Libia dopo Gheddafi la corsa dei liberatori alle nuove riserve di petrolio e gas

la Repubblica Economia

Supplemento Affari e Finanza                                         

 

31 Ottobre 2011

 

VILLAGGIO GLOBALE  

  

Libia dopo Gheddafi la corsa dei liberatori alle nuove riserve di petrolio e gas

    

EUGENIO OCCORSIO

Giovedì 20 ottobre, poche ore dopo l’uccisione di Gheddafi, la Waha, jointventure fra la National Oil Company libica e le americane ConocoPhillips, Marathon e Amerada Hess, ha fatto partire non senza fanfara il primo carico di petrolio dal terminale di EsSider, il più vicino a Sirte dei complessi petroliferi del Paese. Due simboli in uno: si torna alla normalità e a pochi chilometri di distanza dall’ultima battaglia. Anche il luogo di destinazione della prima petroliera era ben scelto: Stati Uniti. Non a caso Chevron e Occidental Petroleum hanno subito fatto sapere di avere in programma ingenti investimenti in Libia. Anche la Exxon che aveva brevemente fatto una comparsa pochi anni fa per poi ritirarsi, si è affrettata a rendere noto che tornerà presto in forze e che destinerà lì una fetta consistente degli investimenti: e non è un momento qualsiasi per la compagnia che ha destinato nei primi 9 mesi dell’anno qualcosa come 26,5 miliardi di dollari all’esplorazione e produzione. I nemici giurati mirano a riscuotere i dividendi dell’impegno nella detronizzazione. Altrettanto vogliono fare i francesi della Total, gli inglesi di Bp e Shell, gli spagnoli di Repsol, gli italiani dell’Eni che fra tutte è la meglio piazzata nel Paese. Per non parlare dei maestri in infrastrutture energetiche come la texana Halliburton, un colosso da 25 miliardi di fatturato e 60mila dipendenti, nonché l’italiana Saipem sempre del gruppo Eni, interessate alla ricostruzione e allo sviluppo di nuovi campi.

Attività ENI in Libia.jpg



Oggi, 31 ottobre, salvo proroghe dell’ultima ora come chiesto dallo stesso comitato di liberazione, è il DDay della fine delle operazioni Nato in Libia. Con la morte di Gheddafi la guerra è archiviata ed è iniziata l’opera altrettanto impegnativa di costruzione della pace, a partire dal rilancio dell’attività petrolifera che è l’unica grande, anzi grandissima, fonte di ricchezza per il Paese. L’isolamento di Gheddafi, con embarghi e sanzioni a ripetizione, hanno portato a sottoutilizzare le potenzialità libiche. Le compagnie americane, dopo la caduta delle sanzioni Onu nel 2005 avevano appena iniziato ad investire, e la Bp ha avviato le operazioni nel dicembre 2010. Solo l’Eni, va detto, è presente da sempre, da prima ancora che cominciasse l’era Gheddafi. Le riserve, valuta il Center for Global Energy Studies, il thinktank londinese dello sceicco Yamani, sono ingenti: non meno di 47 miliardi di barili, fra le più imponenti del mondo. Più un oceano di gas naturale. «I 6 milioni di abitanti della Libia  scrive l’Economist  se riusciranno ad avere un governo decente diventeranno fra i più fortunati del mondo». Non è un traguardo a portata di mano: «Se l’Arabia Saudita con 120 miliardi di riserve produce 10 milioni di barili, la Libia che ne ha poco meno della metà può tranquillamente arrivare a 3 milioni di barili al giorno di export, e anche più», spiega Manouchehr Takin, capo analista del Cges. «Questo è possibile, anzi probabile, e conoscerà un’accelerazione ora che il colonnello è scomparso, ma è futuribile: potrebbero volerci dieci anni», avverte Takin. «Oggi la Libia produce una cifra intorno ai 500mila barili, di cui la metà esportati, e assicura che a metà 2012 tornerà all’export precrisi di 1,6 milioni di barili, il che significa produrne 2 milioni: ma secondo noi anche per questo primo traguardo avrà bisogno di più tempo, diciamo un anno». La quota libica mancante nel paniere Opec peraltro, l’hanno coperta proprio i sauditi, forti dei loro 2,5 milioni barili in spare capacity, capacità immediatamente disponibile. Gli economisti dell’Opec, in un incontro la settimana scorsa con il leader del consiglio nazionale di transizione, Mustafa Abdul Jalil, hanno espresso perplessità su un pronto reintegro delle quote libiche. Il che è doppiamente preoccupante: se i sauditi non ce la faranno a reintegrare ancora il vacuum nelle forniture, in un momento in cui oltretutto in Nigeria stanno scoppiando nuove rivolte, i prezzi ricominceranno a salire: secondo la Merrill Lynch c’è la possibilità di una media di 130 dollari l’anno prossimo (oggi siamo sui 110), e per Barclays si potrebbe assistere a un’impennata addirittura a 175 considerando la possibilità che altri focolai di “primavera araba” si accendano.
Il primo problema che le compagnie occidentali esigono che venga risolto è proprio la sicurezza. «Non c’è da star tranquilli: mesi di battaglia e di bombardamenti, oltre alla distruzione dei campi petroliferi, hanno lasciato abbandonati un’infinità di depositi di munizioni», scrive la Barclays in un insolito report “dal fronte”. «La scomparsa di migliaia di lanciamissili da spalla è preoccupante perché non serve molto training per usarli». Ma quanto petrolio produce la Libia all’alba del dopo colonnello? La Barclays elenca le attività già riprese: a Sarir e Messla la Agoco (Arabian Gulf Oil Company), una compagnia pubblica libica produce oggi 250mila barili; la Mellitah Oil & Gas (50% dell’Eni) ha riattivato il complesso di Abu Attifel dove estrae 60mila barili; la Mabruk Oil sostiene di produrre 450mila barili al campo offshore di Al Jurf; la Zueitina Oil riporta di produrne 300mila; la canandese Suncor e la libica El Harouge dicono che la loro jointventure produce 200mila barili. Sono tutti valori molto sotto il potenziale e da alzare al più presto.
Le compagnie occidentali però vogliono anche che il nuovo governo riveda le clausole capestro imposte da Gheddafi, che hanno anch’esse mortificato il potenziale produttivo del Paese, a partire dalla tassa del 93% del valore da versare al governo. Un livello senza uguali: in sede Opec il più vicino è il Kuwait con una tassa del 60, ma molti paesi sono già scesi sotto il 50. Le compagnie stanno in ogni caso riorganizzandosi. La Bp aveva appena cominciato a produrre qui, dopo un lavoro preparatorio durato ben sei anni (cominciò dopo la visita di Blair a Tripoli): Puntava proprio sulla Libia per trovare una grossa fonte di entrate che restituisse vigore ad un bilancio fiaccato dalle conseguenze dell’incidente del Golfo del Messico di due anni fa, a proposito del quale sta ancora perfezionando i vari accordi legali, compresa la controversia che la contrappone all’amministrazione Usa: ha messo in preventivo di dover pagare 10 miliardi l’anno di spese civili e altrettanti di multa penale, un’enormità, rileva la Merrll Lynch «che getta un’ombra sulla società anche se nel terzo trimestre ha annunciato profitti per 5,1 miliardi di dollari».
Quanto all’Eni, che come si diceva è la compagnia non libica più forte del Paese, si trova ben piazzata (vedi intervista) soprattutto per un certo coraggio dimostrato  a differenza dei titubanti politici italiani  fin dai primi giorni della rivolta, con incontri dei suoi massimi dirigenti con i maggiorenti di Bengasi cominciati fin da quando non era chiaro come sarebbe finito il conflitto. Ha fatto una scommessa: poteva anche finire diversamente, ma per fortuna alla fine l’ha vinta.

Libia dopo Gheddafi la corsa dei liberatori alle nuove riserve di petrolio e gasultima modifica: 2011-11-05T15:32:00+01:00da iskra2010
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