Il Piano del Lavoro da Di Vittorio-Breglia e Caffé alla farsa di Napolitano

 

100_2556+logoMOWA.jpgfoto MOWA

Di Angelo Ruggeri 

Il Piano del Lavoro: dal dramma alla farsa. Da Di Vittorio e Alberto Breglia, volti a contrastare col Piano del lavoro la politica economica che da De Gasperi a Napolitano-Monti ripete sempre se stessa, all’uso strumentale e farsesco della storia da parte di Napolitano-Maccaluso e degli Alesina-Giavazzi, veltriloqui di Monti.

Il segretario Fiom se ne lamenta giustamente, ma… 

Giunte civili. “Facendo leva sul ricatto del fallimento e sulla paura del caos, due ex banchieri, Papademos e Monti, hanno preso il potere ad Atene e a Roma. Non si tratta di “tecnici” apolitici, bensì di uomini di destra (come è di destra il capitalismo – n.d.r), membri della Commissione Trilateral, nota per aver denunciato l’eccesso di democrazia nelle società occidentali…”( Serge Halimi, autore de “Il grande balzo all’indietro”, docente a Berkeley e Università Paris VIII-1/12/2011) 

Il suicidal deflationary dell’Italia. 

Periodici sono gli impegni rituali per l’adozione di provvedimenti tonificatori per la ripresa produttiva. Perseverante è il carattere ripetitivo e, sempre, tardivo di impegni del genere, che hanno ridotto l’azione ad una monotona politica del tempo perduto, da De Gasperi a Napolitano-Monti, passando per La Malfa e i governi centristi e di centro sinistra, ai governi del CAF e della sinistra-centro degli anni 90. 

NOTE e REMIMISCENZE. Avevamo i calzoni corti e già sentiamo parlare delle “due fasi”, segnatamente da La Malfa senior, a causa del “peso sproporzionato” che già dal tempo del Piano del lavoro del 1949 (presentato ufficialmente nel 1950), “la politica italiana attribuisce alla ricostruzione e alla difesa delle riserve valutarie: versione originaria di ciò che diverrà nelle più sofisticate versioni successive e di oggi ‘il vincolo della bilancia dei pagamenti’. Gli stessi osservatori stranieri rimproveravano all’Italia il suicidal deflationary scramble for dollars, e le autorità assumevano uno dei rituali periodici impegni per l’adozione di provvedimenti tonificatori per la ripresa produttiva, con carattere ripetitivo e sempre tardivo di impegni del genere che hanno ridotto l’azione ad una monotona politica del tempo perduto” (F. Caffè) 

Ne ha ben donde il segretario della Fiom di lamentarsi dell’uso strumentale che Napolitano e i suoi dionisiaci sostenitori (tra cui il suo sodale Macaluso) fanno del Piano del Lavoro della CGIL di Di Vittorio, che tra l’altro, all’opposto di quello che si propongono Napolitano e Monti con la liberalizzazione dei licenziamenti e l’ulteriore liberalizzazione del mercato e dei capitali, del passaggio alle assicurazioni private, e, con le privatizzazioni, il passaggio agli enti di diritto economico privato,

il Piano del Lavoro poneva al centro (ad es.) l‘Ente economico di diritto pubblico per la trasformazione fondiaria, l’Ente nazionale di diritto pubblico dell’elettricità, l’Ente nazionale di diritto pubblico dell’edilizia popolare, e così via. 

Il segretario Fiom si lamenta, come colpito da un boomerang, dall’uso strumentale della storia, reso possibile, però, anche da giornali come Liberazione e il Manifesto, ma soprattutto dai segretari stessi della Fiom (lo diciamo perché teniamo in maggiore considerazione le affermazioni del segretario di un sindacato come la Fiom, piuttosto che quelle della “sinistra” e dei suoi giornali). In particolare il suo predecessore (non credo solo a suo nome), emulando il famigerato Marco Revelli, ha invitato a rompere con la storia cancellandone via, anche dalla sola memoria,  “tutto il 900” e le idee del passato di cui Landini è un prosecutore, non solo perché si vanta di non avere cultura teorica, ma anche per non aver corretto alcun che di quel tipo di atteggiamento volto a legittimare l’esistente, recidendo le connessioni col passato anche più recente. Questo lo porta, giustamente, a lamentarsi, ma anche a non ben conoscere ed inquadrare, in una analisi organica e quindi in una giusta prospettiva storica, la farsa sul Piano del Lavoro del ‘49 con cui  i vertici di stato e di governo, sotto l’egemonia dei poteri internazionali del capitalismo finanziario, cercano di portare il gregge  a bere l’acqua avvelenata di un tipo di economia che, col Piano del lavoro e come ben riassume Federico Caffè, non si voleva affatto bere ma bensì cambiare alla fonte. 

Si dovrà e torneremo a parlarne. Intanto vediamo. 

Federico Caffè: “Al Piano del lavoro è legato il nome di Alberto Breglia, al cui esempio di intransigente coerenza e di lotta ideale senza cedimenti in tante occasioni abbiamo avuto la necessità di richiamaci… Quando Antonio Pesenti (prestigioso economista del PCI), occupandosi generosamente di un mio libro, osservò che il problema dell’intervento pubblico nell’economia era da me visto “in modo ben più asessuato di quanto lo vedeva il compianto Breglia, sapeva bene l’efficacia con cui la sua critica mi avrebbe toccato….”; il Piano del lavoro è considerato quasi “una rivalsa al clima che aveva portato, dal 1947 in poi, ad una politica economica (del governo De Gasperi) “per i ceti medi” (che furono la base di massa della nascita del fascismo movimento interclassista e lo divennero dell’interclassismo della DC); nonché un punto di raccordo delle istanze di ispirazione popolare che dovevano condurre nel 1953 al rigetto della legge elettorale maggioritaria”, cioè di quella Legge Truffa del 1953 che dava seggi in più alla coalizione di chi superava il 5O/%, contro cui combatterono e vinsero la CGIL di Di Vittorio, il PCI e le forze socialiste e democratiche del Paese, gli eredi delle quali, oggi, accettano Leggi Truffa che con premi di maggioranza, o sbarramenti, danno seggi e rendono maggioranza anche chi non supera il 5O%. Tutte, quindi, Leggi Truffa molto più truffaldine di quella del 1953, tutte variabili tecniche di quella manipolazione dei voti, tramite leggi elettorali, iniziata con la Legge Truffa uninominale del 1993 (c.d. “mattarellum”) introdotta dal golpe” di coda di Ciampi: quando il suo governo, ormai, non aveva più la maggioranza ed era dimissionario. 

Ma – continuava Caffé – “sul piano economico, era stata ormai compiuta una scelta irreversibile verso un tipo di economia aperta (ed ancor più aperta è quella di oggi) che, mentre si dimostrava incapace di erodere le posizioni monopolistiche e parassitarie all’interno, (come e ancor più oggi) non poneva remore efficaci alla esportazione illegale di capitali” e che dal governo Amato del ’92 in poi, è stata persino “liberalizzata”, e viene altresì garantita sia dal giolittismo e depretismo di Napolitano-Monti e sia dalla nuova e palese “Triplice” BCE-Commissione UE-F.M.I., in-vece della vecchia e segreta “Triplice” del 1882, a cui aderì segretamente il governo di “sinistra” di De Pretis, e che, per la Germania di Bismarck, come per altro verso e mutatis mutandis per la Germania di Merkel, rappresentò il completamento del suo sistema di alleanze, dopo la “Lega dei tre imperatori” Austria-Ungheria, Germania e Russia del 1873. 

NOTA.

Mutatis mutandis.

E’ sufficiente, come dire, osservare l’enorme differenza tra i personaggi in campo al tempo della proposta del Piano del lavoro, i giganti allora e i pigmei o le pulci che anche i cavalli di razza, come il PCI, avevano nelle criniere e che oggi saltabeccano e vociferano, via etere o mass media, come Umberto II fa dal Quirinale e Macaluso, sodale di Napolitano da mezzo secolo, da “Il reazionario” (c.d. Il Riformista) per evocare il coraggio del sindacato, in momenti di emergenza, di saper rinunciare come secondo loro fece Di Vittorio col Piano del lavoro, persino – (Macaluso) – “ad una parte del già misero salario” quale era quello dei braccianti agricoli. 

Già solo con Federico Caffè si può cogliere che il Piano del lavoro era volto, semmai, a contrastare “un tipo di economia aperta” che, come e ancor più quella di oggi, è “incapace di erodere le posizioni monopolistiche e parassitarie all’interno e che non pone remore efficaci alla esportazione illegale di capitali”. Non già, quindi, ad alimentare e a sostenere tale economia facendo sacrifici (oltre a tutto inutili) come, viceversa, vorrebbero Napolitano,  Macaluso,  i loro emuli e i ditirambici sostenitori acritici di Monti e dei suoi allievi e mentori, quando evocano il Piano del lavoro (presentato ufficialmente nel 1950) un punto di raccordo delle istanze di ispirazione popolare che dovevano condurre nel 1953 al rigetto della legge elettorale maggioritaria”. Legge maggioritariache, invece, Napolitano, insieme a Monti a alla sua “sinistra” e “destra della borghesia, intende assolutamente mantenere, all’opposto della CGIL di Di Vittorio che si muoveva nel quadro del sistema proporzionale integrale e che anche col Piano del Lavoro e raccordando le istanze popolari mirava a difendere il proporzionale puro dalle Leggi Truffa dei governi Scelba, prima, e poi Ciampi, Berlusconi, Prodi, D’Alema, Amato e Napolitano-Monti . 

Dal dramma alla farsa del governo di Napolitano e della Triplice BCE-UE e di quel FMI la cui principale ricetta di liberalizzazione è la liberalizzazione dei licenziamenti che, assieme alle privatizzazioni, ha portato non a salvare o a rilanciare, ma a distruggere quel che restava della capacità di produrre e quindi di pagare il debito dell’economia greca, ricetta per cui la BCE passa soldi, anche nostri (260 milioni), per il “salvataggio” anche dell’Italia, aggirando i Trattati che lo impediscono e accelerare (come avevamo già previsto ai primi di novembre) tali e tale liberalizzazione dei licenziamenti. Tutto questo magari in cambio di un pezzetto di tenda ad ossigeno in cui rinchiudere e far sopravvivere in attesa della morte, un po’ dei sopravvissuti al massacro sociale il c.d. “salario sociale”detiene il record del maggior numero di cittadini e di lavoratori suicidi nel mondo. 

Il Piano del Lavoro da Di Vittorio-Breglia e Caffé alla farsa di Napolitanoultima modifica: 2012-01-17T08:02:00+01:00da iskra2010
Reposta per primo quest’articolo