.



OBBLIGO E DISCREZIONALITA’

E allora cerchiamo di capire perché, in un simile contesto di escalation inarrestabile dei poteri mafiosi, si possano impiegare quattro anni di indagini e 220 pagine di faldone per una ipotesi di diffamazione. E come mai talvolta la “obbligatorietà dell’azione penale” venga esercitata con particolare accanimento, magari quando ad essere terribilmente “offesi” sono delinquenti (ha una condanna passata in giudicato, vedi box sotto Eravamo quattro amici al NAR) del calibro di Roberto Fiore. 
A proposito del binomio cruciale “obbligatorietà-discrezionalità” dell’azione penale, gli allarmanti contorni del fenomeno li ha tracciati recentemente  uno che si batte da sempre per i diritti umani: Sergio d’Elia, fondatore e presidente di Nessuno Tocchi Caino. Proviene anche lui dagli anni del terrorismo, D’Elia, ma a differenza di Fiore e dei suoi, milita fin dagli anni ‘80 nel movimento transnazionale nonviolento di Marco Pannella.  


«Con 3 milioni e 300mila processi pendenti nel nostro Paese – dice D’Elia –  con 10 milioni di prescrizioni negli ultimi dieci anni, il bilancio dell’amministrazione della giustizia è assai più disastroso di quello del debito pubblico. Se c’è un debito è quello giudiziario, accumulato dallo Stato italiano nei confronti dei cittadini che attendono 400 giorni nei procedimenti dei pm, altri 400 davanti ai tribunali, e si arriva a 700 giorni per sentenze delle corti d’appello». Prosegue D’Elia nell’intervento tratto dal volume “La pace possibile” (edito dalla Fondazione Gaetano Salvemini): «alla luce di tutto questo, quel mito, quella ipocrisia della obbligatorietà dell’azione penale, per cui si è obbligati a procedere per qualsiasi cosa, in realtà si risolve nella discrezionalità di fatto: decidono i magistrati, impotenti a procedere contro tutto, cosa perseguire e cosa lasciare nei cassetti perché vada in prescrizione».



L’HUMUS DEI CASSERI




 

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Roberto Fiore


Occhio, allora. Perché quello che ribolle in Italia, oggi, è proprio il frastagliato milieu d’ispirazione anarco-fascista. Ed è precisamente dentro lo stesso humus che maturano fatti come l’uccisione a sangue freddo dei due senegalesi avvenuta a Firenze poche settimane fa. Lui, l’implacabile “epurator”, si chiamava Gianluca Casseri e frequentava Casapound, i cui attivisti oggi ne prendono le distanze (ma a sottolineare i veri distinguo ha provveduto la figlia del grande scrittore, che ha intimato agli estremisti di astenersi dall’utilizzare il nome di suo padre). 


All’indomani del suicidio di Casseri, sulla rete ha cominciato a girare un documento di sostegno a Casapound. Tra i firmatari, anche Gabriele Adinolfi, già militante di Terza Posizione assieme a Roberto Fiore ed oggi al suo fianco in Forza Nuova, «dopo vent’anni di latitanza perché condannato per banda armata, come Fiore, del resto», scrive Claudia Cernigoi su Il pane e le rose.


Un brodo di cultura, come si vede,  melmoso e a tratti contraddittorio, con alcuni leader che in pubbliche dichiarazioni arrivano a proclamarsi pacifisti, salvo poi, nelle riunioni a porte chiuse,  istigare all’odio razziale e alla violenza con toni profetici.


E forse non è un caso che proprio qui, sotto le sinistre bandiere nere del neofascismo integralista, vengano oggi ricercati quei prolifici germi capaci di generare mostri come Anders Behring Brevik, il massacratore di Oslo. Trentadue anni, un’appartenenza dichiarata alla massoneria ed un curriculum “formativo” tutto vissuto all’ombra della destra xenofoba londinese, Brevik è l’uomo che il 22 luglio scorso massacrò a sangue freddo 77 persone uccidendone 69, una ad una, sull’isoletta di Utoya, in Norvegia. Secondo gli psichiatri Synne Serheim e Torgeir Husby, Brevik è affetto da «schizofrenia paranoica». Una ipotesi assai rassicurante per l’opinione pubblica, ma contro la quale si è schierato lo stesso attentatore il quale, dichiarandosi perfettamente sano di mente, rivendica in qualche modo le “ragioni” del suo folle gesto e al tempo stesso cerca di scansare la reclusione a vita in manicomio. 



I NUOVI MOSTRI


Quale che sia il destino finale dello stragista di Oslo, alcuni particolari dei suoi deliranti manifesti e post su facebook aiutano a far riflettere, ben oltre le spinte calmieratrici dei governi sulle popolazioni, impaurite dall’onda montante della violenza. Tanto per cominciare, la lunga “crescita” di Brevik dentro le frange dell’estrema destra londinese. E’ lui stesso a ricordarle, qualificandosi come discepolo di EDL, l’English Defence League di cui si definisce ammiratore «per come è riuscito a provocare reazioni estreme da parte di gruppi musulmani e di estrema sinistra». Figlio di David Brevik, un diplomatico in servizio alla Reale ambasciata norvegese di Londra, nella capitale britannica ha trascorso gli anni dell’adolescenza proprio nello stesso periodo in cui Roberto Fiore e i suoi conquistavano il mercato locale attraverso attività imprenditoriali come Easy London e Meeting Point.


Ma Anders fa di più e nel suo  memoriale di 1500 pagine intitolato “2083 – Una dichiarazione di indipendenza europea”, datato “Londra 2011” e  scritto nel lungo periodo precedente la strage, cita apertamente Roberto Fiore. Dopo aver affermato, infatti, di avere fondato nel 2002 con altri a Londra i “Poveri Commilitoni di Cristo del Tempio di Salomone”, ispirato ai gradi «templari della massoneria», lancia il suo anatema contro i 400mila capi di stato ed uomini delle istituzioni da “epurare” in Europa (60mila – viene specificato – in Italia). Poi aggiunge che gli unici degni di partecipare «al nuovo ordine pan-europeo di liberazione» sono gli iscritti e simpatizzanti «di Forza Nuova e Roberto Fiore», definiti i «possibili compagni della crociata ormai prossima». Troppo moderati invece, a suo dire, la Destra e la Lega Nord, soprattutto in vista dell’attacco programmato – parole di Brevik – alle principali raffinerie italiane, indicate una per una con dovizia di particolari.



PICCOLI BREVIK CRESCONO


Ma soprattutto il folle massacratore, nel suo spaventoso “memoriale”, fa un preciso riferimento a «fratelli e sorelle in Inghilterra, Francia, Germania, Svezia, Austria, Italia, Spagna, Finlandia, Belgio, Olanda, Danimarca, Usa», adepti segreti dei “Poveri commilitoni”, la sigla templare made in London.


Prima di liquidare tutto questo, anche noi, come le farneticazioni di un folle, diamo uno sguardo a quello che si sta muovendo, oltre Forza Nuova, nelle organizzazioni di stampo neonazista dentro i confini italiani. Un passaggio più che mai opportuno in questi primi giorni del 2012, quando – prevedono gli esperti –  i rigori estremi della manovra economica cominceranno a far sentire pienamente i loro effetti su una popolazione già stremata da tagli e sacrifici, proprio mentre Confindustria annuncia la perdita di ulteriori 800mila posti di lavoro nel corso dell’anno appena iniziato. «Saremo a un bivio – ha annunciato a fine dicembre Luca Paolazzi, del centro studi di Viale dell’Astronomia – saremo senza mezze misure, col dissolvimento dell’euro, fallimento di imprese e banche, milioni di posti lavoro persi, crisi del debito anche nei Paesi virtuosi». Solo una settimana più tardi, il Wall Street Journal ha diffuso la notizia che almeno due grosse banche d’affari internazionali si stanno preparando a ripristinare i cambi con le vecchie valute, in primis dracma e lira.


C’è qualcuno, di fronte a tutto ciò, che regge le fila di questo gioco al massacro? Il magistrato

Paolo Ferraroprotagonista di un’autentica via crucis dentro e fuori il Csm dopo aver rivelato l’esistenza di sette sataniche all’interno di alcuni ambienti militari, ha recentemente tirato in ballo quello che sembrava solo un fantasma del passato. E che si chiama MK Ultra Project. Wikipedia etichetta il fenomeno come «una serie di attività svolte dalla Cia tra gli anni cinquanta e sessanta che aveva come scopo quello di influenzare e controllare il comportamento di determinate persone». Una sorta di controllo mentale attraverso la somministrazione dell’ipnosi, di sieri della verità, messaggi subliminali, Lsd «ed altri tipi di violenze psicologiche su cavie umane», allo scopo di orientare il comportamento di militari, ma anche di grossi vertici istituzionali, fino ai capi di stato.


Per Paolo Ferraro, potrebbero esserci processi di questo genere dietro i due più recenti attentati, quello di Liegi, dove un belga di origini marocchine ha sparato sulla folla uccidendo cinque persone, e il caso Casseri a Firenze, entrambi avvenuti il 13 dicembre, data «di altissima valenza simbolica per le sette massonico-sataniche e da queste considerata come giorno di “purificazione” e di “inizio del rinnovamento”». Ferraro sottolinea altre sorprendenti analogie fra gli eccidi di Liegi e Firenze: «le azioni dei due uomini sono esattamente identiche nella attuazione, si compongono di due diverse fasi dell’ azione, e assumono dinamiche da “manuale di guerra”», Inoltre, «entrambi gli attentatori vengono descritti come personaggi con manie psicodepressive e possedevano indisturbati armi», senza contare il fatto che «concludono la loro azione con il suicidio».


Dopo un riferimento allo stesso Brevik, il cui gesto «presenta anch’esso nei protagonisti, nello stile, nelle rivendicazioni e nella dinamica, significative analogie con i due su citati», il magistrato rivela che la strategia di terrorismo psicologico MK Ultra, «programma poi ripreso e gestito nella successiva versione come Progetto Monarch e sperimentato in modo diffusivo, è stato oggetto di specifica deposizione alla Procura di Teramo». Allo stesso ufficio inquirente Ferraro ne ha poi depositato «anche la banca dati, nel contesto della denunciata presenza di sette esoteriche e sataniste nel mondo militare italiano e di coperture deviate ed eccellenti a vari livelli». Per il magistrato, insomma, che su questi temi ha pubblicato un lungo video visibile su Youtube, potrebbe essere in atto un vero e proprio progetto di attacco all’Europa.  

 


 

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Paolo Ferraro


PATRIOTI E GLADIATORI


Quali che siano i reali contorni di ipotesi da brivido come queste, resta il fatto che sono in tanti, nel nostro Paese, ad essersi già attrezzati per fare business in caso di caos o di possibili guerre. L’inchiesta giudiziaria sorta originariamente a Benevento su impulso del pm Antonio Clemente e poi trasferita per competenza a Milano, aveva mostrato con chiarezza, già lo scorso anno, il ruolo svolto da grossi massoni della Loggia Colonna Traiana nell’arruolamento di eserciti mercenari, registrando fra loro la presenza di un vertice dei Templari come Roberto Amato. 


Spulciando nelle lenzuolate di benemerenze allegate al curriculum di uno degli indagati, Gennaro Ruggiero, salta fuori una sigla d’intelligence che va ben oltre le pompose formazioni pseudo-cavalleresche cui aderirebbero i reclutatori di milizie private. Si tratta del Cesdis, il Centro Studi per la Difesa e la Sicurezza che ha sede a Torino ed è presieduto dal massone Carlo Maria Polidori, avvocato. Di particolare evocazione simbolica il volume che spicca fra le pagine di presentazione della struttura: “Gladio. Storia di finti complotti e di veri patrioti”. «Gladio – scriveva in prefazione Francesco Cossigaera fatta da gente vera che credeva in quello che faceva e che amava immensamente il proprio Paese tanto da mettere a rischio, in caso d’invasione sovietica dell’Italia, tutta la propria esistenza». Un libro «utilissimo per capire una grande operazione di disinformazione e intossicazione dell’opinione pubblica italiana».


Sembrano qui riecheggiare le parole di Brevik nel suo “manifesto”: «Tutti i media unificati globali faranno il possibile per distorcere la verità su di me, sui Cavalieri Templari, sui nostri veri obiettivi. Mi chiameranno razzista, nazimostro, come fanno sempre con chi si oppone al multiculturalismo-marxismo. Rappresento il loro peggiore incubo». 
Fin dal 2007, poi, il Cesdis mandava in stampa una pubblicazione dal titolo “Tendenze e scenari”, che pone al centro temi come “Civilians contractors: una nuova frontiera” e “Private Military Firms”.


Ufficialmente il Cesdis è un centro studi composto da «professionisti nel campo delle Forze Armate, delle Relazioni Internazionali, degli Studi Strategici, dell’Economia e della Finanza» ed offre servizi come «Analisi delle Crisi, Analisi Economiche e Finanziarie, Analisi Politiche e Analisi Sicurezza». Suo rappresentante in Campania è Glicerio Taurisano, noto nella zona del basso salernitano per la sua vicinanza ad AN, poi confluito nei Circoli delle Libertà ma, soprattutto, organizzatore del famoso convegno su “Intelligence e Security” che nel 2008 a Paestum vide allo stesso tavolo, fra gli altri, il presidente Cesdis Polidori e l’allora sottosegretario agli Esteri Enzo Scotti. Quest’ultimo era giunto soprattutto in rappresentanza di quel Campus universitario di Malta che guida da tempo e che con l’istituto torinese intrattiene intensi rapporti di collaborazione. 
Cuore delle attività formative, nel campus maltese, è il Mains, Master in studi d’intelligence e sicurezza, costo di partecipazione 8.000 euro a cranio. Rivolto a funzionari pubblici e ad «operatori delle industrie strategiche e delle infrastrutture critiche», il corso vede fra i suoi docenti lo stesso Scotti, l’ex superprefetto antiracket Raffaele Lauro e il generale Carlo Jean. Tema centrale è ovviamente la sicurezza nazionale, compresa «la capacità di percepire tempestivamente minacce e opportunità e prevederne l’evoluzione a supporto al processo decisionale».


Eravamo quattro amici al NAR

E’ il 5 luglio del 2008  quando un indignatissimo Roberto Fiore si presenta alla Procura della Repubblica di Roma  per depositare, accompagnato dal fratello avvocato, Stefano Fiore, una roboante denuncia contro la Voce delle Voci, secondo lui colpevole di aver pubblicato l’articolo “Il Fiore nero di Londra a firma di Giuseppe Russo. Randellate anche al sito “Coscienzasporca”, che aveva  ripreso la nostra inchiesta. Da qui parte la lunga e articolata caccia all’uomo e al sito che ha impiegato mezzi ordinari e straordinari fino a dar vita ad un faldone di oltre 200 pagine approdato nei mesi scorsi alla Procura di Napoli. Dopo tanto lavoro, il pubblico ministero Erminio Amelio si rende conto che la competenza territoriale non era nella capitale, ma all’ombra del Vesuvio. E trasmette ai colleghi partenopei, affinché possano cogliere il frutto di tanta iperattività investigativa. Stiamo parlando di un magistrato fra i più noti e impegnati d’Italia, bsti solo ricordare che Amelio si è occupato, fra l’altro, della strage di Ustica, della Banda della Magliana e dell’assassinio di Emanuele Piazza, ex Sisde, un caso collegato alle bombe dell’Addaura.

Nel monumentale dossier messo su per identificare e punire i detrattori di Fiore, condannato con le schiaccianti accuse di associazione sovversiva, banda armata e violazione delle leggi  su armi ed esplosivi (9 anni di reclusione in primo grado, ridotti a 5 anni e mezzo in appello ma mai scontata grazie alla fuga londinese), il pubblico ministero non manca di riportare, così  come allegate dalla  “parte offesa”, due sentenze di condanna  inflitte precedentemente ad altri giornalisti che si erano permessi di documentare il passato giudiziario dell’ex attivista dei Mar, gruppo neofascista di Terza Posizione. La prima sentenza, del 28 ottobre 2003, viene emessa dal giudice monocratico di Roma Rosanna Ianniello ai danni di due giornalisti dell’emittente fiorentina Controradio, Sabrina Sganga e Raffaele Palumbo, “rei” di aver messo in dubbiole qualità di Meeting Point e Easy London, imprese d’oltremanica riferibili a Fiore. La seconda, in particolare, è amministrata da Maurizio Catena, anche lui querelante.

Nella motivazione della condanna a carico dei due giornalisti si raggiunge il paradosso. Scrive infatti testualmente il giudice Ianniello che Catena “viene accusato (dalla giornalista di Controradio, ndr) di spregevole collateralismo politico con il gruppo di estrema destra Forza Nuova”. Cioè la formazione politica fondata e, allora come oggi, presieduta da Roberto Fiore… Se non bstasse, il giudice decide “di attribuire piena credibilità alle affermazioni sia del Catena  che del Fiore, i quali hanno spiegato in maniera convincente le caratteristiche dell’attività da loro gestita”. Basta la parola.

Arriva l’11 novembre 2004. Stavolta a pronunciare la condanna di giornalisti per difendere Fiore è un altro giudice monocratico di Roma, Alessandra Boffi. I “diffamatori” sono di Liberazione:Rina Gagliardi, direttore, e Stefania Podda. 1000 euro di multa per le due, visto che risultano “incensurate”.

Peccato che nel fascicolone collazionato da Amelio per inchiodare la Voce alle sue “responsabilità  diffamatorie” il pm dimentichi di acquisire due basilari sentenze che, da sole, capovolgono tutto l’impianto accusatorio. La prima è stata pronunciata dalla Cassazione a marzo 2010 e ribalta proprio la condanna di Gagliardi e Podda, che peraltro erano già state assolte anche in appello.

La seconda riguarda addirittura la stessa Voce, pienamente assolta dalla Corte d’Appello di Napoli, nella persona del giudice Adriano d’Ottavio, dopo una analoga querela di Fiore. Il giudice scrive, tra l’altro, che  i giornalisti Andrea Cinquegrani (direttore) e Fabrizio Geremicca (autore dell’articolo) “hanno puntualmente riferito le fonti di riferimento delle notizie, fonti tutte di sicura qualità e affidabilità”. Contrariamente al giudice di primo grado, Giovanni Fragola Rabuano – e smentendo nei fatti l’appiattimento dei suoi colleghi romani sulle dichiarazioni di Fiore – d’Ottavio scrive: “La Corte non ritiene di poter condividere quanto affermato nella sentenza impugnata, che la specifica notizia sarebbe da ritenersi falsa e perciò calunniosa, perché smentita dalle contrarie affermazioni del Fiore”. Al presidente di Corte d’Appello, insomma, la parola di Fiore non basta. Da chiedersi come mai era “bastata” in tante precedenti circostanze, a differenza di quanto avviene a qualsiasi cittadino italiano che, in tribunale, deve portare fatti. E non parole.

Estrema destra – Achtung Terrorismoultima modifica: 2012-02-08T08:17:00+01:00da iskra2010
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