Romiti: Fiat firmò con Tripoli Ma solo dopo il sì della Cia

Agnelli Gianni e Romiti Cesare.jpgGianni Agnelli e Cesare Romiti


Corriere della Sera

23 febbraio 2011

Pagina 11
Guerra civile in Libia L’ energia
Romiti: Fiat firmò con Tripoli 
Ma solo dopo il sì della Cia
«Quando mi chiamarono per recuperare il Mig libico sulla Sila»

Resti del MIG libico.jpgResti del Mig libico

Il rapporto con Tripoli ha ecceduto i limiti dei rapporti tra due Stati Con noi i libici si sono sempre comportati, come disse Gianni Agnelli, da banchieri svizzeri Cuccia studiò l’ operazione e disse sì. Poi Ciampi dette il via libera all’ ingresso di Lafico in Fiat

di Polato Raffaella

MILANO – Trattative lunghissime. Una sola condizione, alla fine: «Non sarebbero mai entrati nella gestione. Non avrebbero mai avuto notizie sensibili». E così fu, dice Cesare Romiti. «Mai un’ interferenza», nei dieci anni della Libia in Fiat. «Mai nessuna richiesta». Non sull’azienda, almeno. Perché poi, in realtà, del suo ruolo di azionista Tripoli una volta approfittò. Lui comincia a raccontarla così: «Mi ricordo un unico episodio». Ma se sceglie l’esordio minimal, e lo butta lì quasi per caso, quasi a suggerire dettagli di secondo piano, l’ uomo che per un quarto di secolo (dal 1974 al 1998) ha guidato il Lingotto ovviamente lo sa già: quello che sta per aggiungere tanto secondario non è. 
Quell’ «unico episodio» ha a che fare con Ustica. Il Dc9 dell’Itavia precipitato in mare il 27 giugno 1980. Il Mig dell’aeronautica militare libica trovato venti giorni dopo sulle montagne della Sila. È stato, rimane uno dei grandi misteri italiani. E mentre si svolgeva, mentre era ancora soltanto cronaca, Romiti ricevette una telefonata.    
Il socio libico?    
«Uno dei due consiglieri di Lafico in Fiat, sì. Erano Abdullah Saudi e Regeb Misellati. Li avevo sentiti, naturalmente, subito dopo l’ incidente di Ustica. Incidente, poi… Temevamo tutti fosse stato un missile. Uno sconfinamento, una battaglia segreta nei cieli, l’arma che parte e colpisce l’aereo civile. Ne parlammo. Mi rassicurarono».    
Ci credette?    
«So che qualche settimana più tardi si scoprì il “caccia” libico caduto in Calabria. Misellati mi richiamò».    
Per dirle?    
«Che volevano, dovevano recuperare i resti dell’aereo. E ci chiedevano una mano».    
La diede? L’ amministratore delegato della Fiat aveva effettivamente quel potere?    
«Ne parlai con i “servizi”, a Roma. Non sapremo mai cos’era successo, né a Ustica né sulla Sila, né durante né dopo. Sappiamo che il Mig fu restituito».    
Dottor Romiti, non era stato Giovanni Agnelli a definire lo scomodo e imbarazzante – anche allora – socio libico «un azionista che si comporta come un banchiere svizzero»? Dubbi sull’ingresso di Muammar Gheddafi già ne avevate avuti. Dopo Ustica, il Colonnello rimase per altri sei anni il principale partner nel capitale Fiat. Cos’ era: solo realpolitik degli affari?   
«Guardi che è vero: con noi i libici si sono sul serio comportati sempre come banchieri svizzeri. Ricordiamo anche le condizioni della Fiat di allora. Quando Tripoli entrò, nel 1976, avevamo un forte bisogno di capitali. Ciò non toglie che le trattative siano state lunghissime, quasi due anni. E questo proprio per i dubbi dell’Avvocato, e miei, sulla loro “presentabilità”».    
Come andò?    
«Un giorno venne da me Nicolò Gioia. Era stato direttore generale Fiat, era in pensione, ma continuava a girare per il mondo. Mi riferì dei contatti che aveva avuto in Libia e dell’interesse a investire nel gruppo. Io ne parlai a mia volta con l’Avvocato, che mi chiese: “Romiti, lei?”. Dobbiamo stare attenti a non irritare loro da un lato, gli americani dall’altro, risposi. Agli americani pensò naturalmente l’Avvocato. Informò George Bush senior, che allora era alla guida della Cia: ne ricevette una serie di raccomandazioni e il via libera. Poi, insieme, andammo da Carlo Azeglio Ciampi: e ricevemmo la benedizione anche del Governatore della Banca d’ Italia».   
A quel punto, però, l’affare era già fatto: e un ruolo notevole lo ebbe Enrico Cuccia.

Cuccia Enrico.jpg

    «Andai io da lui. Come l’Avvocato, era un uomo curioso del mondo e attratto dalle sfide. La Libia in Fiat sicuramente lo era. Cuccia studiò l’operazione e disse sì. Ma disse anche, a Saudi e Misellati: “Non dovete entrare nella gestione”. Eseguirono. Venivano a Torino, partecipavano ai consigli, guardavano i bilanci e se ne andavano. Quando poi uscirono, nell’86, misurarono il loro affare: la Fiat era rinata, la Libia aveva guadagnato. E parecchio».    
È passato un quarto di secolo. Voi trattavate in segreto e anche nell’imbarazzo. Oggi, tutti hanno negli occhi la sfilata del governo, dei big di Confindustria, dei grandi banchieri davanti alla tenda del Colonnello piantata a Villa Borghese. Era solo un anno e mezzo fa. La «realpolitik degli affari» non è andata troppo, e troppo superficialmente, «oltre»? Nessuno poteva immaginare quello che sta succedendo dal Bahrein al Marocco, ma per la Libia il rischio-Paese è sempre stato alto. Molto più alto.    
«Il rapporto con Tripoli ha certamente ecceduto i limiti dei rapporti tra due Stati. Il Colonnello si è presentato qui, in Italia, con quella foto provocatoria appuntata sul bavero… Eppure andare là, in passerella alla sua tenda, e stringergli la mano ha fatto premio su tutto il resto. Compreso il fatto che nel frattempo la Libia è diventata una dittatura tra le più feroci».   
Che cosa teme di più, da quello che sta succedendo tra Medio Oriente e Nord Africa?    
«Le decine di migliaia di profughi e immigrati che metterebbero in crisi noi e l’intera Europa. L’impatto economico: pensi solo alla nostra dipendenza energetica».    
E lo spettro dell’integralismo islamico alle porte di casa?     
«È l’ulteriore pericolo. Ma sono i giovani, soprattutto, a ribellarsi alle dittature: perciò credo che, al bivio, forse sarà più facile imboccare la strada della democrazia. Vorrei non fosse solo una speranza».

Romiti: Fiat firmò con Tripoli Ma solo dopo il sì della Ciaultima modifica: 2011-06-24T01:46:00+02:00da iskra2010
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