CASO MORO – PRIMA PARTE

Pratico promemoria tascabile

(A Practical Handbook)

per la Banda degli Smemorati.

Come vincere un terno al lotto e vivere felici e contenti

 

  • Soldi, soldi, soldi

Sostiene l’ex antagonista di Potere Operaio, Ugo Maria Tassinari, nell’articolo “[Il caso] Le Br 41 anni dopo provano a spiegare perché non usarono le carte di Aldo Moro” e pubblicato da https://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/br-provano-spiegare-perche-non-usarono-carte-moro/, che si interroga su perché le Br non resero pubbliche le rivelazioni di Moro sull’esistenza di Gladio e su Sindona, la mafia e la P2:

Le Br avevano deciso di utilizzare parti del Memoriale come materiale da inserire in eventuali rivendicazioni di attentati contro personalità, citate da Moro proprio nella sua difesa scritta. Circostanza che spiega, ulteriormente, perché il suo contenuto non poteva essere anticipato senza mettere in allarme i futuri obiettivi e, dunque, pregiudicare gli sviluppi successivi dell’azione brigatista”.

Così racconta. Ma le sue sono solo chiacchiere, i fatti sono ben altri. Nel comunicato numero 5 del 10 aprile 1978 i brigatisti chiedono, in modo neppure tanto implicito, un po’ di soldi (“ogni cosa ha il suo prezzo”, scrivono). Tutto fa pensare che lo Stato abbia sganciato per il loro silenzio. Anche per il senatore Massimo Brutti, che è stato vicepresidente del Comitato parlamentare per i Servizi di Informazione e Sicurezza e per il Segreto di Stato, la trattativa fra Br e Stato si conclude “forse con un forte finanziamento delle Br” (Adnkronos 22/10/2007).

Da vicepresidente del Comitato il senatore Brutti critica duramente Paolo Guzzanti   che ha gestito faziosamente la commissione sul Dossier Mitrockhin da lui presieduta, tirando fuori di nuovo la pista palestinese (un’invenzione di Vito Miceli e di Luciano Infelisi già pronta il 16 marzo 1978, per accreditare la presenza di kalashnikov e dell’URSS dietro l’affare Moro). La pista palestinese, tormentone buono per ogni stagione, come i Cerchi nel Grano, il mistero di Fatima e i Marziani Fra Noi, è un chiodo fisso dei fascisti e di Cossiga. Anche per la strage della stazione di Bologna (2 agosto 1980) fascisti e Servizi riprendono fuori dal frigo il minestrone della pista palestinese, come fa anche Ugo Maria Tassinari in questo suo peloso intervento di sostegno alla verità delle istituzioni.

  • Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere

Mentre i tassisti e i portaborse della gang si perdono in chiacchiere, andiamo a vedere i fatti e confrontiamoli con le loro bugie passate, presenti e minacciate in futuro, loro che si ritengono, sostiene il brigatista Tassinari, giornalisti “indipendenti”: termine il cui significato senza dubbio gli sfugge, perché indipendente, in italiano, vuol dire che non è sul libro paga di nessuno.

Incalza Tassinari:

Quarantun anni dopo arriva finalmente, dall’ambiente brigatista, una spiegazione a uno dei più evidenti “buchi” nella ricostruzione del sequestro e dell’uccisione del presidente democristiano. Perché le Brigate rosse non diffusero, come annunciato nel corso dei 55 giorni che sconvolsero l’Italia, i verbali del “processo popolare” che si concluse con la condanna a morte del leader dc?”

L’abbiamo già detto, ma lo ripetiamo volentieri. Perché non diffusero i verbali? La risposta è: perché furono pagati per non diffonderli. Per questo i brigatisti hanno perso la memoria: non possono contraddire i desiderata dei loro padroni e rischiare di perdere anche la pensione. Con quel che costa la vita oggi!

Bello, anche stilisticamente, nella prosa del prof. Ugo Maria Tassinari il seguente passo: “la spiegazione che arriva finalmente, quarantun anni dopo, dall’ambiente brigatista”…. Ma per guardarsi nello specchio, farsi le domande e darsi le risposte, perché far passare 41 anni? Forse perché la minestra è più buona se è rafferma? Forse perché i compagni sono un po’ lenti? Forse perché non vengono più costruite false flag sulla pista palestinese? Forse perché la storiella non regge nemmeno riscaldata, se qualcuno si prende la briga di confrontarla con i fatti?

Ecco i fatti, dunque. Prendete appunti, smemorati di Collegno!

Nel network internazionale responsabile della logistica, della preparazione e dell’attuazione della strage degli agenti e del sequestro di Moro c’erano uomini del Sisde, del Sismi, della Decima Mas, di Gladio, della mafia, gli alti ufficiali degli Stati Maggiori di Polizia, Aviazione, Marina ed  Esercito, il Comsubin, una rappresentanza della P2 ed anche i brigatisti. Ma la narrazione di Persichetti, sodale di Tassinari e socio della Banda dell’Amnesia, seguìto incautamente dal giovane De Luca, da Lofoco spento, da Andrea Colombo de il manifesto e da qualche altro sprovveduto adepto come l’ineffabile Bianconi, inviato speciale del Corriere nel Nulla, è molto riduttiva, non è affatto internazionale ed è alquanto artigianale.

Secondo questa narrazione, per organizzare la strage di via Fani e il sequestro di Moro le Brigate rosse avevano chiamato a raccolta, per tempo, le migliori professionalità reperibili sul mercato – forse per accedere ai fondi europei di sostegno ai mestieri che scompaiono. Ecco come narra la cosa il brigatista Persichetti [Clementi, Persichetti, Santalena: Brigate rosse, pag. 171] :

Era ancora l’alba quando a Roma, il 16 marzo 1978, un gruppo di dieci brigatisti si immerse nel traffico per raggiungere il luogo dell’appuntamento. Si trattava di un contadino, un tecnico, un assistente di sostegno, un artigiano, uno studente, due disoccupati, un commerciante e due operai. Appartenevano alle Colonne di Roma, Milano, Torino ed erano intenzionati a compiere un’azione armata senza precedenti…”

Capito, poveri lettori presi per il naso? C’erano in tutto solo dieci persone, dieci persone “normali”: un contadino, un tecnico, un assistente scolastico, un artigiano, uno studente, due disoccupati, un commerciante e due operai. Mancava solo un idraulico. Peccato! Sarebbe stato utile nel covo di via Gradoli, dove la doccia perdeva.

  1. Operai, operai, operai

Ma per fortuna non mancano i compagni meccanici: Fiore Raffaele e Seghetti Bruno nella tarda serata di mercoledì 15 marzo 1978, mentre la Tv trasmette Juventus-Aiax, la partita di ritorno dei quarti di Finale della Coppa dei Campioni, squarciano le quattro gomme del furgone rosso con cui il fioraio ambulante Antonio Spiriticchio si piazza ogni giorno, meno il lunedì, giorno di riposo, all’angolo fra via Fani e via Stresa, per mettere sul marciapiede i suoi fiori.

Il fiorista Antonio Spiriticchio

Perché Fiore e Seghetti sabotano il furgone? Per permettere alla Austin Morris azzurra targata Roma T50354 di occupare quel posto e di ostacolare il disimpegno di Domenico Ricci, l’autista della 130 blu di Moro, dopo che la 128 familiare targata CD 19707 fermandosi improvvisamente all’incrocio l’ha costretto ad una brusca frenata. Se non ci fosse quell’auto, per la quale i brigatisti hanno liberato il posto, Ricci potrebbe superare da destra la 128 familiare e sfuggire alla trappola.

L’Austin Morris azzurra targata Roma T50354 posta molto distante dal marciapiede per impedire alla macchina di Moro di disimpegnarsi e sfuggire all’agguato

La ricostruzione al computer delle posizioni delle auto in via Fani durante la strage della scorta e il rapimento di Aldo Moro

La 130 blu di Moro, dopo che la 128 familiare targata CD 19707 fermandosi improvvisamente all’incrocio l’ha costretto ad una brusca frenata

Il fatto è, cari soci della Gang del Fumo, che quell’Austin Morris targata Roma T50354 che voi avete favorito sabotando il fioraio, non è mica di una ditta qualsiasi: è della Società Poggio delle Rose, una società di copertura del Sisde. Non ve l’avevano detto, coglioncelli?

L’Austin Morris, la cui targa (Roma T50354) è ben visibile in molte foto, era stata acquistata un mese prima dell’operazione Moro da una società immobiliare di nome Poggio delle Rose che aveva sede in questo palazzo nella capitale, in Piazza della Libertà 10, esattamente nello stabile nel quale si trovava anche l’Immobiliare Gradoli Spa riconducibile a fiduciari del Sisde

 E dall’altra parte della strada una Morris Cooper targata Roma T32330, dietro la quale si nascondono altri killer che sparano proiettili calibro 9 lungo e 9 corto, non è mica di un privato qualsiasi. Il suo proprietario è il colonnello dei Servizi Tullio Moscardi, esperto in azioni coperte, arruolatore di incursori, ex ufficiale della Decima MAS, per conto della quale aveva messo in piedi nel 1945, insieme ai nazisti, la Banda Versini, ed esperto di reti Stay Behind, con reparti speciali che agiscono nell’ombra, colpiscono velocemente e spariscono, così come sono apparsi.

La Morris Cooper targata Roma T32330 del colonnello dei Servizi ed ex ufficiale della Decima MAS

Solo i brigatisti rimangono come allocchi lì all’incrocio, sia perché hanno i riflessi lenti, in tutti i sensi, sia perché in quell’azione loro ci tengono a essere visibili, a metterci la faccia e la firma, e vogliono farsi vedere, come le comparse, che sollecitano gli applausi del pubblico sulla scena e fanno teatro. Poi, meravigliati di aver fatto da soli tutto quel casino, perdendo un paio di baffi, un parrucchino, una borsa, un caricatore, un bottone da carabiniere e chissà cos’altro, si risvegliano dal torpore e improvvisamente diventano veloci. Beh, proprio veloci no. Diciamo svelti, anche se uno di loro è ferito, non si sa se perché è stato colpito da un agente o se per errore è stato colpito da un br con la tremarella.

Comunque, per scappare scappano, fermandosi ai semafori, da bravi rivoluzionari. Quello che non si spiega è perché fanno tutto il giro del quartiere, perdendo tempo e correndo rischi, quando in trecento metri avrebbero potuto essere in via Trionfale, da dove, svoltando a destra in una curva a U, avrebbero raggiunto subito via Casale De Bustis (dove in effetti erano diretti), risparmiando tempo.

Si vede che non gli funzionava il Tom-Tom.

Perché i BR fanno tutto il giro del quartiere, perdendo tempo e correndo rischi, per arrivare in via Casale De Bustis?

  1. Macchine, macchine, macchine

Sulla scena del crimine, accanto ai criminali ci sono le loro macchine. Una è quella 127 bordeaux targata Roma T51134, messa contromano di fronte alla Mini Cooper del colonnello Tullio Moscardi, muso contro muso. Fra le due auto sbucano due killer in borghese che sparano i loro proiettili calibro 9 lungo e 9 corto contro l’Alfetta della scorta e i suoi occupanti. Nel primo pomeriggio la 127 bordeaux se ne va tranquillamente senza che nessuno la trattenga, e rimane in servizio anche dopo la strage: viene vista dal teste Roberto Vasselli domenica 19 marzo con tre brigatisti a bordo, in località Tor di Mezza Via.

La 127 bordeaux targata Roma T51134, messa contromano di fronte alla Mini Cooper del colonnello Tullio Moscardi

Un’altra macchina, una Fiat 850 bianca targata Roma A40051, ferma contromano di fronte all’edicola di Pistolesi (via Fani 93) è parcheggiata spesso – con portapacchi o senza – nel cortile interno della Questura, da dove, alle 8,30 del 16 marzo, parte l’Alfasud della DIGOS targata Roma S88162, con il suo carico di funzionari diretti in via Fani. Partono presto, mezz’ora prima della strage (tre deposizioni nel giro di un anno dell’autista Emidio Biancone; vedi Relazione Commissione Moro 2015, pp.210-211), perché evidentemente non vogliono arrivare tardi all’ammazzatina e fare brutta figura con i colleghi che sono già sul pezzo.

Un’altra automobile interessante è una Mini Cooper bianca (Roma L14301) nella disponibilità di un giornalista, Ezio Zefferi, proveniente da Tunisi, in rapporto con i Servizi del Comando Alleato nel 1945 e forse con i Servizi nostrani nel 1978, residente in via Brunate, a 100 metri dal luogo della strage; qui ci sono anche Bruno Vespa ed Ernesto Viglione (via Fani 109, tel. 3498659 con segreteria telefonica, e via Fani 121), giornalisti l’uno e l’altro, implicati, per motivi diversi, nel caso Moro.

Un’altra macchina interessante è la A112 targata Roma P55430, di color verde chiaro con tettuccio crema, parcheggiata dal br Morucci a pochi metri dal numero 117 di via Stresa. Singolare è il percorso della A112 per arrivare lì: sceso giù da via Stresa verso via Fani, all’altezza di via Madesimo, Morucci volta a destra, sbuca in via Fani nei pressi dell’edicola che è al numero 93, volta a sinistra verso l’incrocio con via Stresa, e all’incrocio volta di nuovo a sinistra, imboccando via Stresa, dove si trovava anche prima di fare il giro dell’oca. Strano è il numero civico accanto al quale si ferma, il 117: è una palazzina a disposizione di alti ufficiali di Gladio, come il colonnello Giuseppe Podda (tel. 340042), responsabile dell’Ufficio R sezione SAD, da cui proviene la macchina tipografica del br Triaca; e di capi dei Servizi, come il generale Siro Rosseti (tel. 982332123) del SID, ex tesoriere della prima Loggia P2 e presente nell’agenda telefonica di Licio Gelli; il Capitano di Vascello Umberto Aliberti, esperto di tecniche di controinsorgenza, cioè di Guerra Non Ortodossa, ossia di stragi e di omicidi effettuati a scopo preventivo (tel. 344350). Lì abita anche il colonnello Armando D’Ambrosio, amico del colonnello Camillo Guglielmi, che aveva abitato lì anche lui, all’interno 1, tel. 3497820.

                

Anche il gladiatore Guglielmi, con la sua squadra Comsubin di incursori con licenza di uccidere (squadra K, dove K sta per killer) è della partita. In italiano corretto si potrebbe dire che comanda una squadra di assassini. Ma è più fine dirlo in inglese. Killers suona meglio.

La A112 che Morucci porta sotto casa dei generali di Stato Maggiore di Esercito, Marina e Aviazione sembra poco adatta all’incarico che deve svolgere. Ha solo due portiere e per accedere ai sedili posteriori bisogna spostare in avanti quelli anteriori; il piccolo bagagliaio, situato dietro il sedile posteriore, è accessibile soltanto dal portellone posteriore, basso e largo; l’auto è omologata per quattro persone, compreso l’autista. Eppure Morucci racconta di averci fatto entrare quattro passeggeri vestiti da avieri, oltre a lui, con due grandi borse Alitalia piene di mitra che servivano per la strage; o conta delle balle anche su questo punto, oppure è molto bravo nel tenere in ordine gli armadi.

Ma perché parlare ancora di automobili, della Fulvia Coupé, del Camper sospetto, di numeri di telefono eccellenti, di palazzine della mafia, di bar frequentati da fascisti, aperti e chiusi, di poliziotti che scendono dalla 128 familiare targata CD 19707, di garage, di appartamenti dell’ENPAF, di monolocali e di doppi servizi ? Fra l’altro queste sono cose che con un po’ di buona volontà chiunque può trovare già nei verbali del 1978, subito dopo la strage. Ma i soci della banda del Fumo non hanno ancora letto, quarantun anni dopo, le testimonianze del 1978.

Sono troppo lenti, sopravvalutati, davvero poco professionali.

Perché continuano a tacere cose essenziali?

O conoscono l’argomento molto male oppure sono stati pagati molto bene.

 

Lo staff di iskrae.eu

CASO MORO – PRIMA PARTEultima modifica: 2019-05-14T12:22:02+02:00da iskra2010
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