W IL 25 APRILE. MA QUALE?

 

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DAL 25 APRILE e PRIMO MAGGIO DI LOTTA PER LA DEMOCRAZIA SOCIALE, DI LOTTA DI CLASSE LEGITTIMATA DALLE TEORIE ANTIFASCISTE DELLA “SOVRANITA’ POPOLARE” Al 25 APRILE COME DATA ORMAI USATA QUALE UNICA OCCASIONE ANNUALE PER UN MISTIFICATORIO EMBRASSON NOUS DEGLI “EX RESISTENZIALISTI ANTIFASCISTI” E DI UNA BORGHESIA DI c.d. SINISTRA, DI GIURISTI, POLITICI E SINDACATI IPOCRITI DIFENSORI DELLA COSTITUZIONE, CHE ABBANDONATO L’ANTIFASCISMO FONDATIVO DELLA DEMOCRAZIA, DELLA REPUBBLICA E DELLA COSTITUZIONE, CON CONCLAMATO REVISIONISMO COSTITUZIONALE TRAMANO E MISTIFICANO DI DIFENDERLA “CAMBIANDO” LA CARTA DEL 1948 DI DEMOCORAZIA SOCIALE IN UNA C.D. “DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE” BORGHESE/LIBERALE

 

 

di Angelo Ruggeri

Da anni si ripetono ipocrite celebrazioni del 25 aprile da parte dei sostenitori della revisione “autoritaria” della Costituzione,  fautori della cosiddetta “difesa della Costituzione” che invece si segnala come il suo snaturamento nell’ENFATICO SEGNO “ANTIBERLUSCONIANO” MA NON ANTICAPITALISTICO. Un embrasson nous che si invita a fare assieme, tra ex repubblichini ed ex resistenti e tra TUTTI I REVISIONISTI sostenitori del revisionismo storiografico-teorico-costituzionale, in un ARCO ANTICOSTITUZIONALE di fautori delle smanie neo-autoritarie, federaliste e presidenzialiste della destra e della “sinistra” e DEI VALORI CONTRASTANTI CON QUELLI DELLA RESISTENZA ANTIFASCISTA POSTI A FONDAMENTO DELLA DEMOCRAZIA DOPO LA SCONFITTA NAZI-FASCISTA.

Per difendere la Costituzione nata dal 25 aprile di Liberazione e vittoria della Resistenza, la si deve rilanciare e si deve fare atto di sottomissione autocritica da parte di chi si è proposto e si propone ipocritamente di “cambiarla” mistificando di “difenderla”  snaturando la sua propria “democrazia sociale”  in “democrazia liberale”, ottocentesca e da albori dello stato liberale borghese.  Perché una cosa è che quel “fondata sul lavoro” (dell’art.1 C.) sia l’archetipo di una strategia di trasformazione dei rapporti sociali di produzione, un’altra è che dicendo “anche le Costituzioni invecchiano”, riferendosi alla nostra che è quella più recente e del più moderno costituzionalismo democratico e occultando quanto sia vetero il costituzionalismo liberale e la settecentesca e mai “cambiata” Costituzione USA, in nome di un “embedded liberalism” e di un mistificatorio ” si punti ancora ad una mera politica ridistributiva nella quale i diritti sociali siano compatibili e subalterni ai criteri di economicità posti a salvaguardia del profitto assunto come paradigma della stabilità economica e di una coesione sociale dipendente dai poteri e dalle classi dominanti.

Negli anni ‘60 e ‘70 se nel giorno della Liberazione, a tenere l’intervento ufficiale arrivava un giurista lo si contestava e talvolta lo si cacciava, proprio perché la nostra è una Costituzione di democrazia sociale, l’unica che non sia state fatta dai giuristi, con “ingegneria giuridica” e confrontando teorie giuridiche, ma bensì nata nel confronto dialettico tra teorie politico-sociali, per cui si voleva che intervenissero politici e sindacalisti, non dei giuristi.

Oggi invece la pseudo-sinistra si affida ai giuristi c.d. “democratici” ma comunque impregnati e succubi delle teorie giuridiche proprie della borghesia che ha giuridicamente fondato lo Stato c.d. “di diritto”. Per cui, ad esempio, in questi giorni abbiamo letto che la banfiana Rossana Rossanda si è fatta spiegare da Luigi Ferrajoli (che nemmeno è un costituzionalista ma è un penalista) e da Gaetano Azzariti – entrambi fautori del revisionismo costituzionale a favore di una “democrazia costituzionale”, liberal-borghese, anziché della democrazia sociale sancita del Carta del 48) – cosa può o non può fare Napolitano che Lei – richiamando l’inintelligente ad Asor Rosa – e forse perché ormai vive nella Francia dell’autoritarismo presidenziale e gollista – pensava potesse intervenire presidenzialisticamente.

Cara Rossanda, quello che “é’ chiaro” non è solo “che i padri costituenti non avevano neppure immaginato un premier come Berlusconi” come hai scritto, ma che Loro non immaginavano un Berlusconi perché avevano fondato il sistema politico sul proporzionale “puro”. Sistema che tu, come tutta la pseudo-sinistra, neanche lo rivendicate più: per cui te la prendi solo col porcellum anziché andare alla radice del problema. Ovvero denunciando il fatto che Berlusconi è nato ben prima del porcellum e che è un prodotto del maggioritario in quanto tale, a fronte del quale, come tutta la “sinistra” tutta, ti limiti ad invocare un “proporzionale decente”: proprio come i giuristi a cui ti rivolgi e che mistificano come “proporzionale decente” quello tedesco, che invece per una parte è maggioritario e per l’altra, con lo sbarramento cancella i voti che stanno sotto di esso e – come un premio maggioritario – li ridistribuisce a chi sta sopra.

Basta domandarsi come mai lo scenario di oggi sia esattamente rovesciato rispetto allo scenario degli anni 60-70 – quando con le lotte sociali improntate all’idea del socialismo si rimuovevano l’ideologia del profitto e, quindi, del governo come gestione degli affari – per compredere come a ciò si sia pevenuti – tramite le degenerazioni organizzate a partire dal 1979 in poi, col revisionismo istituzionale volte al primato dell’economia (quindi del privato e del profitto) sul primato della politica (quindi della democrazia e del pubblico) a causa dell’abbandono della teoria antifascista della sovranità popolare, con gli esiti disastrosi che non sono solo quelli del berlusconismo ma di tanti altri “ismo” che sono sotto gli occhi di tutti. Dopo aver cancellato il sistema proporzionale previsto dai Costituenti della Repubblica e della Costituzione, dire Difendiamo la Costituzione” altro non è che un ipocrita scarica barile della borghesia di sinistra e delle “corporazioni della “società civile” e dell’ ETABLISSEMENT del sistema di potere mass mediatico, economico e politico del PD e dei suoi alleati (passati e futuri) della pseudo sinistra “federata” (Pdci, RC, ecc.) e di quella vendoliana.

Per opporci – tra i pochi – al referendum per la responsabilità civile dei giudici promosso dai radicali, avevamo costituito un apposito “Comitato” ed in particolare la Bonfanti, L’Espresso e la Repubblica mi telefonavano in CGIL regionale lombardia e riportavano su di noi articoli (che ancora abbiamo) positivamente sorpresi della nostra iniziativa. Circa 10 anni dopo, Marco Boato ( di Lotta continua antiparlamentare ed anticomunista) per conto della Bicamerale D’Alema (“la madre di tutte le revisioni cosoituzionali autoritarie” del centro destra e del centrosinistra) elaborava un progetto sovversivo dell’ordinamente costituzionale in materia di giustizia che in modo persino peggiorativo comprendeva praticamente quanto oggi Berlusconi e Alfano presentano come la “Grande riforma” della giustizia della Costituzione. Tale “Grande riforma” viene presentata avvalendosi dei progetti del centrosinistra di cui Berlusconi si avvalse anche per presentare la Revisione costituzionale che sottoposta a referendum permise al popolo con un gigantesco No di respingere in blocco tutte le smanie neo-autoritarie del centrodestra e del centrosinistra a favore del premierato già istituito nel 1925 dall’arrembante fascismo mussoliniano.

Orbene, nei giorni in cui si presenta una c.d. grande riforma della giustizia, non c’è nessuna “sinistra” che posa dire “LA COSTITUZIONE NON SI TOCCA”, essendo stata per prima “tutta la sinistra tutta”, sia a teorizzare e poi a realizzare il revisionismo costituzionale leghista/federalista del Titolo V. Donde quando dice “giù le mani dalla Costituzione” è sol perché nel momento stesso in cui denuncia il revisionismo costituzionale del centro destra, mira artatamente a nascondere (ad un elettorato sempre più irretito nell’irresponsabilità della logica “bipolare”, sospinta dal PD e da una pseudo sinistra sull’onda della c.d. modernizzazione), quanto aberrante sia stato e continui ad essere l’impulso verso la deriva costituzionale imputabile in modo irrefutabile proprio a quel centrosinistra e pseudo sinistra che da ben più di un decennio ha puntato e punta a SPEZZARE QUELLA ORGANICA CONTINUITA’/INTERDIPENDENZA tra la PRIMA PARTE e la SECONDA PARTE DELLA COSTITUZIONE.

Con essa i partiti democratici e antifascisti (Dc, Pci, Psi, Psdi, Pri) sancirono la strategia sociale e politica dell’antifascismo vittorioso con la Resistenza e la Liberazione, rompendo con l’autoritarismo liberale pre-fascista e con il modello monarchico/liberale dello Statuto Albertino su cui aveva potuto innestarsi il regime fascista, per aprire una nuova fase storica, politica, sociale e istituzionale, mediante un inedito modello di “democrazia politica, economica e socialerepubblicana e autonomista, contro cui hanno complottato e complottano le forze conservatrici della borghesia di destra e di sinistra, che hanno delegittimato e mirano ad affossare definitivamente – nonostante il NO popolare che ha superato il quorum per altro non richiesto nel referendum dl 2006 un modello che si è posto all’avanguardia delle costituzioni post-fasciste, in quanto legittimante quel processo di trasformazione della società e dello stato capitalistico perseguibile con il concorso pluralistico di forze di sinistra, sociali e politiche, di ascendenza non solo marxista, ma anche cattolico-sociale.

“I FATTI I FATTI, NON PAROLE”, grida il protagonista de Il Tallone di ferro (che anticipò l’avvento del capitalismo nazi-fascista) Quel che, infatti, (dimostrano i fatti) che quel che è stato alla base della convergenza – alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90 – tra le forze del defunto “pentapartito” (Dc, Psi, Psdi, Pri, Pli) e le formazioni politiche sopravissute a quella che si è convenuto di definire come “crisi tangentopoli” per la revisione della Seconda Parte della Costituzione, ha avuto come motivazione (risultata ambiguamente pericolosa) l’esigenza del c.d. “adeguamento” dell’ordinamento della Repubblica ai c.d. “mutamenti” della realtà sociale – o della c.d. globalizzazione finanziaria fallita e scoppiata nella crisi economica mondiale – fingendosi di non vedere che tale convergenza concretava l’adesione di forze eredi del costituzionalismo democratico-sociale e antifascista alla strategia perseguita, esplicitamente e insistentemente, almeno a partire dal 1964, da gruppi di potere occulti e/o collegati con correnti di alcuni partiti dell’arco costituzionale (Pri, Psdi, Psi, Pli): nella consapevolezza che le forze anticomuniste avevano in ordine allo stretto nesso che i partiti di massa (Dc, Pci, Psiup) avevano saputo istituire tra la Prima Parte sui “rapporti” civili, etico/sociali, economici e politici, e la Seconda Parte sull’”ordinamento della Repubblica”, per garantire una convergenza coerente tra forma di stato e forma di governo nella strategia di trasformazione della società e dello stato che ha segnato di sé specialmente gli anni ’60 e ’70, ad onta della “conventio ad excludendum” dei comunisti dalla maggioranza governativa e quindi dal potere esecutivo.

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Se si vuol dare un senso obiettivo, allora, all’affermazione mistificante di “cambiare (sic) “ma non stravolgere la Costituzione”, lanciata dal comitato di pseudo difesa della Costituzione e da Napolitano ancora una volta in linea con l’ipocrita scaricabarile di tutti coloro che usano fingere di voler “difendere la costituzione” da altri ma non anche da sé medesimi, occorre che tali cosiddetti fautori della difesa della Costituzione e specialmente i Ds-Ppi-PD, pervengano a quella maturazione autocritica che sono emersi in alcuni componenti dei “comitati per la difesa della Costituzione” nel corso della campagna per il “no” al referendum del 2006, solo per respingere il progetto di revisione che il centrodestra aveva innervato sulle posizioni già affiorate in seno ai partiti del centrosinistra, prima ancora dell’avvento del berlusconismo: quando cioè si è aperto un vulnus nei rapporti tra la Prima e la Seconda parte della Costituzione del 1948, tramite non già – come ci si è adagiati a dire – il c.d. “superamento” dei partiti, bensì per effetto del loro snaturamento “ideologico”. Uno snaturamento intrinseco all’abbandono dell’anticapitalismo in funzione della visione dell’impresa privata come “istituzione” nella quale le forze “produttive” collaborano, sì che il primato del lucro sul salario è venuto a sancire la delegittimazione del ruolo del lavoro, quale ambito di autonomia sociale e politica che peculiarmente i Principi Fondamentali della Costituzione hanno assunto a criterio di qualificazione del nesso tra Prima e Seconda Parte della Carta del 1948.

Orbene, per ottenere che il popolo ritorni sovrano dopo aver respinto, nel segno della “Repubblica fondata sul lavoro“, un progetto di revisione della Seconda Parte (che é inaccettabile non tanto perché, come dicono con un neologismo mistificatorio i “giuristi democratici” corrivi alla strategia dell’”Ulivo”, contrastante con la c.d. “democrazia costituzionale”, ma ben più provocatoriamente perché in antitesi con l’ideologia stessa della Costituzione e quindi anzitutto con i suoi Principi Fondamentali), è indispensabile che si avvii un tipo di discussione che è stato rimosso sin da quando una parte ( la destra napolitaniana) dello stesso Pci negli anni ’80 (soprattutto dopo la morte di Enrico Berlinguer) ha convenuto sulla necessità – in cui le stesse forze della destra sociale e politica (“golpiste”, e finanche annidate nei partiti, specialmente socialisti) si sono trovate -, di aprirsi un varco per il rivolgimento antidemocratico oggi squadernato dalla maggioranza “berlusconiana”, interrompendo capziosamente e come oggi vogliono anche il proto-fascista Fini e il nazionalsocialista Violante (con la su “bozza” dicontroririforma della C.), il nesso tra Prima e Seconda Parte della Costituzione, nella chiara consapevolezza che, in carenza di uno scontro frontale, una forma di governo di tipo “autoritario” è la condizione operativa di una strategia di consolidamento del capitalismo e della classe dominante.

Trattasi, ATTENZIONE!!! di una strategia idonea a portare alle estreme conseguenze antidemocratiche quella concezione di “modernizzazione” che a suo tempo ha concorso all’instaurazione dello stesso regime fascista come regime del “capo del governo” e del carattere nazionale dell’iniziativa economica privata.

Tale rimozione ha avuto come precondizione di un disorientamento di massa, difficilmente recuperabile e tuttavia assolutamente indispensabileper evitare che i partiti dell’”Ulivo”, tornando maggioranza, riprendano quel discorso avviato con la Commissione De Mita-Jotti (1993) e con la Commissione D’Alema (1997) ora estremizzato dalla “casa delle libertà”l’abbandono dei due pilastri della “democrazia politica, economica e sociale” assunta nel modello del 1948:

sul terreno sociale, il dispiegarsi pieno dell’autonomia sociale dei lavoratori, con un sindacato di classe rivendicativo di un nuovo assetto dell’organizzazione della produzione e delle istituzioni centrali e decentrate (regioni, province, comuni);                                               – sul terreno politico, un’autonomia del parlamento dal governo, come portato di un pluralismo imperniato sul sistema elettorale proporzionale (che nel 1993 risultava applicato a tutti i tipi di elezione, escluse quelle riguardanti i piccoli comuni), dato che la estensione dell’uso del proporzionale come principio generale dell’ordinamento si innestava sull’ordine del giorno votato all’Assemblea Costituente, per ovviare al fatto che il sistema proporzionale è stato formalmente assunto solo nell’art.39 concernente il pluralismo sindacale.

Assunta la concertazione come metodo compartecipativo delle forze rappresentative di capitale e lavoro nei rapporti di classe, e il “primato dell’esecutivo” come principio antitetico alla forma di governo fondata sulla “centralità del Parlamento”, si è così pervenuti ad uno snaturamento costituzionale. Uno snaturamento consistente nell’allineamento dell’esperienza italiana (dagli anni ’90 ad oggi) alle esperienze britannica e nordamericana che – mediante le due distinte “tecniche” di “ingegneria istituzionale” del “bipartitismo”, quella del premier e quella del presidente, rispettivamente a monarchia accentrata e a repubblica federale accentrata – attuano, nelle mentite spoglie di una c.d. “democrazia classica”, un tradizionalismo autoritario consacrato dalla “stabilità di legislatura” di un esecutivo a dominanza “monocratica”. In questo quadro l’opposizione è istituzionalmente esclusa dal potere di indirizzo politico, rimanendo solo titolare di un controllo-verifica, utile eventualmente a predisporre l’applicazione del principio di “alternanza” al governo, nel contesto di una situazione socio-politica di “passività organizzata” di un elettorato consapevole dell’adesione delle contrapposte forze politiche ad una medesima ideologia di “stabilità economico-sociale”.

Il “kanzlerprinzip” erede del “fuhrerprinzip”. L’anticostituzionale verticismo statale e regionale, federal-centrale o federal-decentrato

In tale contesto,

la gravità delle elaborazioni istituzionali dell’Ulivo (ex e post), coonestate dalla prevalente dottrina costituzionalistica, consiste nella assunzione sempre più mirata del paradigma teorico-politico con cui la cultura liberal-democratica aveva bollato come “anomalo” il caso italiano, con ciò occultando dietro il diffuso anticomunismo (via via affermatosi in Germania e nella stessa Francia grazie al gollismo) una “rilettura” del modello costituzionale italiano del 1948, come se la revisione della forma di governo implicasse, già prima di entrare in vigore, l’abbandono dei principi più qualificanti della Prima Parte, e cioè quella sui “rapporti economico-sociali”, per una concezione di “stato sociale” che la stessa costituzione tedesca di Bonn presenta ben più arretrata di quella, perciò tanto più famosa, di Weimer, e che in quanto tale era destinata ad essere facilmente aggredita dalle concezioni neo-liberiste. Concezioni che – auspice il progressivo consolidarsi del potere del “mercato” ai danni dei valori “sociali”, in virtù dei Trattati europei sfociati nel conato della c.d. “costituzione europea” – sono divenute il terreno di incontro “bipolare”, quando non “bipartitico”, delle forze di governo dell’Europa continentale.

L’abbandono della posizione ideologica – che è intrinseca alla dissolvenza per cause distinte di Dc, Pci e Psiè stato canonizzato non a caso nel 1992 (alle soglie dei lavori delle Commissioni “bicamerali” De Mita-Jotti e D’Alema della riforma federalista imposta dal centrosinistra, e del progetto di revisione contrastato dal centrosinistra solo per i suoi “eccessi”, e non già per le sue matrici neo-verticistiche e autoritarie) da un costituzionalista di ascendenza socialista con una prospettazione del diritto “mite”, e come tale contrastante con il pluralismo dialettico dei Principi Fondamentali della Costituzione del 1948, mediante un’operazione ideologica di sovrapposizione formalmente arbitraria dei principi propri del processo di europeizzazione, fondato sul primato del mercato, sui principi di una costituzione democratica nazionale, nella quale l’uso degli istituti di “controllo sociale” dovrebbe artatamente svilirsi in una logica di mera “coesistenza e compromesso”, con la tradizionale immunità dei poteri economici: e ciò in nome di una anodina “convivenza mite” contrastante nei fatti con la atavica pretesa, come tale “dura”, della formazione sociale del capitalismo a imporsi, avvalendosi di istituzioni politiche “strumentali” alle sue aspirazioni al dominio permanente e incontrollabile (vedasi l’omonimo saggio di Gustavo Zagrebelsky).Ecco perché ci troviamo già dislocati fuori dall’orbita dei Principi Fondamentali come asse portante dell’intera Prima Parte della Costituzione, nel combinato ordito di un federalismo emerso come forma di “neo-centralismo“, espressivo di “solidarietà” tra gruppi di classe dirigente “statale” e “regionale” (o federal-centrale o federal-decentrato), e di un “premierato” di cui (oltre al presidenzialismo nordamericano) sono alternative del tutto fungibili sia il semi presidenzialismo alla francese, sia il cancellierato germanico: quest’ultimo accarezzato anche da correnti di sinistra c.d. “alternativa”, sotto le mentite spoglie di una concezione c.d. “neo-parlamentare” che comporta la subordinazione dell’elezione del cancelliere all’iniziativa di vertice del presidente della repubblica, in un contesto che perciò viene riassunto in nome di un dominante “kanzlerprinzip”, succeduto al “fuhrerprinzip”.

Per dire “Difendiamo la Costituzione” a testa alta, si deve allora fare atto di sottomissione autocritica, rinunciare al francisco “PRONUNCIAMENTO” delle c.d. “bozze” (da quella “Amato” a quella “Violante”) con cui si rimarrebbe bensì fedeli all’allineamento ideologico con le forma di governo britannica e statunitense, ma si affosserebbe il modello di democrazia fondato sull’onda della Resistenza (salvo che nel campo dei rapporti civili, con residuali e verbose invocazioni dei rapporti “etico-sociali”).

Un modello di democrazia che del resto è già stato attaccato dal centrosinistra con la legge di revisione del 2001 che attribuisce potestà di efficacia pubblica a soggetti privati, e che una volta coniugato il federalismo anti-autonomistico e neo-centralista con il premierato (sia pure c.d. “relativo”, per distinguerlo da quello c.d. “assoluto” proposto dal centrodestra), troverebbe spalancata la strada ad una più smaccata omologazione ai modelli neo-conservatori imperanti in Europa, per l’ulteriore legittimazione che il dominio degli esecutivi va ricevendo da una cultura univoca nel privilegiare il mercato, facendo del “solidarismo” l’espediente necessario ad un minimo di consenso della parte debole della società, alla faccia di chi anche in questi giorni ha affermato che dalla crisi si dovrebbe uscire con più regole e più giustizia sociale, nel mentre stesso che la crisi che in Italia ha base ancor più nell’economia reale che in quella della finanza gonfiata” del resto d’Europa, viene usata da Confindustria, Governo e sindacati in combutta come occasione per un massacro sociale senza precedenti, per concentrarsi sul lavoro ma al fine di massacrarlo disarticolando e frantumando come negli USA la contrattazione sindacale finanche a livello individuale in parallelo e in simbiosi col federalismo americanista.

W IL 25 APRILE. MA QUALE?ultima modifica: 2011-04-25T03:05:00+02:00da iskra2010
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