Tomba, Benjamin e l’Angelo Rouge-Redentore-della Storia e della Rivoluzione rinnegate dalla “sinistra”

Socializzando. In occasione del compleanno di Ari

 

da Angelo Ruggeri

L’Angelo Rouge, Angelo Redentore, Angelo della Storia e della Rivoluzione rinnegate da questa “sinistra” pre-fascista

Auguri! con l’Angelo dipinto da Anna Caser, Angelo Rouge-Redentore o Angelo Novusdella Storia e della Rivoluzione di  WalterBenjamin a proposito del quale alleghiamo l’intervista a MassimilianoTomba – autore di Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Milano, Jaca Books, 2010, scontando il debito per il ritardo con cui inviamo questa preziosa intervista di Tomba e anche verso Benjamin al quale siamo per molti aspetti debitori. A cominciare dal contributo che ci ha dato sulla necessità di osservare e scrivere da un punto di vista “plebeo”, cioè dal basso e veramente marxista, col quale il proletariato ha e mantiene, come scrive Benjamin: “quel costante stato di allarme, di potenziale combattimento che é proprio del vero proletatario” , viceversa “anche la stessa proletarizzazione dell’intellettuale non crea quasi mai un proletario. Perché? Perchè la classe borghese gli ha dato in dote fin dall’infanzia la cultura, e cioè un mezzo di produzione che costituisce per lui un privilegio e quindi lo rende solidale con sé e, forse ancor di più, rende se stesso solidale con lui. Sulla superficie questa solidarietà si può attenuare, anzi dissolvere, ma quasi sempre resta abbastanza forte da escludere rigorosamente, per l’intellettualequella costante disponibilità alla lotta propria del proletariato. Qui c’è un costruttivo tirocinio teorico capace di promuovere qualcosa di reale, di dimostrabile: la politicizzazione della propria classe. Là l’orrore della teoria e della conoscenza della “nuova” scuola radicale (e della “sinistra” c.d. “radicale”, n.d.r) che – Benjamin – la raccomanda all’avidità di sensazioni degli snob.

Tutte le cose che accadono ad ogni singolo operaio, compresi i morti sul lavoro e gli eventi suicidari, sono elementi costitutivi della vita di tutti coloro che fanno parte di una comunità di destino, che, per l’appunto, é l’antico e perenne significato di classe sociale: non sono affatto degli eventi individuali sgradevoli quali li dipingono giornalisti prezzolati dai padroni dei giornalitellettul-in della post-sinistra e “asini-stra” post-tutto, che, persino, hanno data per finita sia la lotta di classe che la classe operaia, quando, viceversa, il proletariato mondiale, triplicatosi dai 900 milioni degli anni 90 agli attuali 2 miliardi e mezzo e oltre di persone,nell’insieme sono una comunità di persone con uguale destino, sono una classe in sé.

Destino di classe del proletariato – di cui con orgoglio rivendichiamo e proclamiamo di appartenervi – che è in grado di apprendere quello che si può apprendere solo in fabbrica, dalla conoscenza concreta  – della pratica e della teoria – dei rapporti sociali e di produzione capitalistica; tale apprendimento, una volta unito alla teoria – come quando dopo il lavoro gli operai studiavano le scienze sociali e dell’economia e del diritto – fa di “un operaio con la passione della teoria” un vero intellettuale organico, padrone “naturale” della teoria della prassi,   intrinseca al suo “Io” unitario, sociale e individuale.

Si che mentre quel che si apprende in una Università lo si può apprendere semplicemente comprando dei buoni libri, ciò che si apprende in fabbrica non si può apprenderlo in nessuna Università. Studio e lavoro, del resto, é la base della riforma della scuola gramsciana per cui si è battuto il PCI  per almeno 3 decenni, dal 1945.

Nell’Angelo e in Benjamin c’è però un monito per quanti dimenticano che è vera “unità” solo se è “unità teorica”: da cui discende, poi, anche quella organizzativa; monito per sindacalisti e anche per operai e tutti coloro che pensano di fare “unità”  della “sinistra” o dei “comunisti” e del proletariato promuovendo una “unità” organizzativa o addirittura elettoralistica.

Come dice Gramsci :

“LE AZIONI NON SORRETTE DALLA TEORIA SONO IMPULSI INFRUTTIFERI” 

Come diciamo noi :

La penna é più forte della spada, la coscienza é più forte delle pietre, e la Bastiglia distrutta dal fuoco del quadro di Man Rai,è il monumento magnifico al ribelle per eccellenza: l’Artista (cioè chi lo è o vuole veramene esserlo).   Ma, come ancora noi diciamo:

Ci vuole teoria, tanta teoria, che dando forza, tanta forza, al punto di vista “plebeo”, cioè veramente marxista, smascheri la sovrastruttura ideologia che copre le condizioni reali, osservando la realtà dal basso.

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Per capire la storia, per entrare dentro la violenza dei vincitori…

Intervista. Incontro con Massimiliano Tomba Padova 9 febbraio 2011

Ilia Pedrina

Mi sono trovata in un crogiuolo di tensioni, da una certa data in poi, da quando cioè ho iniziato a ricopiare tutto il testo di Rabbi Jacob Taubes, Abenlaendische Escathologie, nella versione italiana, ed  ho inserito di getto tutti i commenti possibili, di diverso colore. Ad un certo punto vedo citato Bruno Bauer e l’insistenza di Taubes che consigliava di lavorare su di lui (L’attenzione per la Prefazione al testo di Michele Ranchetti verrà in un secondo momento!). Allora mi metto alla ricerca e mi trovo tra le mani il lavoro pubblicato da Massimiliano Tomba, Bruno Bauer-Karl Marx. La questione ebraica, edito da Manifesto libri nel 2004. Non ho resistito a mettermi in contatto prima telefonico poi per posta elettronica con lui, che insegna a Padova. Così, dopo averlo intervistato on line una prima volta per la Rivista storico-letteraria «Pomezia Notizie», lo incontro di persona per la prima volta, nel suo studio alla Facoltà di Scienze Politiche a Padova, in Via del Santo. Mi accoglie in modo affabile con musica di J. S. Bach, che fa da sfondo alla registrazione, e con una grande fotografia di Walter Benjamin pensoso dietro alle sue spalle.

Ilia Pedrina  Il contatto che ho intrapreso con Shlomo Sand, lo storico di Tel Aviv che sta avendo molto successo, è stato abbastanza problematico: alla presentazione del suo libro, ora tradotto in italiano ed edito da Rizzoli, L’invenzione del popolo ebraico, al Caffé Galla di Vicenza il 24 Gennaio 2011, ho portato Bruno Bauer-Karl Marx: La questione ebraica  (Manifestolibri, 2004), che hai curato e tradotto. Qual è  il rapporto tra popolo ebraico come predecessore, come precedente rispetto al popolo cristiano, e come conseguente secondo Bruno Bauer? Pochi conoscono Bauer e tu ci hai lavorato sodo, tanto che io ho anche quest’altro tuo libro, Crisi e Critica in Bruno Bauer. Il principio di esclusione come fondamento del politico (Bibliopolis, 2000). Come portare Bauer tra noi con quel processo metodologico che tu hai utilizzato in Strati di tempo. Karl Marx materialista storico (Jaka Book, 2010)? Perché qui c’è un metodo molto preciso che tu sei andato via via elaborando attraverso lo studio della crisi e delle diverse epoche nella crisi.

Massimiliano Tomba. Bauer ha il merito di capire qual è il funzionamento politico delle categorie teologiche e di tradurre le categorie teologiche nelle categorie politiche. Per Bauer non solo la religione ebraica, ma in realtà la religione in quanto tale è strutturata intorno al principio di esclusione, nel senso che alla base di un’idea di religione c’è l’idea della comunità religiosa. Il problema è che la costituzione della comunità religiosa richiede una dinamica di definizione della propria identità e questa identità è possibile soltanto a partire da un elemento di esclusione. Ora Bauer ha chiaro questo schema, che tra l’altro è uno schema che sarà ripreso nel Novecento dal giurista nazista Carl Schmitt come modello “amico/nemico”. Schmitt aveva nella propria biblioteca personale la Questione ebraica di Bruno Bauer e non solo l’aveva, ma la sua edizione era tutta annotata a matita, letta e studiata e non semplicemente lì in esposizione. Bauer analizza il principio di esclusione alla base della comunità ebraica e utilizza lo stesso schema per definire poi la comunità cristiana: Bauer sviluppa questo approccio, e siamo nel 1842-43, quando scrive La questione ebraica, e scrive contemporaneamente anche l’altro testo Il Cristianesimo disvelato. Qui Bauer sostiene che il principio di esclusione diventa più radicale nella religione cristiana che non nella religione ebraica, perché nel dispiegamento dell’universalismo cristiano la contrapposizione diventa tra cristiani e non-cristiani, con il problema ulteriore che a tutti nel cristianesimo è offerto il dono della Grazia che, se non viene accettato, se viene rifiutato, comporta la dannazione. A questo punto la virulenza polemica della dannazione nei confronti di chi non accetta la Grazia, il dono della fede cristiana, è decisamente più forte e violento del principio di esclusione ebraico. Questo è il problema politico. La cosa interessante è che Bauer utilizza lo stesso tipo di lettura anche nell’analisi testuale della Bibbia e quindi riesce a dare ragione di una serie di passaggi neotestamentari che inventano un riferimento veterotestamentario testuale. Nel Vangelo di Matteo si può leggere: «Voi avete udito che fu detto: ‘Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico’». La frase «odia il tuo nemico» non trova riscontro nell’Antico Testamento. Essa è, secondo Bauer, un’invenzione funzionale alla costruzione di un parallelismo polemico tra l’Antico e il Nuovo Testamento; prodotto di una riflessione posteriore, non di Gesù, ma del pragmatismo letterario di colui che la Chiesa nominò Matteo e che, avendo Luca sotto gli occhi, vi aveva potuto trovare il comandamento dell’amore per i nemici, che lui integrò costruendo la contrapposizione all’Antico Testamento. Questo è il modo in cui Bauer lavora negli anni Quaranta. Ritornerà a lavorare sulle origini del cristianesimo negli anni Settanta, ad esempio in Cristo e i Cesari, un  libro che attirò l’interesse di Taubes.

I.P.  Ecco: qui emerge il rapporto con i diritti umani. Il lavoro che Bauer induce a mettere sotto osservazione è quello della innaturalezza dei diritti umani, che poi tu rilevi molto fortemente in questo recente lavoro Strati di tempo?

M.T.  Lo scritto di Bauer sulla questione ebraica, un testo da prendere certamente con cautela, ha degli spunti geniali, altre volte è un po’ noioso, come quando, ad esempio, si perde nella storia delle ritualità. È vero che quest’uomo aveva delle illuminazioni! È una cosa che gli riconosce anche Schweitzer nella Storie della vita di Gesù, quando dice che tra la Vita di Gesù di Strauss e i primi scritti di Bauer è come se fossero passati almeno cinquant’anni con il lavoro di 6/7 generazioni di studiosi in mezzo. Perché i problemi che Bauer pone, David Strauss neanche riusciva ad immaginarseli. E sono problemi che vengono ripresi dalla critica testuale e dal metodo storico formale del Novecento. Sui diritti umani alcuni passaggi di Bauer sono più illuminanti della critica a Bauer che Marx muove nella sua Questione Ebraica. In molti punti Marx, anche quando critica Bauer e accoglie elementi feuerbachiani, continua ad essere baueriano.
Quanto Bauer abbia influenzato Marx è chiaro se si va a leggere la sua Dissertazione su Democrito ed Epicuro. Ma questa influenza è registrabile anche in seguito, come dimostrato da alcuni studi di Zvi Rosen. Nella Dissertazione è però evidente oltre ogni misura. La cosa sorprendente è che ci sono ancora letture che cercano di dimostrare l’approccio e l’interesse materialistico di Marx in relazione a Democrito ed Epicuro. In realtà, non gliene poteva importare di meno. Marx non ha questo problema. Marx ha il problema di capire come funzionano le filosofie post-sistematiche, post-aristoteliche allora, post-hegeliane adesso. Costruisce il parallelo per vedere come funzionano le filosofie in un’epoca di crisi. È tutto baueriano, quella è l’idea di Bruno Bauer. Marx al tempo era amico intimo di Bauer, il quale voleva affidargli un incarico all’Università: «..Sbrigati a laurearti, perché così io ti chiamo…». Bauer stava preparando la carriera accademica a Marx.

I.P.  Ma dopo ci ha rimesso lui, Bruno Bauer è stato allontanato!

M.T.  Innanzitutto Bauer è stato allontanato da Berlino; quando scriveva la Critica dei Sinottici lo trasferirono a Bonn. Poi qui gli tolsero la docenza.

I.P.  Perché era infuocato questo testo?

M.T.  Questo testo era parecchio problematico: Bauer si era esposto già molto. Contemporaneamente al ministro della cultura Aldstein, “amico” della scuola hegeliana, succede, nel 1840, il ministro conservatore Eichhorn, che ben esprimeva il cambiamento politico impresso alla Prussia da Federico Guglielmo IV. Bauer viene spedito a Bonn, dove insegna per un po’ di tempo, fino alla sospensione e all’allontanamento dall’Università. A quel punto torna a Berlino, a Rixdorf per l’esattezza, dove cerca fonti economiche di sostentamento alternative rispetto a quelle garantitegli dal lavoro universitario.

I.P.  Ha avuto problemi anche economici?

M.T.  A Bonn, in seguito alla sospensione, fu costretto a vendere la biblioteca personale per mangiare. Quando torna su a Rixdorf fa il contadino. La stalla di casa diventa il suo studio e comincia a guadagnare dei soldi scrivendo per giornali, riviste, di tutto e di più. Per buona parte la sua fonte di sostentamento era proprio questa sua incredibile attività di collaboratore di giornali e riviste, dopo il ’48 sempre più orientate in campo conservatore. Il passaggio dal Bauer radicale, vicino alla cosiddetta “sinistra hegeliana”, al Bauer conservatore è a parer mio senza soluzione di continuità: Bauer fu sempre e solo un pensatore radicale della crisi. Così, per tornare alla domanda di partenza, nella sua critica ai diritti umani, questi non sono qualcosa che è radicato nella natura umana, non sono qualcosa che ci tocca in sorte dalla tradizione, ma al contrario rappresentano la rottura rispetto alla tradizione; rappresentano la rottura di assetti consuetudinari, di diritti ricevuti e altro. I diritti umani vanno compresi all’interno della sua concezione polemologica della politica: sono la posta in gioco in un conflitto. Per Bauer ciò che conta di più, più che l’assetto formale della dichiarazione, è l’elemento pratico dei diritti umani. Funziona l’elemento di liberazione, l’elemento politico, l’esperienza politica, nella rivendicazione e nella lotta per i diritti umani, non tanto il catalogo. Bauer sapeva benissimo che un catalogo dei diritti umani, così come viene concesso, può essere anche in ogni momento ritirato, revocato.

I.P.  Ritorniamo sul principio di esclusione negli aspetti della crisi della democrazia, che tu hai analizzato ne La vera politica tra Kant e Benjamin; aspetti della democrazia che sono molto riduttivi rispetto all’idea di una capacità rappresentativa di essi per il cittadino. Infatti è straordinaria la possibilità che tu metti in gioco di acquisire capacità critica nel nostro tempo rispetto agli inadempimenti reali e concreti, storici, dei partiti politici. Che cosa si può sintetizzare di questo grande supporto che tu hai dato allo spirito critico di ciascuno di noi attraverso quel testo, che parte dall’analisi kantiana all’interno dell’estetica e arriva fino al lavoro, per Benjamin, sul concetto di violenza, sul concetto di Gewalt?

M.T.  Per me il senso di quel testo, che è anche il senso delle cose alle quali sto ancora lavorando, è indicato già nel sottotitolo, che recita: Kant e Benjamin: la possibilità della giustizia. Si trattava della questione della giustizia che a me stava a cuore. La mia idea è che la nostra modernità, la concettualità politica moderna, Hobbes prima di tutto, rende impensabile la questione della giustizia attraverso il meccanismo rappresentativo: io non posso dire che una legge è giusta se questa legge, fatta nel nome del popolo, esprime la volontà del, e quindi la mia stessa volontà in quanto membro di esso. A me interessava sottolineare che mettere in discussione la logica politica che preclude l’idea di giustizia significa mettere in discussione alcuni principi che noi consideriamo consolidati e inviolabili, ad esempio l’idea di sovranità popolare: mettere in discussione il principio di maggioranza perché con esso noi abbiamo non l’espressione del più giusto, ma semplicemente la volontà o l’opinione del più forte che domina sull’opinione di chi non ha i numeri per dominare, il più numeroso. E assolutamente nulla ci garantisce della giustezza dell’opinione del più forte o in questo caso del più numeroso; non c’è nessun criterio che mi possa dire che la maggioranza è giusta. Se assumessimo questo come criterio, “la maggioranza è giusta”, allora dovremmo dire che quello che è accaduto nel 1933 in Germania è giusto e da lì in avanti abbiamo un percorso legittimato dalla volontà popolare che porta dall’ascesa di Hitler fino ai campi di concentramento. O siamo disposti a riconoscere questo o altrimenti non se ne viene fuori. Necessario è indagare i processi nel momento della loro crisi e non nel corso normale della loro amministrazione. Questo è ciò che cerco di insegnare ai miei studenti: bisogna cogliere i concetti nel momento della crisi, nel momento di eccezione, perché allora la vera questione, il vero problema della statualità moderna emerge con forza. La costituzione formale, i paletti istituzionali e i diritti fondamentali non sono in grado di proteggere il singolo dalle torsioni autoritarie e dittatoriali dello Stato. E qui, come ci insegna una tradizione che arriva fino a Kant, il diritto di resistenza risulta logicamente impensabile nella statualità moderna. Per questo l’ultima parte del libro si rivolge a Benjamin.

I.P.  Allora si tratta di interrogare la storia, quel continuum che mai si flette sul vinto per osservarlo, per rendersi conto che esiste e soltanto procede con la logica del vincitore!

M.T.  Il che significa avere anche la forza di pensare due questioni: la prima riguarda la giustizia contro il diritto; la seconda questione è pensare un altro genere di violenza, che è il problema della Gewalt divina, alla fine della sua Critica del concetto di violenza. Quello che è sicuramente difficile da capire in Benjamin è che lì c’è il tentativo di pensare un altro genere di violenza rispetto alla violenza statale e giuridica e quindi di pensare, al di là della semplice contrapposizione violenza e non-violenza, perché l’assunzione della non-violenza come ‘altro’ dalla violenza non è una soluzione, ma è semplicemente il negativo della violenza. Un negativo che assume come unica violenza quella statale e giuridica. Per Benjamin il problema è: «Posso pensare un altro genere di violenza? È possibile un altro genere di violenza?» Io credo che questo tipo di interrogazione sia fondamentale. La sua pensabilità richiede lo spostamento in un orizzonte che ha a che fare con il teologico, perché un altro genere di violenza richiede un pensiero della giustizia e richiede un pensiero della trascendenza. E sono termini che noi non possiamo pensare se continuiamo a praticare e pensare la politica in un ordine di totale immanenza.

I.P.  Io qui ho aperto questa voragine di riflessioni, certe volte nelle e-mail ti ho accennato a questa capacità che ha avuto Benjamin di lavorare sul pensiero ebraico, scollato completamente da Gershom Scholem, per una sua strada, per un suo percorso che è quello di individuare una storicità, una esperibilità del divino, della KWNH, che sarebbe l’elemento che la collettività riesce a far esplodere quando prega. Quindi ti è dato dalla collettività, ti è dato dalla presenza della collettività, con te all’interno, perché se ci sei fuori non si crea il cambiamento. Taubes lo tira fuori quando credo parli di una festività, forse Purim, di un momento nel quale la collettività sembra ‘vibrare’ attraverso la preghiera. In La teologia politica di Paolo di Tarso dice «qui ci si può aspettare di tutto», perché l’insieme di coloro che pregano è ciò che rappresenta nella storia la realtà del Principio Divino. 
Se Benjamin assume in profondità questo tipo di ebraicità, questo modo particolare di ‘essere ebreo’, allora in quel caso lì lui, parlando di violenza, parlando di alternativa alla violenza, ha presente probabilmente un profilo teologico-politico di investigazione che non ha avuto il tempo di sviluppare.

M.T.  Nelle tesi su Il concetto di Storia, più precisamente nei materiali per la preparazione delle tesi, Benjamin cita un passo dai Vangeli apocrifi, vado a memoria, che dice «quando il Messia arriverà, vi giudicherà per ciò che state facendo nel momento del Suo arrivo», e un altro passo secondo me importante, che invece Benjamin riprende da Kafka, è «il Messia non arriva l’ultimo giorno, ma arriva il giorno dopo l’ultimo giorno». Io leggo questi due testi nel senso dell’anticipazione: la seconda citazione, cioè che il Messia arriva il giorno dopo l’ultimo giorno, significa che il Messia non è il nostro netturbino, non viene per ripulire un mondo che abbiamo lasciato come un immondezzaio. Il compito nostro è mettere in ordine il mondo e solo quando noi lo avremo fatto, arriverà il Messia, perché non avrà più niente da fare. Cioè verrà perché finalmente il mondo è un mondo adatto al Messia. Sta a noi creare il mondo come mondo adatto alla venuta del Messia. Importante è questo senso di responsabilità etico-politica che ciascuno di noi ha di rendere il mondo un mondo adatto alla venuta del Messia. Questo fa il paio con la prima citazione, cioè che quando il Messia arriverà, ci giudicherà per ciò che staremo facendo in quel momento. Ecco il senso della anticipazione. Cioè il contrario dell’agire strumentale dei rivoluzionari: “…intanto faccio i gulag e metto a morte un po’ di oppositori e nemici, perché fra cinque anni o fra centocinquant’anni ci sarà il regno della libertà…”! Al Messia non interessa ciò che tu vorrai fare tra centocinquant’anni. Questo è il rapporto mezzo-fine che Benjamin critica nella critica della violenza. Non posso giustificare la mia prassi a partire dal fine che voglio realizzare, ma la prassi deve avere in sé il criterio intrinseco di giustezza. Ciò che io faccio in ogni momento deve essere all’altezza della venuta del Messia, come se il Messia arrivasse ora e ci giudicasse. Ecco il senso dell’ “anticipazione delle relazioni”.

I.P.  Ma allora ciò si può tradurre nella specularità dell’altro rispetto a me?

M.T.  Sì, dell’altro rispetto a me e nell’assunzione etica di responsabilità nel rapporto con l’altro: io non posso fare ‘il cavolaccio’ che voglio nemmeno nella mia sfera privata, perché se devo costruire un mondo diverso, devo essere in grado di cambiare me stesso. Ma ‘cambiare me stesso’, significa cambiare non solo la maschera esterna, m significa completa corrispondenza e ri-definizione del rapporto interno/esterno. In questo senso Benjamin diceva che dovremmo vivere in ‘case di vetro’: l’esatto contrario dell’incubo totalitario. Si tratta di ridefinire in modo rivoluzionario la crisi della separazione tra pubblico e privato, dando un’altra possibilità a quel rapporto ed evitando la sussunzione del privato nel pubblico, sussunzione favorita proprio da chi si trincera nella privatezza.

I.P.  Ma questo suo modo di pensare lo ha allontanato dai suoi amici? Gli ha dato una distanza, un’incapacità di farsi capire; ha portato delle conseguenze? Sto pensando alla corrispondenza con Adorno, a quella “rigidità” che ho trovato in Adorno rispetto a lui, rispetto a questi momenti che tu tenti fortemente di rilevare e che risultano  di grande intensità morale e di rigore.

M.T.  Io credo che il prezzo da pagare per tentare di fare quello che Benjamin ha fatto, sia stato un prezzo enorme, spaventoso. Lo sguardo diverso, altro, che Benjamin cerca di dare corrisponde a un tentativo di completa, integrale modificazione di sé e di modificazione della propria capacità di esperienza. Oserei dire quasi di modificazione delle strutture trascendentali del soggetto. Benjamin sta lavorando ad una modificazione della relazione interno-esterno attraverso la distruzione dell’individuo moderno. Adorno scrive, in merito al “prezzo da pagare”, che Benjamin parlava come fosse un morto. Probabilmente questo era il prezzo da pagare per vedere ciò che gli altri non riuscivano a vedere. Benjamin parlava come se la sua voce provenisse dal mondo dei morti.

I.P.  Può essere che la chiave qui sia il tentativo del “pensiero abissale”? Io ci sto lavorando con grossi rischi dal punto di vista del rapporto causa/effetto: lui voleva far esplodere questo rapporto?

M.T.  Decisamente.

I.P.  Allora il pensiero abissale sarebbe la risposta a quella KWNH, a quell’elemento di incontro della collettività: in realtà questa esplosione del rapporto causa/effetto ti consente la venuta, ma è anticipazione essa stessa di fede, è una “fiducia” che tu devi avere nella collettività. Quindi il suo isolamento gli pesava doppiamente. Come tu dici, la sofferenza sua doveva essere caricata sulle spalle di ciascuno e nella “preghiera” doveva essere sublimata.

M.T.  Sì.

I.P.  Ma come “esperienza”. Non la trascendenza di quei momenti che la storia rendeva necessari per la venuta. Per cui, oltre a stracciare il principio di causa/effetto, lui voleva andare al di là. Ho trovato nel tuo La vera politica che Kant tenta di affrontare la cosa al bordo delle categorie, per dire: «ma io al di là… se vado al di là..» e ha paura che questo pensiero possa fare a meno delle forze che lo  in- radicano sulla sicurezza e sulla certezza della parola che ha una sua logica. E allora lì dice: «no, no… io questa cosa qui la lascio perdere». Secondo me Benjamin è voluto andare lì, arrivare fino a questa tensione e torsione del pensiero, come indicato in Kant.

M.T.  Certo! Benjamin affronta Kant. Ma il problema resta quello di un’esperienza filosofica, psicologica, teologica e antropologica contemporaneamente. Il problema riguarda l’oltrepassamento delle forme pure kantiane dell’esperienza, spazio e tempo, che producono necessariamente come principi d’ordine questa determinata realtà o rappresentazione della realtà.

I.P.  Come l’esperienza che passa tra le dita: c’è questa rappresentazione a spiegare l’amore in Immagini di città, quando lui è a Marsiglia. Evidentemente c’è tra gli interstizi un vuoto: tu, anche nel testo su Marx, lavori su ciò che viene lasciato aperto, però non ha confini. Ho trovato in te una forza rivoluzionaria che veramente rassicura i giovani. Quando tu hai preso dentro il personale delle scuole elementari i genitori e gli allievi nel momento di crisi, hai detto «Apriamo l’accademia a chi ha la formazione di base e quindi prendiamo dentro tutti» e tu nel 2008 hai fatto questo, per cui già sei preparato a lavorare su piani non consueti. Vuoi darmi allora qualcosa dell’esperienza di Londra?

M.T.  Stavo facendo un ciclo di Seminari sulle Tesi sul concetto di storia di Benjamin e al terzo incontro c’era la manifestazione, quando i giovani, gli studenti hanno occupato la casa dei Tories, a Novembre. Beh, insomma ci fu questa coincidenza.

I.P.  Per che struttura, per quale istituzione l’hai fatto?

M.T. L’abbiamo fatto per degli studenti di un Master di un’università di Londra che si chiama ‘Goldsmiths University’ e i miei studenti erano gli studenti che erano alle manifestazioni e quindi c’è stato un momento in cui insieme a Benjamin abbiamo discusso anche di queste cose. È stata un’esperienza positiva sotto diversi aspetti, e innanzitutto perché mi ha permesso di ripensare le tesi di Benjamin. Dovevo fare chiarezza a me stesso, e questo per un motivo molto semplice, perché il mio inglese è di basso livello e ciò significa che ho dovuto cercare di tradurre le mie conoscenze di Benjamin, il ‘mio’ Benjamin, in una lingua semplice, che gli studenti potevano capire per il livello comunicativo al quale io potevo arrivare. Questo è stato utile per me perché mi ha costretto a ripensare e a chiedermi se avevo realmente capito alcune cose.

I.P.  Quindi un lavoro di selezione, di ripulitura?

M.T.  Sì, e poi l’altro aspetto interessante è che appunto quelli erano gli studenti attivi in queste manifestazioni e quindi avevano capito, intuivano che c’era in Benjamin qualcosa che poteva servire loro: «Ma qui c’è un Benjamin politico molto forte!» e dal momento che loro avevano orecchiato, nel migliore dei casi, semplicemente il Benjamin dell’Opera d’arte nel tempo della sua riproducibilità tecnica, o il Benjamin estetizzante, che è quello normalmente diffuso nella cultura anglosassone, scoprire il Benjamin politico è stato un fatto interessante, positivo. Un altro aspetto è quello che riguarda la formazione. Lì ho capito un po’ dove probabilmente noi andremo a finire per quanto riguarda i nostri percorsi formativi. Un collega inglese mi disse che ciò che viene rilasciato come titolo universitario è ormai una sorta di “certificato di sana e robusta costituzione”, dove viene certificato che lo studente è in grado di scrivere il proprio nome e di presentarsi ad un appello se chiamato, il che vuol dire che sono idonei a lavorare. Per quale lavoro? Per quello che capita. Questo è triste, ma questo sta diventando la nostra formazione superiore. Noi stiamo dando pacchetti di informazioni agli studenti che sono completamente inutili e servono semplicemente a mettere in testa a questi studenti che il libretto di istruzioni che noi diamo è inutile; perché i nostri corsi sono ‘libretti di istruzioni’ che saranno assimilati e gettati via in tempo rapidissimo, in base alle esigenze del mercato e delle offerte di lavoro, Dietro all’altisonante slogan dell’imparare ad imparare, in realtà c’è il vuoto totale: “imparare ad imparare” significa che tu non devi imparare niente, se non un ‘habitus’ che è quello di imparare delle istruzioni che dimenticherai nel giro di qualche anno perché dovrai impararne delle altre. Quello che noi abbiamo chiamato “sapere” fino al secolo XX, non ha quasi più senso, sta diventando “informazione” e “pacchetti di informazione”: questo è il lato negativo. Bisogna avere la forza e il coraggio di cogliere anche la possibilità positiva.

I.P.  Ma ci vuole tanto coraggio, un coraggio incredibile. Tu hai visto nel bisogno dei ragazzi di mettere in pratica ciò che è “lezione” quasi un bisogno di storia; il bisogno di storicizzarsi all’interno anche di una rivoluzione, di una evoluzione. Questo è un loro diritto: se non c’è posto di lavoro, che almeno ci sia posto per l’azione, un’azione comunque essa sia, perché se lo studio non riporta ad un sapere che sia spendibile, allora sarà l’azione a portarmi. Dove? Ecco, azione e rivoluzione. Così arriviamo ora a Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, il tuo recentissimo lavoro, edito da Jaca Book nella collana Di fronte e attraverso: qual è stato il tuo incontro con Karl Marx?

M.T.  K. Marx ha accompagnato in modo talvolta evidente, altre volte meno, l’intera mia formazione. Io ho iniziato a leggere e a studiare Marx a 16 anni. Cominciavo a prendere appunti, a scrivere, poi lo riprendevo. Ad un certo punto avevo iniziato a scrivere qualche piccolo articolo su Marx e alcune cose sembravano interessare, allora mi son detto che forse era arrivato il momento di mettere assieme tutta una serie di idee e provare però a far saltare fuori un Marx un po’ anomalo.  Non mi interessava fondamentalmente dire quello che Marx aveva detto, mi interessava usare Marx anche contro Marx, se era necessario. Avevo ben chiaro tutto ciò che non  volevo fare. Per me era abbastanza chiaro innanzitutto non considerare Marx una sorta di idolo. Non ideologizzare Marx. Non era nemmeno il Marx self-service dove si entra e si prende ciò che si vuole: La mia idea era di prendere tutte le portate, incluse quelle che ci piacciono di meno. Su questo punto polemizzai con amici e colleghi, in particolare riguardo ai Grundrisse. La mia idea è: se c’è un punto che io non condivido, ad esempio la filosofia della storia dei Grundrisse, dal mio punto di vista questo inficia l’intera costruzione dei Grundrisse.

I.P.  Ecco, si tratta proprio di metodo. Tu apri il testo parlando del punto di vista, del punto di osservazione che può modificare la capacità di leggere un testo: ciò è preziosissimo!

M.T.  A me interessano le ragioni che spingono Marx ad abbandonare l’impianto dei Grundrisse. Quando inizia a scrivere Il Capitale, c’è in Marx ancora “filosofia della storia”, nonostante alcuni suoi piani di esposizione categoriale non abbiano più a che fare con la filosofia della storia. Questo spostamento mi interessa. Negli anni Settanta, riflettendo all’altezza della Comune Russa, Marx comincia a tirare una serie di conseguenze e allora, forse nel modo più esplicito possibile, ci dà la possibilità di pensare all’interno di un paradigma che non è più del tipo di filosofia della storia. L’idea rivoluzionaria riguarda una concezione della storia come serie di stratificazioni geologiche tutte presenti, primarie, secondarie… Pensa che l’accumulazione non è il percorso obbligato di tutte le civiltà; che i salti storici sono possibili e che tutto questo deve essere inteso dentro stratificazioni di temporalità diverse. Qui è possibile compiere un’operazione diametralmente opposta a quella compiuta dal post-modernismo: se il postmodernismo ha spazializzato il tempo, secondo me, oggi, è possibile, con un approccio diametralmente diverso, temporalizzare lo spazio. Era questa la prospettiva anche di Bloch. Credo che questo oggi sia molto importante, per comprendere anche i conflitti fra temporalità diverse. Un Padre gesuita, Padre Pirola, che è morto  purtroppo l’anno scorso, una persona che merita un enorme rispetto, in una conversazione mi parlò della modernità attraverso l’immagine di una serie di strati che frizionano uno sull’altro, e ad un certo punto mi disse: «Beh, certo: chiaramente l’attrito di questi strati fa male, ed è dove siamo noi» Quindi la modernità è questo scorrere di strati diversi.

I.P.  Condizione non indolore sicuramente.

M.T.  E noi siamo scorticati dallo scorrere di questi strati: ma un compito di un pensiero all’altezza  della possibilità del “novum” e non della rincorsa delle “novità” deve essere un pensiero capace di vedere in questi altri strati di tempo, che soltanto per un vizio storicistico noi possiamo chiamare “residuali”, “passati”, “premoderni”. In realtà sono contenute, sono incapsulate possibilità di futuro. Si tratta di vedere come, nell’attrito fra temporalità diverse, sia possibile dischiudere “futuro incapsulato”.

I.P.  Ciò rappresenta la sua intuizione della ‘Jetztzeit’!

M.T.  Sì, la ‘Jetztzeit’ di Benjamin, dove poi la nostra chiacchierata continuamente va, e cioè al pensiero ebraico, è in realtà il senso delle cose che sto cercando di fare e pensare. Da questo punto di vista – un autore non dovrebbe dire una cosa del genere di un libro che ha appena pubblicato – il libro su Marx è per me un libro di transizione.

I.P.  In molti punti si sente una torsione forte che viene sospesa senza essere interrotta.

M.T.  È come se io avessi dovuto mettere insieme tutta una serie di cose: questo è quello che io posso tirare fuori da Marx in questo momento, lo metto in chiaro per me e per gli altri, però è il punto di partenza. Non per continuare a lavorare di bisturi sulla pagina del Capitale. Da qui bisogna andare in un’altra direzione e per me l’altra direzione è un po’ quella di cui ti ho parlato. Bisogna saper scorgere “la piccola porta attraverso la quale in ogni secondo può entrare il Messia”. Comincio a pensare che la piccola porta attraverso la quale in ogni secondo può entrare il Messia riguarda l’anticipazione che posso produrre in ogni momento! Ma l’anticipazione è possibile lavorando su se stessi, sul cambiamento di sé. Cambiando se stessi si cambia la modalità di relazione con l’altro e la nostra relazione è già anticipazione rispetto agli eventi: è questo il piccolo spostamento dell’ordine delle cose che può preannunciare la venuta del Messia. Ecco ancora una volta il tema della sofferenza di Benjamin: quanto sono in grado di lavorare su me stesso per cambiare e distruggere il soggetto trascendentale e l’individuo, nel senso del concetto moderno, che io sono, al fine di cambiare me e le modalità relazionali.

I.P.  Io ho sentito subito che questo testo era un passaggio verso profondità che ti andranno a dare più soddisfazioni: su Benjamin ti aspetto!

M.T.  È così. Spero.

Si alza e si dirige verso la sua libreria, a lato della scrivania. Tira fuori un piccolo libro rosso: Walter Benjamin, Per la critica della violenza, testo tedesco a fronte, a cura di Massimiliano Tomba, ed. Alegre, 2010. Lo apre e vi scrive una dedica. La sua speranza era già stata anticipata.
    [7 ottobre 2011]

Tomba, Benjamin e l’Angelo Rouge-Redentore-della Storia e della Rivoluzione rinnegate dalla “sinistra”ultima modifica: 2012-10-29T08:35:00+01:00da iskra2010
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