TRA LA TRILATERAL E LA BILDERBERG GROUP

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Dal New York Tribune del gennaio 1853 a Il Lavoratore del luglio 1992

 

“…si preoccupano, non già delle reazioni di chi ha salari al limite della sopravvivenza, ma solo dei ‘padrini’ dell’organizzazione capitalistica europea e mondiale”. E’ “in tale contesto” che si è “demonizzato il sistema politico democratico della Costituzione e il “sistema dei partiti”, di fronte alle pretese egemonica delle forze imprenditoriali che si attuano, NON SOLO ATTRAVERSO LA CONFINDUSTRIA E BANKITALIA, MA TRAMITE, ANCHE, QUEI ‘TECNICI’ TANTO ESALTATI, CHE NON SONO ALTRO CHE L’ESPRESSIONE DEL MONDO CULTURALE LEGATO QUASI COMPLETAMENTE ALL’IDEOLOGIA DELL’ECONOMICITA’ DELL’IMPRESA E DELLO STATO” ( Settimanale IL LAVORATORE del 17 luglio 1992. Questo scrivevamo con Salvatore d’Albergo)

 

DOVE SONO STATI IN QUESTI 20 ANNI I TANTISSIMI ALTRI CHE, ALLORA COME OGGI, NON SANNO COGLIERE CHE IL FALLIMENTO DELLE POLITICHE DI BILANCIO DI VENTI ANNI DI STANGATE FINANZIARIE E LE POLITICHE VOLUTAMENTE SHOCK DI UE-MONTI-NAPOLITANO SONO INIZIATE E PROSEGUITE ACCLAMANDO COME UN “SUCCESSO” LA DUPLICE MANOVRA E STANGATA SIA ECONOMICA CHE ALLA COSTITUZIONE DEL GOVERNO AMATO DEL 1992 , CHE NON RIUSCIRONO A DIFENDERE LA LIRA E AFFOSSARONO LA DEMOCRAZIA ASSIEME ALLA COSTITUZIONE?

 

Subject: Togliatti sui governi “tecnici”

 

Citazione, in facebook, di Alberto Marani di Cesena (per una volta togliattiano):

I governi cosiddetti ‘tecnici’ sono i peggiori governi politici che si possano immaginare. Il loro scopo è quello di fare il contrario di ciò che la sovranità popolare ha indicato, sono antipopolari e reazionari.”[Palmiro Togliatti]

 

From: Leonardo Tomassoni

To: Angelo Ruggeri Sent: Wednesday, November 23, 2011

Subject:: Governo tecnico 

 

Il governo tecnico visto dal giornalista Karl Marx

di Marcello Musto, da il manifesto, 13 novembre 2011

Ritornato, da qualche anno, ad essere discusso dalla stampa di tutto il mondo per l’analisi e la previsione del carattere ciclico e strutturale delle crisi capitalistiche, Marx andrebbe oggi riletto in Grecia ed in Italia anche per un’altra ragione: la ricomparsa del “governo tecnico”.


In qualità di giornalista del New York Tribune, uno dei quotidiani più diffusi del suo tempo, Marx osservò gli avvenimenti politico-istituzionali che, in Inghilterra, nel 1852, portarono alla nascita di uno dei primi casi di “governo tecnico” della storia, il gabinetto Aberdeen (dicembre 1852 – gennaio 1855).


L’analisi di Marx si contraddistinse per sagacia e sarcasmo. Mentre il Times celebrava la nascita dell’avvenimento come il segno dell’ingresso “nel millennio politico, in un’epoca in cui lo spirito di partito è destinato a sparire e in cui soltanto genio, esperienza, industriosità e patriottismo daranno diritto ai pubblici uffici”, e invocava per questo governo il sostegno degli “uomini di ogni tendenza”, poiché “i suoi principi esigevano il consenso e l’appoggio universali”; egli irrise la situazione inglese nell’articolo Un governo decrepito. Prospettive del ministero di coalizione (gennaio 1853).


Ciò che il Times considerava tanto moderno e avvincente costituiva per lui una farsa. Quando la stampa di Londra annunciò un “ministero composto da uomini nuovi”, Marx dichiarò che “il mondo sarà certamente non poco stupito quando avrà appreso che la nuova era nella storia sta per essere inaugurata nientemeno che da logori e decrepiti ottuagenari (…), burocrati che hanno partecipato a quasi ogni governo dalla fine del secolo scorso, membri del gabinetto, doppiamente morti, per età e usura, e richiamati in vita solo artificialmente”.


Accanto al giudizio sulle persone, c’era – naturalmente – quello, ben più importante, sulla politica. Marx si chiese, infatti: “Ci viene promessa la scomparsa totale delle lotte tra i partiti, anzi la scomparsa dei partiti stessi. Che cosa vuol dire il Times?”. La domanda è, purtroppo, di stringente attualità, in un mondo in cui il dominio del capitale sul lavoro è tornato a essere selvaggio come lo era alla metà dell’Ottocento.


La separazione tra “economico” e “politico”, che differenzia il capitalismo dai modi di produzione che lo hanno preceduto, è giunta oggi al suo culmine. L’economia non solo domina la politica, dettandole agenda e decisioni, ma è oramai posta al di fuori delle sue competenze e del controllo democratico, al punto che il cambio dei governi non modifica più gli indirizzi di politica economico e sociale.


Negli ultimi trenta anni si è proceduto, inesorabilmente, a trasferire il potere decisionale dalla sfera politica a quella economica; a trasformare possibili decisioni politiche in incontestabili imperativi economici, che sotto la maschera ideologica dell’apoliticità nascondevano, al contrario, un impianto eminentemente politico e dal contenuto assolutamente reazionario. La ridislocazione di una parte della sfera politica nell’economia, come ambito separato e immodificabile, il passaggio di potere dai parlamenti (già svuotati del loro valore rappresentativo da sistemi elettorali maggioritari e da revisioni autoritarie del rapporto tra il potere governativo e quello legislativo) al mercato e alle sue istituzioni e oligarchie, costituisce il più grave impedimento democratico del nostro tempo.


I rating di Standard & Poor’s, gli indici di Wall Street – questi enormi feticci della società contemporanea – valgono più della volontà popolare. Nel migliore dei casi, il potere politico può intervenire nell’economia (le classi dominanti ne hanno spesso bisogno per mitigare le distruzioni prodotte dall’anarchia del capitalismo e dalle sue violente crisi), ma senza mai poterne ridiscutere le regole e le scelte di fondo.

Esempio lampante di quanto descritto sinora sono gli eventi succedutisi in questi giorni in Grecia e in Italia. Dietro l’impostura del termine “governo tecnico” – o, come si usava dire ai tempi di Marx, del “governo di tutti i talenti” – si cela la sospensione della politica (non si possono concedere né referendum, né elezioni) che deve cedere del tutto il campo all’economia. Nell’articolo Operazioni del governo (aprile 1853), Marx affermò che “forse la cosa migliore che si può dire del governo di coalizione (“tecnico”) è che esso rappresenta l’impotenza del potere (politico) in un momento di transizione”.


I governi non discutono più quali indirizzi economici adottare, ma sono gli indirizzi economici a generare la nascita dei governi.


In Italia i suoi punti programmatici sono stati elencati in una lettera (che avrebbe dovuto rimanere addirittura segreta) indirizzata, la scorsa estate, dalla Banca Centrale Europea al governo Berlusconi. Per “ristabilire la fiducia” dei mercati occorre procedere spediti sulla strada delle “riforme strutturali” (espressione divenuta sinonimo di scempio sociale), ovvero: riduzione salariale, revisione dei diritti dei lavoratori circa le norme che regolano l’assunzione e il licenziamento, aumento dell’età pensionabile e privatizzazioni su larga scala. I nuovi “governi tecnici”, con a capo gli uomini cresciuti nelle stanze di alcune delle istituzioni economiche maggiormente responsabili della crisi (vedi la nomina di Papademos in Grecia e di Monti in Italia) seguiranno su questa strada. Ovviamente per il “bene del paese” e per il “futuro delle prossime generazioni”. Al muro ogni voce fuori dal coro.

Se, invece, la sinistra non vuole scomparire deve ritornare a saper interpretare le cause vere della crisi in atto e avere il coraggio di proporre, e sperimentare, le necessarierisposte radicali per uscirne.

(14 novembre 2011)

 

 

TRA LA TRILATERAL E LA BILDERBERG GROUPultima modifica: 2011-12-12T08:58:00+01:00da iskra2010
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