La Cina incrementa l’innovazione tecnologica e i salari

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di Angelo Ruggeri 

Eurocentrismo miope. Si guarda al superamento sul Giappone. Ma in Cina – dove la prima agenzia di rating cinese declassa gli USA – c’è un movimento di crescita degli investimenti di innovazione tecnologica, crescita salariale e miglioramento delle condizioni di lavoro, opposto a quello in atto in Italia ed Europa.
A Pomigliano si è rilevato “solo” la messa in discussione del diritto di sciopero dei lavoratori e non del diritto a determinare il Piano d’impresa. La vera “sconfitta” di Pomigliano – che incide sull’intero sistema produttivo e panorama economico, politico e sociale -, è stata la mancata risposta del sindacato sulla politica industriale e l’organizzazione del lavoro che ha messo in luce la mancanza di una strategia alternativa del sindacato considerato ormai o come complice o non più inteso come soggetto di potere sociale. 
Mentre in Italia si parla di caduta della domanda di automobili quando in Asia questa sta crescendo a ritmi vertiginosi; mentre il “modello di sviluppo Fiat” si balocca sulla bassa produttività addebitandola ai lavoratori anziché agli insufficienti investimenti in ricerca e tecnologia e trovando la soluzione a “tutti” i problemi nell’ulteriore abbattimento del potere di controllo dei Piani d’impresa e del potere contrattuale e dei salari (così comprimendo la domanda interna e quindi aggravando la crisi di sovrapproduzione), si concentra l’attenzione sul cosiddetto superamento del Pil cinese su quello giapponese.
Come spesso succede si rischia di perdere di vista decisioni e tendenze ben più sostanziali e che ci riguardano. Ad. es. l’ultima Direttiva del governo cinese rivolta alle imprese del Paese che impone di incrementare la qualità e la tecnologia (che già non è bassa come si crede: visto che in vari campi i prodotti informatici più sofisticati delle imprese americane e occidentali – che si limitano a marchiare il “design” – sono prodotte e assemblate in Cina) sia dei prodotti che del processo, e incremento quindi degli investimenti in innovazione tecnologica e in particolare quelli di processo.
Parallelamente e non solo nelle ultime settimana, in Cina è stata aperta la strada alle rivendicazioni salariali, gli scioperi che si sono moltiplicati non sono stati più repressi né passati sotto silenzio e i lavoratori hanno ottenuto rilevanti aumenti pari al 25% e in alcune fabbriche sono stati eletti i delegati di fabbrica.
Sono linee di tendenza significative che si annunciano per tutti i paesi emergenti (basti vedere la straordinaria crescita salariale della Corea), anche se resterà complessivamente confermata la tendenza del sistema capitalistico a precipitare i salari per massimizzare i profitti, ovvero la tesi marxiana del progressivo impoverimento della forza lavoro (impoverimento che può essere anche solo relativo e non sempre e tutto assoluto, cosa che per un certo periodo ha fatto nascere gli equivoci sulla bontà della tesi) . 
Per altro è stato di recente ricordato che il giorno della sua presentazione come Amministratore delegato Fiat, Marchionne invitò a “non più concentrarsi sul costo del lavoro che riguarda solo il 7% dei costi di produzione di automobili” (Panorama in uscita). Posizione esattamente rovesciata a quella della Fiat di oggi, perché si vuole usare la crisi come occasione giustificata di ristrutturazioni industriali, di ridimensionamenti produttivi, e sopratutto per puntare ad una nuova e più sofisticata soglia di comando politico sulla forza lavoro con il dichiarato obiettivo di svalorizzarla al massimo, con la passivizzazione e l’inanità dei lavoratori rispetto non solo i diritti, sia di sciopero che il diritto dei lavoratori al sindacato, ma sopratutto rispetto ai poteri, cioè rispetto al diritto di concorrere alla strategia d’impresa, ovvero il potere sul piano d’impresa e sull’organizzazione del lavoro dei lavoratori oltre che del sindacato.
Di fronte a questa controffensiva c’è stato un No debole perché manca e non non c’è un antagonismo vero da parte, anche, del sindacato, considerato ormai o come complice o non più inteso come soggetto di potere sociale.
Avendo rinunciato ad attaccare il profitto e il potere d’impresa per fare solo difesa senza alcun progetto di “offesa” e di controffensiva sui contenuti, come si faceva quando con una complessiva strategia alternativa ci si determinava a dire noi “a te impresa cosa devi fare” sull’organizzazione del lavoro, la politica industriale, ecc. “perché la Costituzione vuole questo”. Non limitandosi quindi a dire “non ci trattate male” o a dire “è sbagliato” e a proporre “un’alternativa secondaria”, come ha fatto la Cgil: cioè sullo stesso terreno e per gli stessi fini “produttivi” proposti da Marchionne, da ottenere con mezzi e forme diverse in nome della dignità e dei diritti, anziché del potere sociale di cui i diritti sono una conseguenza.
La vera “sconfitta” dei lavoratori di Pomigliano è stata la mancata risposta sulla politica industriale e l’organizzazione del lavoro, che sono state una forza e un cavallo di battaglia vincente dei lavoratori e del sindacato determinati ad imporre con la lotta i principi e il potere sociale delineato dalla Costituzione fondata sul lavoro. Tale mancanza mette in luce il rischio di una difesa dei No destinata alla sconfitta, mancando una capacità di “offesa” e di attacco al potere d’impresa della quale urge recuperare il bagaglio storico e teorico.

La Cina incrementa l’innovazione tecnologica e i salariultima modifica: 2011-08-08T01:00:00+02:00da iskra2010
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