La regressione democratica e costituzionale delle “sinistre” e della UE

 

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da Angelo Ruggeri

Dal “casoitaliano” di democrazia più avanzata al “caso italiano” di liberismo e regressione dalla democrazia

L’EPOCA DELLE COSTITUZIONI REGRESSIVE E DELLA REGRESSIONE DALLA DEMOCRAZIA

Ruolo delle “sinistra” nello snaturamento arretramento della democrazia. Sull’autoritarismo della Costituzione europea

Sia nella formula del “governo parlamentare” previsto dalla Costituzione italiana del 1948, sia in una coerente impostazione della sovranità popolare, il governo non deve governare bensì “servire” il popolo, che è il vero sovrano. Dove il “governare” del governo avviene solo per il tramite del Parlamento e del potere sociale e democratico organizzato dal basso, in cui sono fondamentali partiti e sindacati democratizzati: in cui cioè il “potere di iniziativa” non sia prerogativa esclusiva dei vertici e di apparati prevaricanti, ma del sociale e quindi della base, quindi del territorio sociale dal basso verso l’alto: come sancito dall’art 49 della Costituzione a cui non corrisponde nessuno di quelli che oggi si qualificano come partiti, mentre, in realtà, nella c.d. “seconda Repubblica” ispirata dalla P2 di Lico Gelli, non esiste nessun partito: si attribuiscono colpe ai partiti mentre non esiste nessun vero partito ma solo camarille e gruppi di interesse e di potere di vertici che sono la negazione e l’opposto di ciò che si intende per “partito”.

 

Il ruolo delle “sinistre” nello snaturamento-arretramento della democrazia e nella UE antitesi della democrazia

 

  • E’ notorio che, fondamentale per lo snaturamento della democrazia italiana da sociale ad antisociale, sia stata la progressiva rinuncia ad una concezione “classista” dei rapporti sociali e politici da parte della “sinistra”. E’ con tale rinuncia che si è subalternata e “ha fatto” subalternare “tutto” alle forme del potere dall’alto dell’impresa (finendo persino col vedere a braccetto, in occasione di uno sciopero generale contro il governo, “uniti nella lotta”, il segretario della CGIL, Epifani, ed il presidente di Confindustria, Montezemolo) avvallando con le “riforme istituzionali” e il “federalismo”, una riproduzione del potere dall’alto dell’impresa anche nello Stato tramite il rafforzamento di tutti i suoi vertici e abbandonando del tutto la strategia per attuare il controllo sociale dell’economia(e non già lo “Stato sociale”) prefigurato dalla Costituzione. Così ora questa “sinistra” e in specie i neo-anticomunisti Pds-DS – che non sono ma divengono sempre altro ed ora sono PD -, ha guardato impotente o approvato o addirittura promosso ed ora – in unità con berlusconiani e i forlaninai di Casini- propugna un arretramento rispetto a forme istituzionali più espressive della sovranità popolare. Un abbandono che è stato accelerato, negli anni Novanta, dalla “cupidigia” dei gruppi dirigenti del PCI-PDS-DS e della CGIL di entrare a far parte del sistema di potere capitalistico, occultando tale decisione dietro la crisi del “sovietismo”.
  • In realtà, la scelta della sostanziale delegittimazione dell’ordinamento democratico-sociale nato dalla Resistenza e canonizzato nella Costituzione Repubblicana del 1948, era già stata fatta un decennio prima, sotto la spinta –ritenuta irresistibile– della strategia delle “riforme istituzionali”, aperta sul fronte extraparlamentare da forze come la loggia massonica P2 (con il suo “Piano di rinascita democratica”, i cui obiettivi sono stati in buona parte realizzati) e sul fronte parlamentare dalla destra democristiana, con la convergenza del PSI di Craxi ed Amato.
  • Il PCI si distinse allora per l’improvvisa ed improvvida posizione ingraiana (1983), volta a dare al potere di vertice del governo una forza istituzionale “pari” a quella che il Parlamento aveva conseguito con la “centralità” degli anni 1970-75. Successivamente, il PCI-PDS si distinse, nel 1993, nella raccolta di firme sui referendum elettorali per l’abolizione delle preferenze e del metodo elettorale “proporzionale” e per l’introduzione dell’attuale sistema elettorale basata principalmente sull’uninominale-maggioritario.
  • Si e così tracciata ed aperta la strada per l’adozione di un modello politico-istituzionale basato sul bipolarismo delle forze politiche e su un sistema elettorale che nega il pluralismo politico sociale del proporzionale integrale ricorrendo alle astruserie di “matematico statistico” per calcolare vantaggi e svantaggi e inventare e adattare leggi elettorali manipolatorie con sbarramenti, e/o maggioritarie-uninominali a un turno (o a due, ecc.), a favore dei gruppi di potere nelle imprese e nei partiti, metodo manipolatorio che risulta maggiormente perfezionato dai sistemi anglo-statunitensi ma non meno nel sistema di Bonn (mistificato come proporzionale mentre è metà maggioritario e metà con sbarramento) che maggioritariamente “regala” i voti di chi resta sotto la soglia a chi la supera: tutti, fondamentalmente pseudodemocraticiperché esprimono un “autoritarismo” che differisce dal “totalitarismo” solo perché “ammette” uno o due altri partitie un solo altro partito negli USA. Le parole lo testimoniano più eloquentemente di qualunque documento se si pensa a come il dibattito politico-giuridico (ma non solo, pensiamo alla vasta tipologia di contratti di lavoro flessibile) in Italia sia da tempo dominato da termini di provenienza statunitense come “federalismo”, uninominale, maggioritario, presidenzialismo, primarie, convention, antitrust, blind trust e chi più ne ha, più ne metta.
  • Gli eventi sociali e politici degli anni Novanta (segnati dall’assunzione da parte dei partiti del centrosinistra, con la commissione Bicamerale presieduta da D’Alema e partecipata da Bertinotti e Cossutta, della bandiera della “riforma” della “Seconda Parte della Costituzione”) documentano la mistificatoria strategia volta a presentare come tra loro “separabili” i “Principi Fondamentali” (art. 1-12), la “Prima Parte” (art. 13-54) e la “Parte Seconda” (art. 55-139) della Costituzione. In realtà, tra le norme costituzionali vi è una relazione inscindibile, sulla cui base si sono svolte le lotte civili, politiche e sociali degli anni 1948-’78.
  • Attuare “riforme costituzionali” della “Parte Seconda” della Costituzione (come da ultimo con “pareggi di bilancio” inserito nell’art. 81), incardinata sui valori della “Prima Parte” e dei “Principi fondamentali”, significa, di fatto, scardinare anche quest’ultiminegando con le forme organizzative e di attuazione pratica ciò che si sancisce nei Principi e nella Prima Parte, come è nella teoria e nella prassi di quella c.d. “costituzione materiale” (che dopo Gramsci solo Enrico Berlinguer definì “colpo di stato”) intesa come il primato del potere governativo di indirizzo anche rispetto alla costituzione scritta, che dopo essere stata applicata dal nazi-fascismoalla pratica di governo del partito unicola si è trasbordata anche alla pratica dei governi di coalizione e pluripartitici.
  • È dunque una falsificazione predicare che le scelte per una qualunque forma di “presidenzialismo” –elezione diretta del capo dello Stato o del primo ministro– o per il cosiddetto “federalismo”, non siano suscettibili di intaccare i “diritti fondamentali” ed il cosiddetto “Stato sociale”. Oltretutto la Costituzione italiana del 1948 ha qualificato “fondamentali” non già i soli diritti individuali, enucleati dal contesto dei rapporti sociali, ma i “principi” di democrazia e solidarietà “politica, economica e sociale”, quindi una democrazia non solo “politica” come nei sistemi liberali ma sociale,entro i quali soltanto sviluppando una dialettica sociale permanente in vista di obiettivi di libertà ed emancipazione si rende possibile garantire gli stessi diritti individuali.
  • Separare dunque i “diritti fondamentali” dai “rapporti sociali”, non affrontare il nodo delle “forme del potere” democratico-sociale dal basso (come fanno pseudo sinistre e pseudo contestatori del sistema rivendicando “diritti individuali ” e i c.d. “bei comuni”) per sorvegliare la loro realizzazione, significa privare questi diritti di effettiva forza e tornare indietro agli albori di uno stato borghese-liberale che consolidava il suo potere separando diritti politici e civili da quelli sociali.
  • Tutte problematiche su cui le “sinistre” (un plurale mistificante perché se non si è “sinistra” antisistema non può essere “sinistra” che è di sistema) fanno orecchie da mercante, facenti parte come sono del complesso delle classi dominanti. Non ci si stancherà mai di ricordare le privatizzazioni, liberalizzazioni ed aziendalizzazioni a tutto campo dei governi Amato-Ciampi-Prodi-D’Alema-Amato (che, ad esempio, hanno permesso alle tariffe di passare dall’essere le più basse ad essere le più alte d’Europa), e la riforma bancaria “ciampista” che privatizzando le bancheha anche consegnato al loro controllo privato e totale la stessa Bankitalia – e di seguito la BCE – invece di esercitare il controllo su loro (con le conseguenze del caso messe in luce da vari scandali). In questa sede ci limitiamo a rilevare la subalternità –anticostituzionale– ai criteri dell’economicità privatanon solo di tutti i servizi pubblicieconomici, ma anche di quelli sociali. Funzioni pubbliche come scuola, sanità, eccetera, non sono più sottoposte al criterio dell’economicità pubblica (cioè “devo farlo, quindi trovo i soldi”), ma a quelli dell’economicità privata (“lo faccio se ho i soldi in bilancio e se ci guadagno”). Sicché a causa del cambiamento dei “cambiati poteri” i diritti costituzionalmente garantiti sono così lasciati alla mercé dei “tetti di bilancio” resi sovraordinati ai fondamenti costituzionali del “lavoro” e del sociale, dalle manovre finanziarie governative dal 1979, bilancio sovraordinato che, inserito in Costituzione, subordina ad esso la centralità del lavoro e il primato del sociale della Carta del ’48, decuplicando le limitazioni delle leggi finanziarie che tanto poco hanno rispettato i “bisogni” sociali, tenuto conto di vincoli finanziari come il Patto di stabilità europeo e l’erogazione di oneri coloniali per il sostegno delle aggressioni statunitensi o britanniche o francesi, e del declino economico-industriale sempre più drastico. 

Sull’autoritarismo della Costituzione europea

  •  Tra le “Costituzioni regressive”, una citazione di rilievo la merita la cosiddetta “Costituzione europea”. La rivista Le Monde Diplomatique l’ha definita un “colpo di stato ideologico in Europa”, che innalza il liberismo economico ad obiettivo supremo, trascurando la questione sociale ed aggirando Costituzioni e sovranità popolare degli Stati membri dell’Unione Europea.
  • Si dovrebbe però aggiungere che si tratta di un golpe in atto da 40 anni, da quando, cioè, i governi degli Stati nazionali si recano a Bruxelles per assumere decisioni extra statuali, ed agendo in modo extra costituzionale. Le decisioni prese e le norme emanate in tale sede, infatti, avvengono aggirando, di fatto, le Costituzioni vigenti ed in modo svincolato dai rapporti istituzionali coi rispettivi Parlamenti e popoli, chiamati ad adottarle in nome di un “diritto comunitario” parallelo ed estraneo sia al diritto costituzionale interno che a quello internazionale tradizionale. Tale diritto viene elaborato col concorso diretto di quegli stessi governi nazionali che di fronte alle proprie comunità fingono non essere prodotto da loro stessi.
  • Un “colpo di Stato continuo” che viene ora ulteriormente codificato, perfezionato e legittimato dal “Trattato che istituisce una Costituzione europea”. Una Costituzione, quella “europea”, tremendamente regressiva. Innanzituttoperché regredisce persino dai regimi di democrazia formale(in cui il “potere di iniziativa” è di preminenza dell’esecutivo)ai regimi autoritari (in cui è un’esclusiva prerogativa dell’esecutivo). Poi perché, con una ulteriore regressione rispetto ai modelli giuridici e sociali delle Costituzioni nazionali, soprattutto di quella italiana, affida l’esclusiva del “potere di iniziativa” non solo ad un esecutivo, ma addirittura ad una catena di poteri esecutivi.
  • La Costituzione europea è basata sul primato di organi esecutivi e dei rispettivi presidenti posti al di sopra di Stati, popoli e Parlamento e rispondenti agli interessi di un gruppo ristretto del capitale monopolistico e finanziario: ‘europeo’ e subordinato a quello statunitense. Essa prevede una serie di poteri monocratici,non elettivi (tecnocratici e burocratici), quali il presidente della Commissione europea, il presidente del Consiglio dei capi di Stato e di governo, ed il “Ministro” degli “affari europei”; e in più ben tre organi esecutivi (Commissione europea, Consiglio dei capi di Stato e di governo, Consiglio dei ministri) non eletti e sottoposti ai sovraordinati poteri monocratici. Configurando quello che si può definire un sistema di potere a scatole cinesi, con una “grande cupola” di poteri oligarchici contenente al suo interno una “piccola cupola” di poteri monocratici.
  • La Costituzione europea stravolge addirittura la stessa concezione ottocentesca (cioè “liberale”)della sovranità popolare, dato che il Parlamento viene “appesocome un caciocavallo” alla “grande cupola” di esecutivi, in un rapporto contraddittorio chiamato di co-decisione. Ponendo cioè il Parlamento non solo in subordine, privo di qualsiasi “potere d’iniziativa”, ma coinvolgendolo anche nel dualismo tra il potere tecnocratico della Commissione e il potere politico di vertice dei capi di Stato e di governo, sempre con funzione subordinata rispetto ad essi.
  • Donde i poteri della BCE posti a presidio supremo di quella che è la vera Costituzione europea, la “costituzione economica” culminante neipoteri relativi alla moneta unica, che consente ad una istituzione privata e giuridicamente irresponsabile rispetto a qualsiasi assemblea elettiva o organismo politico di stampare (o non stampare) monetaper rifornire all’1% di interesse le banche private e detentrici del debito degli stati che le hanno salvate e usano tali risorse “regalategli” dalla BCE per ulteriormente accrescere il potere sugli stati delle governance del capitalismo finanziario acquistando i titoli del loro debito e guadagnandoci pure,SPECULANDO (col denaro fornito dalla BCE all’1%) sugli interessi dei titoli di Stato al 4 o al 5% o ad altre percentuali, a seconda di come i ristretti e segreti gruppi e consorterie dei capitalismi finanziari anonimi e delle potentissime lobby e holding, cioè mutinazionali finanziarie-industriali-commerciali che hanno in pugno gli Stati, le Banche centrali e i mercati finanziari, decideranno che deve andare lo SPLEAD, abbassandolo quando serve per legittimare il governo Monti e la sua manovra antipensionistica o alzandolo quando trova difficoltà a far passare la “riforma” del c.d. “mercato del lavoro” (sic!), PROPRIO COME HANNO FATTO E CONTINUANO A FARE ANCORA NEI CONFRONTI DELL’ITALIA. 

Angelo Ruggeri (Roggeri all’anagrafe)

 

La regressione democratica e costituzionale delle “sinistre” e della UEultima modifica: 2012-06-02T08:15:00+02:00da iskra2010
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