Retroterra e post-democrazia Anni 90

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di Angelo Ruggeri

Pre Scriptum

OCCORRE ROMPERE COL PENSIERO UNICO PRE E POST BERLUSCONI, OCCORRE ROMPERE CON LA MISITIFICANTE IDEA “CHE E’ IL TEMPO DI DURI SACRIFICI” ACCETTATA DA TUTTI (E SOSTENUTA DAL CAPO DELLO STATO CHE SI CREDE ESSERE ALL’ELISEO INVECE CHE AL QUIRINALE). 

L’OBIETTIVO DELLA RIDUZIONE DEL DEBITO PUBBLICO (ed ora persino del pareggio di bilancio) è incompatibile con misure di rilancio economico senza di cui non si risana, ma si aggravano sia  il debito che il bilancio e PORTA A COMPRIMERE proprio quelle voci che costituiscono la fonte della dinamica della indispensabile domanda europea per liberarsi dall’eccesso di capacità produttiva e che consiste nella combinazione tra incrementi di spesa pubblica,di salari, stipendio e l’effetto recessivo vanifica l’obiettivo di rientro dal debito e di pareggio del bilancio.

“Il punto chiave é che, entrando nell’euro, l’Italia ha convertito il suo status di paese avanzato, in quanto nazione che emette debito con la sua moneta, in debiti espressi nella valuta di qualcun altro (europea in linea di principio, tedesca in pratica). Questa è la ragione della sua vulnerabilità”. (P. Krugman, Nobel economia).                                                                              

Ciò che si manca di aggiungere a questo, è che tutte le tappe di costruzione dell’Europa dei riformisti e liberisti (dal MEC alla UE-BCE di oggi) hanno messo in luce che il carattere fondante delle istituzioni è dato dai rapporti economici, come nella UE che ha come suo nucleo di fondo la garanzia della libera concorrenza, e “solo” come suo “contorno” le norme istituzionali e sulla cittadinanza ( suballternati al primato del mercato ma che hanno entusiasmato gli pseudo sinistri ambientalisti e fautori dei diritti individuali), che plasticamente sanciscono il carattere derivato del diritto e delle istituzioni dal sistema determinato e determinante dei rapporti di produzione” .

DAL PIANO TRILATERAL AL PIANO P2 all’attuale degenerazione della politica e della democrazia e all’attuale rovesciamento della divisione dei poteri, grazie al PENSIERO UNICO CHE HA PRECEDUTO E SUCCEDE A BERLUSCONI, e ai governi Amato-Ciampi-Prodi che negli anni 90 hanno ABDICATO POTERI DECISIONALI DELLO STATO in materia di economia, A FAVORE DEI MANAGER D’IMPRESA INDUSTRIALE ed “ESPERTI MONETARI” degli “istituti di credito”: cioè dei “TECNICI”, alla Mario Monti, che gestiscono il potere per conto del capitalismo finanziario con STRATEGIE E SCELTE POLITICHE DECISE “TECNICAMENTE” e che senza alcuna legittimazione elettorale alle spalle, OLTRE ALLE DECISIONI ECONOMICHE controllano e indirizzano la politica e le istituzioni elettive alle TESTA DELLE QUALI ora gli esperti e manager “tecnici” tendono a mettersi direttamente a capo: grazie anche a Napolitano che da “garante dei Principi della Costituzione” si è fatto “garante dei Principi di Maastricht” e della “costituzione economica” europea guidata dalla BCE.

 

Seconda parte

– Solo quando si è iniziato a parlare della ”Crisi dell’antifascismo” (Luzzatto S., 2004) e riandandosi sinteticamente al “Sommerso della Repubblica”(anche qui mettendo in relazione la democrazia italiana con “la crisi dell’antifascismo”), si è pervenuti a decifrare la sottovalutazione  che non si sa se sia dovuta a disattenzione o a dolosa elusione da parte di quella che si è rivelata, sempre più nettamente, come la “destra comunista”, non organizzata in “corrente” ma proprio perciò oscuramente manipolatrice del “centralismo democratico”della influenza devastante che il ricorso all’ideologia in forme extraistituzionali ha potuto esercitare, riuscendo a penetrare (avvalendosene) persino in ambiti a prima vista immuni da infiltrazioni coinvolgenti: e, inevitabilmente, qui il richiamo va a due documenti che nello stesso tornante degli anni 1973-1975 sono venuti a dar manforte a chi aveva da tempo interesse a destabilizzare la democrazia italiana per delegittimarne la costituzione e passare ad un ordinamento di tipo “autoritario”, come sono tutti gli ordinamenti di c.d. “democrazia classica” predicati dalla cultura giuridica,compresa quella dei “giuristi democratici” dei nostri giorni (eredi di quella dominante nella passività corriva degli anni 1945-1970), dopo che Crisafulli era uscito dal Pci passando a destra, e che il “processualista” Calamandrei (fattosi cultore di diritto costituzionale) negli anni del tentativo della legge truffa era decisamente passato nel campo dei pochi studiosi critici dell’arroganza Dc. 

Il  primo documento è il “rapporto della Commissione trilaterale” pubblicato nel 1975 ad opera di “un gruppo di privati cittadini” (studiosi, imprenditori, politici e sindacalisti di  America del nord, Europa occidentale e Giappone) preoccupati della “crisi della democrazia”, dovuta nei fatti alla “pressione della domanda sociale” sulle istituzioni di governo “mentre le possibilità ristagnano”: sicché nel valutare gli eccessi di “partecipazione”, il documento denunciava che uno spirito di democrazia “troppo diffuso, invadente” può costituire una minaccia intrinseca a insidiare  ogni forma di associazione, allentando i vincoli sociali che reggono la famiglia, l’azienda e la comunità: e come “focus” della sopravvenuta insostenibilità del sistema, è stata posta sotto accusa la minaccia che proviene “dagli intellettuali” e gruppi collegati, orientati a smascherare e negare legittimità ai poteri costituiti, mettendo in atto un comportamento che contrasta “con quello del novero pur crescente di intellettuali tecnocratici e orientati dalla politica”.

Il secondo documento – il c.d. “piano di rinascita democratica” della “loggia massonica P2”, pubblicato a cura di Gelli (e poi anche agli Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta”) – è intervenuto provocatoriamente ad elencare, motivatamente, tutte le proposte di “riforma istituzionale” che dovevano servire a “rivitalizzare” il sistema inquinato dalla presenza del “partito orientale”  e dalla politica compromissoria della Dc, denunciata per essere rimasta comunque nei limiti della legittimità repubblicana.

Tale “piano”, volutamente,  non è stato sottoposto a discussione nei partiti e tra le masse, sicché per quanto importante sia stato l’attacco in sede istituzionale alla “P2” come associazione eversiva e nei suoi aspetti “strutturali” per la presenza in essa di soggetti appartenenti alla organizzazione non solo privata ma anche statale della borghesia reazionaria e “golpista” (si veda per tutti il Convegno sulla “Resistibile ascesa della P2. Poteri occulti e stato democratico”, del 1993), rimane assai grave e premonitrice del passaggio al revisionismo giuridico la mancata tempestiva denuncia su scala sociale e politica degli obiettivi sia istituzionali che economico-sociali perseguiti dal Piano P2, e chiaramente visibili ora che sono stati progressivamente raggiunti per strappi successivi, tramite la convergenza ideologicamente ispirata sia del centro-sinistra che del centro-destra, al di là delle ostentate contrapposizioni nelle rispettive proposte “tecniche” di ingegneria istituzionale della “casa delle libertà” e “dell’ulivo”.

E infatti oggi possiamo constatare che:

il “piano” – non casualmente – si è autodefinito “democratico” per escludere “rovesciamenti” del sistema (che anzi il Piano P2 vuole che si attui nella forma dell’autoritarismo a presidenziale anglosassone, travasato in quelle franco-tedesche), come può comprendersi se l’accezione della democrazia come democrazia “formale” ha la sua matrice nei sistemi britannico e statunitense che sono “autoritari” e i più tipici strumenti di consolidamento del capitalismo nelle sue vicende evolutive, compresa quella in corso;

il “piano” P2, articolato in obiettivi e procedimenti entro programmi “a breve, medio e lungo termine”, prevedeva “ritocchi” alla Costituzione, senza intaccarne “l’armonico disegno originario” (come oggi propongono coloro che vogliono difendere la Costituzione “cambiandola”, cioè il c.d. “Comitato difesa della Costituzione” – comprendente gli RC e Pdci – egemonizzato dai c.d. “giuristi democratici” alla Gianni Ferrara, ecc.) per operare in un contesto “ormai molto diverso da quello del 1946”, ciò che collima con lo spirito con cui è stato avviato il processo di “riforme istituzionali” della Commissione De Mita-Jotti e soprattutto della Commissione D’Alema, per quelli che la dottrina costituzionalista corriva al duo Ds-Pp ha chiamato insistendovi persino oggi “adattamenti” costituzionali alla “nuova realtà sociale”;

sul terreno strettamente politico e sociale riguardante il ruolo dei partiti e dei sindacati, il “piano”, in caso di perdita di “credibilità” dei partiti definibili a suo dire come “democratici”, ha proposto l’uso di strumenti finanziari per la nascita “di due movimenti, l’uno sulla sinistra e l’altro sulla destra”; il primo “a cavallo fra Psi, Psdi, Pri, Liberali di sinistra e Dc di sinistra”, e l’altro “ a cavallo tra Dc conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale”: situazione che si è poi venuta a creare, con la sola novità non preventivabile della presenza (significativa del revisionismo sia storico che giuridico) dei Ds e Pp da un lato, e della “berlusconiana” Forza Italia dall’altro lato, mentre per quanto concerne i sindacati si è puntato a un ruolo effettivo di un sindacato “collaboratore del fenomeno produttivo”, ciò che la “concertazione” di Cgil, Cisl, Uil ha perseguito, in una situazione garantita dalla “limitazione del diritto di sciopero” (intervenuta nel 1990 nel settore dei “servizi pubblici essenziali” con “obbligo di preavviso”, per il voto qualificante in commissione di socialisti e comunisti);

sul terreno istituzionale, il “piano” puntava a modifiche “urgenti” dell’ordinamento giudiziario, con la responsabilità civile (per “colpa” dei magistrati) e l’introduzione nella normativa per l’accesso in carriera di “esami psico-attitudinali preliminari”; a modificare l’ordinamento del governo, ciò che è avvenuto con la legge n. 400/88 seguita dalla riforma dell’amministrazione con la “separazione della responsabilità politica da quella amministrativa”, e dalla sostituzione dei principi del “silenzio-rifiuto” con quello del “silenzio-consenso” che sono le enfatizzate “riforme” amministrative imperniate sulla lettura rovesciata dei principi costituzionali operata univocamente dalla cultura giuridica pro-“pentapartito” nel passaggio dagli anni ’80 agli anni ’90;

per quanto concerne il parlamento, il “piano” puntava ad esaltare la preminente “funzione politica della Camera” (oggi scelta dal centro-destra), alla modifica dei regolamenti parlamentari per rovesciare la “tendenza assemblearista” dei regolamenti del 1971, e così introdurre le premesse dell’attuale separazione tra ruolo del governo e della sua maggioranza parlamentare e ruolo dell’opposizione, frattanto introducendo il principio organizzativo delle “sessioni” per garantire l’attuazione del “programma governativo”. Passando alla previsione a “medio e lungo termine”, il “piano” puntava poi alla riforma dell’ordinamento giudiziario “per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati” e “separare le carriere requirente e giudicante”; alla modifica della costituzione per stabilire che “il presidente del consiglio” è eletto dalla camera all’inizio di ogni legislatura (che è omologo all’ipotesi del “cancellierato” accarezzata persino da Rifondazione comunista), e “può essere rovesciato soltanto attraverso l’elezione del successore”, cioè con la c.d. “sfiducia costruttiva” inserita nella costituzione di Bonn per pressione degli imitatori del sistema britannico, oggi largamente rappresentati nella cultura costituzionalista anche nostrana; per quel che attiene al parlamento, il “piano” prevedeva nuove leggi elettorali “di tipo misto” “uninominale e proporzionale” (con preferenza per il sistema tedesco, ciò che oggi continua a essere al centro della discussione), nonché la conclamata riduzione del numero sia dei deputati (450), e dei senatori (250), e la previsione di “leggi organiche” una volta già ridotta l’area della “riserva di legge”.

Sotto la spinta di tale “piano” – che ha potuto filtrare impunemente all’interno delle iniziative “controriformatrici” delle forze “ex costituenti” votate ormai a rammentare solo strumentalmente l’origine antifascista della Costituzione e soprattutto ad accreditare quella versione (respinta da Togliatti e dai democratici più conseguenti) secondo cui la costituzione del 1948 sarebbe stata un mero “compromesso” (Calamandrei) – ha preso corpo negli anni ’80 quella involuzione democratica che ha visto degradare l’originalità dei Principi Fondamentali e della Prima Parte in nome della mistificatoria teoria del c.d. “bilanciamento” dei principi normativi relativi rispettivamente a quelli “sociali” e a quelli “privati”, il che ha aperto la strada alla legislazione controriformatrice e non più “attuativa” della Costituzione in vista della quale, infatti, si era lottato tanto aspramente negli anni 60-70 sino al 1978: anno in cui si sono intrecciati e sovrapposti tanti elementi contraddittori, dopo che le elezioni del 1976 – precedute dall’allarme della “P2” (agosto 1975) per l’esito delle elezioni regionali e amministrative del precedente luglio – sembravano aver posto in crisi il blocco sociale imperniato sulla Dc, se non avesse prevalso la singolare interpretazione suggerita da Moro e condivisa dalla destra comunista che però i “vincitori erano due”, Dc e Pci, in quanto ormai ravvicinati nella percentuale del voto elettorale.

E poiché lo scontro era di carattere “sociale” con conseguenti sbocchi politico-istituzionali, gli anticorpi antidemocratici che a sinistra hanno poi aperto la strada al rovesciamento della strategia sanzionata dalla assemblea costituente con la quale, per la prima volta, si è superato il costituzionalismo liberale, facendo precedere i Principi ordinamentali della “forma di governo” da quelli sul “conflitto sociale” nella prospettiva del primato della democrazia sul mercato, dei valori sociali su quelli del profitto, così lasciando alle spalle il modello della Costituzione di Weimar (che per il ceto dei giuristi inspiegabilmente rappresenta tuttora il punto più alto del costituzionalismo democratico come proiezione del contrasto tra modello socialdemocratico e modello perseguito dai comunisti occidentali)si sono materializzati nella biunivoca scelta degli anni 1977-1978 volta, da un lato, ad isterilire il conflitto sociale degli anni precedentipassando alla deludente strategia sindacale c.d. “dell’Eur”, quando si è rifiutata la concezione del lavoro come variabile “indipendente”;

e dall’altro sul terreno dell’azione politico-finanziaria dello stato, contro la strategia della “programmazione democratica dell’economia” che aveva fatto leva anche sulle alternative tra organizzazione pubblica e organizzazione privata dell’economia, si è enfatizzata quella del primato dell’equilibrio nel bilancio tra spese ed entrate, per contenere la spesa sociale in nome di una “legge finanziaria” contrastante con la costituzione e introdotta come marchingegno a partire dallo stesso 1978, anno  nel quale era giunta in porto la riforma sanitaria, la prima (rimasta poi unica) riforma sociale e amministrativa, democratica e non tecnocratica, riforma che è stata dal 1979 sino ad oggi sottoposta a una catena di interventi controriformatori di ogni genere sul duplice fronte sociale e amministrativo, con tutto quel che ne è seguito negli altri settori pubblici in nome della “modernizzazione” e della “aziendalizzazione” SU CUI INSISTONO I CENTRI DEL CAPITALSIMO FINANZIARIO ERUOPEO E OCCIDENTALE (BCE-FMI-B.M, ecc.) che oggi è il valore su cui si insiste per la formazione del “governo” c.d. “tecnico” (che si preferirebbe coprire integrando in esso con craxini come Amato o con i c.d. politici attuali) vorrebbe integrare con c.d. politici il “governo del presidente” Napolitano – come se non fosse al Quirinale ma all’Eliseo – ma che nell’ultimo “ventennio” (cosi fu definito/contestato il fascismo) è stato il valore dominante nella cultura economico-giuridica gravitante nei settori del bipolarismo politico-istituzionale, cioè del centrosinistra e della sinistracentro e del “Popolo della Libertà”.

(seconda parte)                                                                          continua

Retroterra e post-democrazia Anni 90ultima modifica: 2011-12-02T08:15:00+01:00da iskra2010
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