Marxismo, terrorismo e guerra (1). 11 settembre USA e fase dell’imperialismo transnazionale

 

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da Angelo Ruggeri

Dall’11 settembre USA alle continue guerre interimperialistiche, imperialistiche e “coloniali”, alla peculiarità della crisi economica mondiale e dei rapporti di proprietà e della “crisi di egemonia” del capitalismo.

MARXISMO, FONDAMENTALISMO E GUERRE (1)

La tragedia del “tecnico” e “specialista” nel mondo contemporaneo e le radici storiche-culturali-politiche e occidentaliste del “fondamentalismo” e del “terrorismo” nell’attuale “regno della tecnica” del “modernismo” sempre reazionario che riduce lo svolgimento storico alla sola dialettica conservazione-innovazione.

(Centro studi “Il Lavoratore”e Movimento Antifascista per Difesa e Rilancio della Costituzione”

Se una cosa è vera, e le condizioni sono tali che essa può venire mostrata, sebbene magari non nel suo pieno splendore, si può perdonare una certa povertà di mezzi, anzi, non la si deve solo accettare ma la si deve “congratulare”. Questo è il principio brechtiano – a cui il grande dialettico Brecht si è sempre attenuto – della superiorità del proletario e del marxiano punto di vista plebeo e quindi della superiorità dello scrivere dell’operaio e del popolano ( che mettevano “sotto” l’avvocato, l’ingegnere, il professore, il manager, ecc. nei Comitati di scuola di Quartiere che per ciò li hanno aboliti!) rispetto a coloro che dietro un elitario latinorum giornalistico e pseudo-intellettuale occultano il saper scrivere e dire la verità – senza i mistificanti fronzoli del latinorum intellettuale e giornalistico – del proletario e di chi scrive da un punto di vista plebeo osservando la realtà dal basso censurato anche dai giornali di “sinistra” a favore degli “esercizi di bella scrittura”, di un accademico “scrivere bene” presunto, e “saperla raccontare” dei ”bravi” giornalisti e “intellettuali” (“che non vuol dire intelligenti”, osserva Pirola): vale a dire di tutti coloro che trasformano la realtà in un “racconto”, “bello” o “brutto”, anziché ”dire”, dove “dire”, significa, appunto, “dire la verità”. Anche su tecnica, tecnici, innovazione e il “modernismo che cambia tutto cambia sempre anche se non migliora mai niente

La tragedia del “regno della tecnica” e del “modernismo” é la stessa di chi riduce lo svolgimento storico alla sola dialettica conservazione-innovazione che nel linguaggio moderno si chiama riformismo riflesso ideologico della pratica politica reazionaria e conservatrice – tipico dell’atteggiamento parassitario socialdemocratico – che pretende di inquadrare “a priori” una cosa complessa come “tutto il passato” nella “conservazione” (Gramsci) e quindi di inquadrare ogni “innovazione” rispetto al passato come “progressista”. Ciò è la tragedia che coinvolge e riguarda il “tecnico” o “competente” in un campo specifico, nel campo calcistico o monetario per dire di quelli più in voga e che si prospetta anche come “culto della personalità” siano essi presidenti o governatori o banchieri o calciatori, espressivo della deriva della democrazia messa in crisi dal capitalismo che declina l’individualismo proprietario in “monade” esaltative del primato e prevaricazione del potere dell’ “uno”, del “singolo”, dell’ “unico” che coerentemente col l’imposizione del “mono” di potere di stato e di governo negli aggettivi di “super” dei vari “super Mario”, calciatori, banchieri, monetaristi, manager, e cosi via. Ovvero, una traduzione “modernista” del “super uomo” o tragedia del “super uomo “tecnicoo “specialista” che “Non sono buoni che a una cosa, oltre quella, nulla”, come tra i tanti altri scrive Denis Diderot , in “Il nipote di Rameau”: opera amata e citata da Hoffaman e Schopenhauer, da Hegel nella Fenomenologia dello spirito e da Engels nell’Anti-During, un capolavoro della dialettica amata dall’altro grande della dialettica in scena B. Brecht , dove il personaggio Rameau, tra alienazione e difesa della propria individualità può rivelare le contraddizioni del mondo e denunciare la perversione assoluta di ogni valore. Per questo amato da Marx, anche per la presenza di elementi materialistici, conseguenti all’abbandonato dell’ateismo per il materialismo da parte di Denis Diderot di cui il suo opposto Voltaire dice: “è un vulcano in eruzione di idee”.

La tragedia del “regno della tecnica” contemporaneo è quella stessa del “tecnico” che ha difficoltà dappertutto perché ricade sempre in un campo specifico, nel proprio e limitato campo (“tecnico” implicitamente politico delle decisioni assunte “tecnicamente” anziché democraticamente) che frantumando l’unità del pensiero, senza cui non c’è vera cultura, impedisce una visione complessiva della realtà reale (e anche qui verrebbe da citare la frase di Hegel – richiamata da Roderigo di Castiglia, inteso P.Togliatti – a proposito della “verità astratta” che è tale se non coglie l’insieme ma solo una parte della realtà) e riducendo la storia alla sola dialettica conservazione-innovazione, considera “progressista” ogni dissoluzione e innovazione dell’esistente e un progresso anche il progredire verso l’abisso. Un reale fenomeno di decadenza, un’utopia pessimistica fatta propria dalla “sinistra”, e di tipo assai comico. Le utopie, infatti, sono, all’opposto, desideri sognati su come dovrebbe essere il mondo. Ma qui e ora avviene il contrario, in cui – e come nel Mondo nuovo di Huxley – si viene descrivendo ed esaltando la totale disumanizzazione del mondo, in nome della tecnica e della modernizzazione capitalistica, come negli 20 e 30 in Germania.

Il mondo della “tecnica” dei “tecnici”, della “modernizzazione” e della “innovazione” uguale a “progresso”, oggettivizza la crisi universale delle classi dirigenti e dell’egemonia culturale del capitalismo, dove, come diceva Herzen del modernismo zarista, “non si lascia nulla in pace, innovando e cambiando sempre e continuamente anche se non migliora e non si migliora mai niente”

Marxismo terrorismo e guerra nella fase dell’imperialismo transnazionale, della peculiarità della crisi economica mondiale, dei nuovi rapporti internazionali e del “culto della personalità”

1. L’uso e la nozione del concetto di “terrorismo”, a cui si è fatto e si fa ampiamente ricorso, richiede almeno una serie di specificazioni.

Al di la del terrorismo condannato dalla I Internazionale e da Marx e poi da Lenin, si deve pure riconoscere che la qualifica di “terrorismo” oggi si tende ad affibbiarla ad ogni forma di resistenza o di insorgenza sociale: non va dimenticato che se in passato sono stati “terroristi” i “vietcong” e tutti i movimenti di liberazione, oggi sono qualificati come tali i movimenti di resistenza sociale come il movimento dei contadini brasiliani, dell’Amazzonia e degli altri Paesi latino americani, che occupano le terre illegalmente possedute dai latifondisti, che si oppongono alla distruzione della foresta, ecc., e che in ogni caso, anche quando, come in Columbia, ricorrono alle armi, sono espressione di un fatto collettivo, quindi sociale, spesso di massa, di classi sociali disperate e immiserite più di prima da una cosiddetta globalizzazione che economicamente ha letteralmente ipotecato (vale l’esempio dell’Argentina per tutti) interi paesi e a seguire, da colonie economiche e “cortile di casa” degli Stati Uniti stanno progressivamente diventando vieppiù colonie politiche e militari, proprio grazie alle “democrazie” e ai loro governi (di centro sinistra o di centro destra non fa differenza) che succedute alle dittature spingono l’asservimento ben oltre dove le stesse dittature militari non avevano osato e non potevano arrivare, a dimostrare che la “dipendenza” politica e l’insediamento nel territorio delle forze militari nord-americane è il seguito quasi immediato della esportazione delle forme di produzione e dei rapporti sociali capitalistici che avviene con la cosiddetta “globalizzazione”.

La nozione di terrorismo va rifiutata se non viene specificatamente caratterizzatain un mondo reale in cui “terrorista” è diventato una “variabile dipendente” da “quando” “con chi” e “contro chi” si sta.

Da Begin a Saddam, da Rabin ad Arafat, da Sharon a Bil Laden, dalla Libia al Pakistan, ecc., si è terroristi a fasi alterne. Così come ai tempi della firma degli accordi di pace per la Bosnia Milosevic non era terrorista, ma per la NATO era terrorista Djindjic che rifiutava gli accordi; lo stesso Djindjic che però, a sua volta, non è più un terrorista da quando è diventato uomo di fiducia della Germania e degli occidentali nella ex Jugoslavia, ed è così diventato presidente della Serbia, per l’occidente è un “vero democratico”, proprio perché ha violato la stessa Carta costituzionale del suo Paese, proprio perché ha violato il diritto interno e internazionale consegnando Milosevic al Tribunale Penale “angloamericano” per la ex Jugoslavia, istituito e finanziato dagli stessi Usa; USA che però a loro volta sabotano l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale, anche perché forse temono di dover rispondere di qualche cosa ma, soprattutto, perché preferiscono farsi vendetta da sé, come da sempre fanno, dal Far West a tutt’oggi, con la pena di morte, più per rimuovere un problema piuttosto che per fare giustizia e risolverne le cause.

Così, anche in conseguenza di ciò, oggi nel mondo ci troviamo di fronte ad opposti poteri violenti che in nome della “modernismo” mettono in forse e in discussione la possibilità utilmente di riferirsi a tutto quel pensiero politico e filosofico che dal ‘500 in poi ha cercato di emancipare il mondo e i popoli da una storia di barbarie. (1-continua).

 

1) Scritto in forma di “semilavorato” per il convegno “La nuova fase dei rapporti mondiali e peculiarità della crisi economica mondiale – il Mondo di fronte alla guerra , qui in parte aggiornato in alcuni richiami e con note e considerazioni aggiuntive rispetto al testo “semilavorato” e pubblicato in “Il mondo dopo Manhattan-I comunisti di fronte alla guerra”, a cura S. Manes, Ed. La città del sole)

 

Marxismo, terrorismo e guerra (1). 11 settembre USA e fase dell’imperialismo transnazionaleultima modifica: 2012-11-11T08:10:00+01:00da iskra2010
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