Il movimento dei forconi: questa non è rivoluzione

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Riportiamo qui sotto le nostre valutazioni su quello che sta accadendo in Sicilia proprio per mettere in guardia i compagni a non percorrere sempre i soliti errori di valutazione.

Riportiamo anche le posizioni del Movimento popolare di Liberazione che ci sembra ripercorrere analisi e scelte politiche che si sono dimostrate errate già 42 anni anni fa. Costoro portano nei movimenti sociali le posizioni politiche spontaneiste e i metodi di lotta di Bakunin spacciandole per le posizioni di Karl Marx.

Già in passato l’ideologia spontaneista ha fatto parecchi danni, ci riferiamo anche al Luglio del 1970 dove a Reggio Calabria, Lotta Continua, Movimento Studentesco milanese, Servire il Popolo e anarchici, cercarono di farsi spazio nella rivolta populista dei “Boia chi molla”, diretta dai fascisti del Msi per mantenere il capoluogo a Reggio Calabria, arrecando con le loro posizioni un danno enorme a tutta la sinistra.

Per capire meglio le origini ideologiche e sociali dello spontaneismo, come redazione di Iskra, metteremo a disposizione di tutti i compagni uno dei quaderni meglio riusciti dell’organizzazione marxista-leninista Avanguardia Operaia uscito nel 1972 e dal titolo: Lotta Continua: lo spontaneismo dal mito della masse al mito dell’organizzazione. Un libro che chiarisce una volta per tutte le origini delle posizioni politiche e ideologiche degli spontaneisti.  

Lotta Continua fu l’organizzazione che ebbe la maggior responsabilità nella diffusione dell’ideologia spontaneista, una variante aggiornata dell’anarchismo ottocentesco, che ancora oggi serpeggia tra i movimenti. Battere lo spontaneismo come ideologia è un dovere comunista, soprattutto quando siamo nella fase di ricostruzione del Partito Comunista.

Nell’indice del libro: Il periodo di formazione di Lotta continua; il fallimento dell’ipotesi “Dall’autunno caldo, all’autunno rosso e dell’intervento nelle fabbriche; le autocritiche del 1971 e il programma ‘Prendiamoci la città’; la campagna nazionale contro il ‘fanfascismo’; l’affermarsi delle posizioni avventuristiche organiche in L.C.; l’ideologia spontaneista di L.C. e la sua matrice sociale; le mistificazioni spontaneiste del marxismo-leninismo.

Il movimento dei forconi: questa non è rivoluzione

Con lo svolgersi della crisi peggiore degli ultimi cento anni è sicuramente possibile che movimenti di matrice reazionaria trovino fertile humus nel malcontento generale: quello che succede in Sicilia in questi giorni ne è un esempio.

Per comprendere la natura di ciò che sta accadendo occorre tener presente l’assetto politico generale dell’isola: il governo Lombardo quanto ha contato fino a pochi giorni fa sull’appoggio trasversale di Pd e Mpa, Fli, Api e Udc, condizione che garantiva comodi e lauti guadagni per le molteplici espressioni della borghesia locale. Oggi tale coalizione è in crisi, con il rischio per il terzo polo di diventare dunque una forza minoritaria: l’Udc ha già da qualche settimana mollato il governatore attendendo di scegliere la collocazione più proficua.

L’Mpa si ritrova quindi a fare i conti con una situazione di grande difficoltà ed in questo contesto trova la sua espressione il “movimento dei forconi” e “forza d’urto”.

La Sicilia è da sempre considerata terra del profitto per la borghesia locale mafiosa che manifesta stretti legami con la politica: non ne è certo esente il Pd come dimostrano le avventure di Crisafulli, Capodicasa e anche della stessa Finocchiaro, che  con le dovute differenze, hanno per anni messo mani sugli appalti dell’isola.

In tale contesto un riequilibrio dei poteri in Sicilia può esigere il ricorso alla mobilitazione del settore più arretrato dei lavoratori e della piccola borghesia che è stato prontamente spalleggiato dall’estrema destra, i cani da guardia della borghesia.  Imprenditori, agricoltori, autotrasportatori, armatori dei pescherecci: insomma padroni e padroncini, che con un manifesto politico blando potevano raccogliere facilmente il malcontento popolare.

È gioco forza che la piccola borghesia, soccomba, in condizioni stagnanti, all’attacco padronale teso al concentrare sempre più il profitto: essa oscilla di conseguenza, tra reazione e voglia di riscatto, tra programmi reazionari e posizioni avanzate. In quest’ultimo caso, la premessa ovvia è che vi sia un movimento di classe sul  territorio.

Nel caso siciliano la matrice del movimento è essenzialmente reazionaria: i forconi rivendicano la defiscalizzazione dei carburanti, l’uso dei fondi europei per lo sviluppo da destinare all’agricoltura, il congelamento delle procedure di Equitalia Serit per la riscossione dei tributi, richieste che possono ad un occhio inesperto apparire popolari e pertanto trasversali ma che in realtà celano un chiaro connotato politico. La piattaforma organizzativa non mette in alcun modo in discussione i poteri locali e i poteri forti, quelli della borghesia, concentrando la polemica solo sul mancato finanziamento da parte del governo Monti e su richieste che, se si valutano nel concreto, non beneficiano che i padroni. Lo si legge tra le parole di Fiore di Forza Nuova: Inoltre, “è necessario che venga attuato subito l’art 40 dello Statuto siciliano che prevede che il Banco di Sicilia emetta denaro unilateralmente per fronteggiare il crollo sociale in atto. Questa misura statutaria, oltre che la riduzione della benzina a 70 centesimi, e’ la mina sociale che Forza Nuova, a fianco di agricoltori e autotrasportatori, intende fare esplodere”.

Trova così spazio un’ideologia del tutto conservatrice che fornisce spazi alle ideologie neofasciste: Forza Nuova infatti ha da subito preso parte a tale movimento, e lo stesso Bossi si è scomodato a dare sostegno, attraverso la Padania.

In aggiunta basta fare un’analisi del territorio, osservando dove il movimento è più forte:  Agrigento, Caltanissetta ed entroterra catanese. Località in cui Forza Nuova possiede i maggiori nuclei organizzati, i bacini elettorali prediletti per l’Mpa. I capi della protesta hanno connotazioni poi inequivocabili.

 Martino Morsello, 57 anni di Marsala, ex imprenditore, già deus ex machina di ‘Altragricoltura’. E’ stato consigliere comunale a Marsala dal 1980 al 1993 e più volte Assessore per conto del Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi. Nel 2008 candidato all’Assemblea Regionale Siciliana per la lista degli autonomisti a sostegno dell’attuale governatore della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo. Tra i punti del suo programma figurano anche i condoni previdenziali per le attività agricole artigianali ed industriali. Ultimamente si è avvicinato a Forza Nuova partecipando, lo scorso 10 gennaio al congresso nazionale del movimento neofascista dove ha dichiarato: “Forza Nuova, unico partito con cui interloquiamo”. È titolare del dominio internet “movimentoforconi.it” e gestisce, assieme alla figlia Antonella, dipendente di Forza Nuova di Terni, la pagina Facebook del movimento.

Mariano Ferro, imprenditore agricolo di Avola, ex Forza Italia, ex Mpa con ambizioni in politica, candidato in passato alle amministrative, a sindaco di Avola e poi alla Camera, ma senza successo. Da sempre ha indicato chiaramente il proprio sostegno a Lombardo che ha sostenuto alle ultime regionali.

Pippo Gennuso a Rosolini, centro agricolo del siracusano. Gennuso, appartiene all’Mpa,  ed è in lotta con il governo nazionale da anni. 

Giuseppe Richichi, 62 anni, da un ventennio alla guida degli autotrasportatori dell’Aias: ex trasportatore, è tra i responsabili di un consorzio che gestisce un autoparco a Catania realizzato con fondi pubblici. Fu proprio Richichi, dodici anni fa, a mettersi a capo della protesta che per una settimana mise in ginocchio la Sicilia. In quell’occasione Richichi, molto abile a tenere i rapporti con la politica tanto da ottenere consulenze che  all’assessorato regionale ai Trasporti col governo Cuffaro, finì in carcere con l’accusa di avere tagliato le gomme ad alcuni tir per impedire che aggirassero la protesta, all’epoca ribattezzata ‘tir selvaggio”. Assieme a lui furono arrestati altri due membri dell’associazione, tra cui Nunzio Di Bella, 49 anni, altro storico leader degli autotrasportatori. 

A capo di poche centinaia di uomini sparsi nella Sicilia, i leader di Forza nuova-Mpa hanno guidato una vera e propria serrata. Con atti intimidatori e mafiosi hanno bloccato tir, camion e furgoni e spesso automobilisti nella principali arterie stradali e svincoli: la minaccia più frequente il taglio delle gomme e dove ciò non è stato sufficiente si è arrivato al pestaggio (un caso accertato quello di Lentini, nel siracusano).  In molti comuni dell’entroterra siculo (Palagonia, Scordia, Militello) numerose testimonianze parlano di una vera e propria serrata che ha impedito ai braccianti di lavorare e  alle attività commerciali di restare aperte; diversi negozianti hanno dichiarato di aver subito pressioni pena l’incendio dei locali.  La parola sciopero è stata abusivamente sostituita a quella di serrata, consegnandola ai media locali, in un’ottica del tutto revisionista. Le forze dell’ordine si sono rivelate del tutto conniventi con quanto accade, garantendo grande agibilità ai manifestanti nei presidi.

In questo clima, come sempre accade quando la risposta a sinistra stenta ad arrivare, i fascisti prendono piede e minacciano l’estensione della loro azione.

Il movimento dei forconi crea infatti un precedente che le borghesie mafiose sono pronte a rispendersi altrove: già sono stati individuati altri referenti regionali,  (casualmente) tutti e tre di Forza Nuova. Si tratta di Umberto Mellino per la Calabria e, per il Lazio, Antonio Mariani, responsabile Agricoltura di Forza Nuova Frosinone. E infine di Fabiano Fabio di Foggia per la Puglia .

La nostra critica non ha nulla a che spartire con quella di Confindustria Sicilia, che con il suo presidente Ivan Lo Bello, dichiara di dissociarsi da tali manifestazioni ritenute “proteste esasperate, con forme di lotta che stanno causando ulteriori danni all’economia e ai cittadini siciliani. Le ragioni delle imprese rischiano di essere strumentalizzate dalla peggiore politica,  di sfociare in un ribellismo inconcludente aperto anche alle infiltrazioni della criminalità  organizzata e non”. Il documento è anche firmato dai vertici regionali di Confartigianato, Confagricoltura, Confederazione italiana Agricoltori, Cna Sicilia, Casartigiani, Confapi Sicilia, Confcommercio, LegaCoop, Confesercenti Sicilia, Confcooperative, UniCoop.

Il problema qui infatti non è la ribellione in sè, ma gli interessi che ci stanno dietro e i fini che un movimento si propone.

Il senso reale della protesta è sottolineare quali sono le organizzazioni politiche che fungono da serbatoio dei voti. Se non si sbloccano i finanziamenti, di modo che tutti i padroni locali possano continuare ad attingerne, tali serbatoi verranno prosciugati.

Le manifestazioni cui si sta assistendo assumono connotazioni fasciste, come classicamente accade nel Sud italia perché la mafia, mera espressione dei poteri politici ed economici locali, utilizza le difficoltà economiche della classe per ripristinare l’ordine dei privilegi padronali. Una volta ottenuto ciò la protesta verrà fatta rientrare.

Leggere in tale movimento un carattere di classe, come è capitato inizialmente a molti militanti di sinistra, è quindi impossibile. Se è di classe, di certo non è la nostra classe. L’assenza di un programma politico chiaro tuttavia può aver fatto breccia tra alcuni settori di lavoratori autonomi, studenti, precari e disoccupati che attirati da una blanda piattaforma di rivendicazioni, in alcuni casi, si sono, sebbene in minima parte, aggiunti alla protesta.

Compito dei  comunisti è fare chiarezza.

Occorre oggi comprendere la natura di tale movimento per non consentire alle destre di riorganizzarsi: prendere parte a tale iniziativa diventa lesivo della nostra identità e non consente di fare chiarezza  nei confronti dei lavoratori e degli studenti.

Come marxisti siamo consapevoli che il problema  del mezzogiorno non deriva dalla destinazione dei flussi economici: che sia un padrone siciliano od uno piemontese a gestire tali flussi non cambia che a pagare le conseguenze del sistema capitalista siano sempre e solo i ceti subalterni, sotto la gestione e il controllo di coloro che ci lavorano. Occorre oggi lottare per la nazionalizzazione del settore dei trasporti e dei settori produttivi alimentari. Se la benzina aumenta la responsabilità è delle multinazioni del petrolio e dei loro servi al governo: nazionalizzare l’intero settore degli idrocarburi deve essere la nostra risposta. Solo in questo modo sarà possibile il riscatto per il sud, incidendo sulla disoccupazione che è il terreno su cui gli imprenditori mafiosi riescono a radicarsi.

Ecco come interloquire con quei settori della piccola borghesia rovinata dalla crisi del capitalismo: sulla base di un programma rivoluzionario che metta in discussione il capitalismo. Non va certo in questo senso la dichiarazione di ieri della segreteria regionale di Rifondazione comunista, che oltre che tardiva e fiacca nei contenuti, sembra  giungere da un’altra era politica quando fa appello “a quei settori del Pd che si battono contro Lombardo e contro i poteri mafiosi”.

Unire le vertenze locali, partendo dal basso, promuovendo iniziative assembleari tra sindacati, partiti e movimenti anticapitalisti e antifascisti, tra lavoratori dei vari settori e studenti diventa prioritario: studenti ed operai uniti nella lotta, per l’alternativa di sistema!

In questo momento l’argomento dell’acqua è uno tra i più dibattuti, poiché il 12 e 13 giugno avremo la possibilità, tramite referendum, di rispondere a quello che è l’ennesimo attacco del governo Berlusconi per quanto concerne la privatizzazione dell’acqua.

Il referendum sarà una grande occasione per riavvicinare la popolazione alla vita politica, visto che i politici si disinteressano delle necessità dei cittadini occupandosi solo degli interessi di padroni e speculatori oltre che di quelli del premier.

Il primo risultato della privatizzazione sarebbe l’aumento delle tariffe, che si avvertirà ancor di più nel Meridione, costretto a boccheggiare tra disoccupazione e la speculazione su servizi e beni indispensabili per l’uomo.

Un esempio lampante di quanto già oggi la situazione sia grave, con la parziale gestione privata della distribuzione, è la condizione idrica a Licata.  Agli occhi del lettore potrà sembrare strano che in una città di mare, quale è Licata, manchi l’acqua, ma nel nostro territorio questa condizione di assetati esiste da sempre.

Infatti sin dal 1960, in un contesto di grandi lotte nazionali, i licatesi chiedevano: “lavoro ed acqua”. Scioperando per questi motivi la città pagò un grande prezzo con la morte di un manifestante (Enzo Napoli) e il ferimento di altri nove per mano delle forze dell’ “ordine” che spararono alla folla, ma nemmeno questo estremo sacrificio bastò per risolvere il problema dell’acqua a Licata.

Oggi la situazione idrica a Licata, se possibile, è ancora più grave di cinquant’anni fa. Basti pensare che la fornitura dell’acqua ai licatesi, in periodi di siccità, ha una cadenza media di venti giorni; per questo non esiste casa a Licata che non abbia cisterne o vasche spesso costruite con l’eternit.

Quando l’acqua arriva, non solo non è potabile, ma è addirittura dannosa per la salute dei cittadini; questo, tra le altre motivazioni, è dovuto al fatto che una delle fonti di approvvigionamento idrico della città è un dissalatore sito a pochi chilometri, precisamente a Gela; l’acqua che arriva a questo dissalatore viene prima utilizzata dal petrolchimico “Eni” per le sue fasi di produzione, poi la rigetta in mare con gli scarti chimici e dopo viene ripescata dal dissalatore di Gela che la distribuisce ai cittadini, dissalata ma non completamente depurata; questo ha comportato a Licata l’aumento del 30%, negli ultimi dieci anni, dei casi di tumore al colon.

I cittadini sono così costretti a comprare l’acqua da bere e anche per cucinare… oltre il danno anche la beffa, poiché spesso i cittadini licatesi acquistano l’acqua che la Nestlé (Acqua Vera) imbottiglia, approvvigionandosi dalle fonti dell’agrigentino, la stessa acqua che fino a qualche anno fa arrivava nelle fontanelle pubbliche.

Licata è un esempio lampante del fatto che al privato non interessa fornire un servizio alla cittadinanza, né tanto meno alla sua salute; l’unica cosa che interessa al privato, che nella nostra terra spesso è sinonimo di mafia, è il profitto.

Anziché adoperarsi per rendere la città indipendente sulla questione con la costruzione di un dissalatore nella città, Cuffaro e gli amichetti locali hanno pensato bene di fare un progetto per il raddoppio della rete  esistente spendendo circa 80mln di euro, un progetto che sulla carta avrebbe aiutato la distribuzione idrica, ma in pratica è divenuta l’ennesima speculazione mafiosa, visto che a due anni da quella che doveva essere la consegna della struttura, i lavori sono ancora in alto mare.

Per questo vogliamo che l’acqua sia pubblica anche nella gestione, per noi marxisti pubblico significa controllo diretto dei lavoratori e dei cittadini, perché non basta dire pubblico quando questo è espressione della mafia. In questo modo, il problema dell’acqua, a livello locale e nazionale, diventerebbe solo un brutto ricordo, poiché agli interessi di pochi verrebbe contrapposto il bisogno di molti, mentre l’inefficienza e la speculazione di amministrazioni ed enti gestori verrebbe contrastata dalla necessità degli operai di difendere il proprio lavoro.

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CON IL CUORE E CON LA MENTE

Pieno appoggio alla sollevazione del popolo siciliano!

 Da alcuni giorni la Sicilia è in subbuglio, paralizzata da un movimento di protesta senza precedenti. Iniziato da alcune categorie di lavoratori autonomi (camionisti, agricoltori, pescatori, artigiani) esso ha poi coinvolto disoccupati, precari, studenti, casalinghe.

 Contro questa protesta la stampa di regime ha scelto un omertoso silenzio, con lo scopo evidente di coprire la spalle al governo di centro-sinistra-destra presieduto da Monti. C’è chi ha fatto di peggio. C’è chi ha diffamato la rivolta come una “emanazione della criminalità organizzata e della borghesia mafiosa”. Ci riferiamo a certa sinistra con il cuore di pietra e la testa nel pallone, oramai sorda alle istanze della maggioranza dei cittadini, siciliani anzitutto, interessata soltanto a riacciuffare seggi e poltrone.

  Il Movimento dei Forconi, così come qualsiasi altro soggetto di lotta si giudica dalle sue rivendicazioni, dalle persone che mobilita, dal rapporrto che instaura con le forze al potere, certo anche dai suoi esponenti. Non c’è dubbio che le rivendicazioni dei siciliani sono sacrosante. Il popolo lavoratore è alla fame e l’isola sta naufragando nel degrado e nella corruzione, anche a causa dei poteri politici siciliani e nazionali i quali, invece di ascoltare i cittadini, rispondono solo al comando del capitalismo predatorio globale. Il carattere di massa della protesta è indiscutibile, segno che malgrado i disagi provocati dalla rivolta i siciliani stanno dalla parte di chi sta lottando. La legittimità di un movimento popolare, per sua natura spontaneo, pluralista e non pilotato da questo o quel partito, non si può mettere in discussione a causa delle simpatie politiche, magari non condivisibili, di questo o quel dirigente. Chi compie questa operazione, ammesso che lo faccia in buona fede, fa il gioco di un governo che con le sue misure antipopolari getta tutto il paese nel baratro.

  Sosteniamo la sollevazione popolare siciliana quindi, affinché pieghi l’avversario e raggiunga i suoi obbiettivi. La sosteniamo perché essa ci indica la strada da seguire, che solo con la lotta dura e di massa il popolo lavoratore può difendere i propri diritti ed evitare di precipitare nella miseria. Siamo quindi per la sua estensione al resto del paese, affinché tutti coloro la cui vita è lesa e distrutta dalla crisi e dalle misure adottate dal governo, escano dal torpore e alzino finalmente la testa.

 Le classi dominanti hanno fallito. Il regime dei partiti ha fallito. L’Unione europea ha fallito.

 Un futuro migliore è possibile solo imboccando un’altra strada, questa strada passa per la lotta sociale.

  Solo con una rivoluzione democratica e popolare si potrà uscire dal marasma. Una rivoluzione che passo dopo passo saprà riconoscere chi sono i veri amici del popolo, coloro che hanno proposte alternative serie alla politica economica di chi fino ad ora ha guidato il paese distruggendolo.

  Dalla Sicilia arriva un segnale di cambiamento, dobbiamo raccoglierlo, farlo crescere, farlo maturare.

 La prossima settimana la rivolta si estenderà alla Sardegna con alla testa il Movimento dei Pastori.

 Al popolo in rivolta non si devono mai voltare le spalle, tutte le energie si devono concentrare contro i vecchi rottami

 della politica siciliana, sarda e italiana.

 Movimento Popolare di Liberazione

sollevazione.blogspot.com

20 gennaio 2012

Il movimento dei forconi: questa non è rivoluzioneultima modifica: 2012-01-25T08:45:00+01:00da iskra2010
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