SCHEDE, MATERIALI PER IL SEMINARIO DEL COMITATO NO DEBITO 21-22 SETTEMBRE 2012

SCHEDA N° 3 – L’IMPORTANZA POLITICA DELLA GENESI DEL DEBITO 

Per sottrarci al ricatto del debito “sovrano” non possiamo certo ignorare l’analisi della sua evoluzione, che non parte dall’inizio della crisi nel 2007 ma da molto prima; questo rappresenta, infatti, un limite sistemico e non congiunturale dell’occidente capitalistico e del Giappone. Motivare bene questa evoluzione serve a consolidare un punto di vista complessivo che è anche un importante presupposto per lo sviluppo del ragionamento sul programma.

La vicenda del debito e dei processi di finanziarizzazione hanno origine dal periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 con l’avvio delle privatizzazioni nell’occidente. In Italia essa ha inizio  con la riforma della Banca d’Italia promossa dal ministro Andreatta (1981). Da quel momento e per tappe successive la finanza ha assunto una dimensione sempre più ampia fino a raggiungere l’attuale abnorme condizione. Qui va affrontato un primo nodo politico che si riflette ancora oggi sulle valutazioni e sulle scelte che vengono fatte. 

Infatti fino agli anni ’70 il capitale prevalente è stato quello industriale mentre la dimensione finanziaria è stata a supporto di questo tipo di sviluppo. Se da un certo punto in poi i rapporti si sono ribaltati è stato perché il capitale ha trovato, ed oggi trova ancora di più, che i processi di valorizzazione potevano essere più consistenti nella dimensione finanziaria che in quella produttiva. Infatti il rapporto tra capitale industriale e finanziario passa da 1:1 circa nel 1980 al 356% nel 2007, anno di scatenamento conclamato della crisi attuale. 

Va, perciò, smontato un primo assunto ideologico che ci viene continuamente proposto come parametro di valutazione, ovvero che bisogna evitare, con i sacrifici etc., che la perversione della speculazione finanziaria si riversi sulla sfera produttiva. In realtà è dimostrabile che è stata proprio la crisi di valorizzazione del capitale nella sfera produttiva a generare i processi di finanziarizzazione che ci hanno condotto alla attuale situazione dei cosiddetti debiti sovrani, sia per il sostegno alla domanda, sia attraverso il finanziamento alle imprese del capitale produttivo.

Le Tappe

1 – Definito il “punto di partenza” va evidenziata la dinamica che si è generata da quegli anni e quanto questa sia stata nemica del lavoro dipendente e subordinato nel suo complesso. La prima “tappa”, se cosi possiamo definirla, sono stati gli estesi processi di privatizzazione avviati dalle amministrazioni di Regan e della Tatcher che hanno rivitalizzato negli anni ’80 le borse e la finanza. 

Processi questi affiancati dalla riscossione degli interessi altissimi sui debiti in particolare dei paesi Latino Americani richiesti dal FMI che attuava nei confronti di quei paesi una politica di strozzinaggio grazie ai regimi militari che all’epoca governavano. Politiche queste finalizzate ad aumentare i profitti ed il peso del capitale finanziario occidentale. Però già in quella fase iniziale gli effetti perversi dello sviluppo scelto dall’occidente si sono manifestati con la crisi delle borse esplosa nel 1987 che colpì soprattutto USA e Giappone.

2 – A questa prima tappa ne è seguita un’altra generata dalla crisi del blocco sovietico che ha allargato, globalizzandolo, il capitalismo nella sua ormai consolidata fase finanziaria. Va detto anche che ripresero gli investimenti nella produzione ma che questi sono stati effettuati soprattutto nei paesi della periferia, a cominciare dalla Cina, dove i tassi di valorizzazione del capitale nella produzione di merci erano, e sono ancora, ben più ampi di quelli che si potevano ottenere nei centri capitalistici. 

Nonostante questo “bagno rigenerativo” nella produzione di merci proprio negli anni ’90 sono iniziate una serie di crisi finanziarie pilotate dall’occidente che hanno ulteriormente incrementato i capitali investiti nei giochi speculativi di borsa. La crisi più rilevante  è stata quella nel ‘98 in estremo oriente, che ha investito la Corea e, soprattutto, il Giappone uscito sconfitto da quella fase nella competizione globale e ridimensionato strategicamente.

Si sono anche manifestate quelle che hanno coinvolto nella seconda metà degli anni ‘90 la Russia, il Messico ed altri paesi asiatici (Indonesia, Singapore, la Thailandia e le altre ex tigri asiatiche). Questi eventi hanno dimostrato che, seppure la produzione di merci rimaneva un campo di investimento importante, la dimensione finanziaria manteneva la sua predominanza tramite le politiche da strozzinaggio attuate dal FMI e dalla Banca Mondiale, dalle banche e dai fondi di vario tipo e che le privatizzazioni erano divenute ormai legge internazionale. Questo avvenne anche in Italia  dove  un impulso decisivo alle privatizzazioni è stato dato all’epoca dal primo governo Prodi. 

Questa evoluzione ha prodotto una divisione internazionale nella produzione dove i paesi capitalistici principali hanno potuto estrarre maggior profitto dalle privatizzazioni, dalla terziarizzazione dell’economia, dai processi diretti di speculazione finanziaria, edilizia, oltre che dalla produzione, civile e militare, tecnologicamente avanzata. Infine è stato decisivo il supporto complessivo fornito ai privati dagli Stati dominanti. 

3 – I limiti del processo di finanziarizzazione cominciano ad evidenziarsi in modo chiaro agli albori del nuovo secolo, nel 2001, quando la crisi dei titoli tecnologici del Nasdaq dimostra che la strategia di scaricare all’estero contraddizioni che nascono dal cuore del sistema capitalistico è in via di esaurimento. Infatti la crisi di Wall Street di inizio secolo si poggia su un paradosso prodotto dalla inspiegabile contraddizione tra un potenziale sviluppo reso disponibile dalla rivoluzione tecnico-scientifica e dalla presenza, e permanenza possiamo dire oggi, della crisi finanziaria globale. Storicamente questo non è mai avvenuto e ad un aumento delle capacità produttive e tecnologiche è sempre corrisposto un periodo di crescita economica.

Lo sviluppo di quegli eventi di inizio decennio è oggi sotto i nostri occhi. La crisi finanziaria prima scaricata all’esterno ora travolge i centri capitalistici, la finanziarizzazione basata sul debito privato (vedi i subprime americani) oggi si riversa sugli Stati chiamati a soccorrere banche e fondi non più in grado di riscuotere crediti ed interessi maturati. Così la crisi diviene del debito “sovrano” e viene giustificata indicando un supposto distorto ruolo sociale degli Stati: essa,dunque,  deve essere pagata, “ per dovere”, dai popoli che invece sono stati soggetti completamente estranei, anzi vittime dei processi di speculazione dei capitali finanziari privati.

4 – L’ultima tappa di questo percorso ci riguarda direttamente ed è relativa alla costruzione della Unione Europea. Questo progetto ha preso vigore negli anni ’90 con una ripresa economica generalizzata a livello mondiale in cui il ruolo centrale era ricoperto dai paesi capitalisti principali. Su questo presupposto è nato l’Euro ed il processo di unificazione continentale che ha proceduto con un passo cadenzato. La crisi ha modificato le condizioni generali in cui avanza l’unificazione e non necessariamente in modo negativo per i poteri finanziari europei.

Alla crisi economica generale che parte dagli USA ma che coinvolge anche l’UE, crisi che permane e che non è affatto superata, nel nostro continente se ne è aggiunta una di carattere politico e pilotata. Non è credibile che le sorti dell’ UE siano da porre in relazione alla Grecia che ha appena il 3% del PIL europeo. Il terrorismo economico che viene praticato non è legato ai dati meramente economici, ma alla necessità di accelerare di gerarchizzare l’Europa nel  processo di unificazione politica:   a far capire ai riottosi chi comanda in Europa.   

Questo mostra quanto, piuttosto che scomparire, dentro la globalizzazione permanga il ruolo dello Stato che, anzi, rafforza la propria funzione, e funzionalità al neoliberismo, con forme in via di definizione ed in senso marcatamente antidemocratico e antipopolare nell’attuale fase della mondializzazione.

In sintesi

Definire una genesi della crisi serve ad evidenziare, sui diversi piani, ovvero empiricamente, politicamente ma soprattutto dal punto di vista strutturale, che l’attuale situazione non è stata prodotta dai popoli dei paesi a capitalismo avanzato e dalla loro supposta condizione di vita “privilegiata”, “al di sopra delle proprie possibilità”, ma è un limite ed una contraddizione interna al modello di sviluppo capitalistico attuale che ormai da trent’ anni pensa che sia possibile generare denaro da denaro. 

Siamo di fronte ad una strettoia sistemica che viene sempre affrontata rinviando, a tempi sempre più brevi, le proprie contraddizioni scaricandole ora sulle classi subalterne dei paesi sviluppati, cioè adottando la stessa tattica avuta negli anni ’90 nei confronti dei paesi periferici. Scelta questa che potrà rinviare le difficoltà della valorizzazione ma ne amplificherà ulteriormente la dimensione.

Per entrare nel merito quantitativo e dare il senso concreto delle dinamiche in atto va detto che oggi si stima che la dimensione finanziaria è almeno otto volte (c’è chi dice di più) quella strettamente produttiva rappresentata dalla somma di tutti i PIL mondiali. A questo ha portato concretamente l’impazzimento finanziario del capitale ed è difficile credere che sia sufficiente “spremere” i popoli dei paesi sviluppati per risolvere il problema del debito. 

E’ l’impossibilità di produrre una ulteriore valorizzazione dei capitali che porta alla speculazione ed alla crisi. Ad una crisi sociale, poiché sono imposti  livelli di sfruttamento sempre più accentuati del lavoro; e ad una crisi politica poiché vengono usati  gli Stati per recuperare ricchezze che aumenteranno la povertà e ridurranno il potere di acquisto dei lavoratori e della società nel suo complesso.

E’ in questo contesto materiale che vanno valutate negativamente le posizioni che ipotizzano possibili soluzioni economiche alla questione del debito. Per noi la questione principale è la modifica necessaria dei rapporti di forza tra le classi, per questo va assunta una posizione nettamente alternativa che è quella di considerare illegittimo perché prodotto dalle dinamiche di sistema e, dunque, di rifiutare che siano i popoli, le lavoratrici e i lavoratori a pagarlo. Dunque il comitato NO DEBITO si pone come punto di partenza per la modifica dei rapporti di forza complessivi e di organizzazione del conflitto sociale.

 

SCHEDA TECNICA SULLA DINAMICA E SULLA COMPOSIZIONE DEL DEBITO SOVRANO ITALIANO

 

Il valore si riferisce del debito pubblico  si riferisce al 31 dicembre di ciascun anno.

 

Anno

Debito Pubblico (milioni di €)

PIL (milioni di €)

2007

1.602.115

1.546.177

2008

1.666.603

1.567.761

2009

1.763.864

1.519.702

2010

1.843.015

1.548.816

 

 

Andamento del rapporto debito pubblico-PIL.jpg

Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze – Notifica del Deficit e del Debito Pubblico inviata alla Commissione Europea ex Reg. CE 3605/93, così come modificato dal Reg. 2103/05 http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/_link_rapidi/debito_pubblico.html

 

Al 31 dicembre 2010 i titoli di Stato costituiscono circa l’83% del debito pubblico.

 

 

Debito pubblico italiano nella storia.jpg


 

Fonte: http://www.linkiesta.it/chi-detiene-debito-pubblico-italiano-#ixzz1dIYi9YS3

 

Composizione del debito pubblico .jpg

http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/_link_rapidi/debito_pubblico.html

 

Chi detiene il debito pubblico italiano?

 

L’85% del debito pubblicoitaliano è detenuto da istituti finanziari italiani o da altri possessori esteri e il restante  15% è detenuto da residenti in Italia.

 

La Banca d’Italia ha  diffuso i dati del debito pubblico a novembre 2011 : 1.905 mld di euro, in lieve riduzione rispetto mese precedente (-0,22%).

 

 

Debito delle amministrazioni pubbliche.jpg

 

http://www.bancaditalia.it/statistiche/finpub/pimefp/2012/sb4_12/suppl_4_12.pdf

 

Si consideri che fino a fine anni ’80 inizio anni ’90 il debito pubblico italiano era quasi del tutto un debito interno; in questi ultimi venti anni la situazione è cambiata radicalmente; la tabella seguente mostra infatti come la quota dei detentori esteri di titoli di stato è aumentata fortemente passando dal 5,59% del 1991 al 51,4% del 2009.

 

Tabella[1]

 

 

Detentori.jpg

Altro elemento fondamentale da rilevare è che anche la composizione del 50% del debito pubblico in mano italiana è cambiata; ad oggi infatti la stragrande maggioranza dei possessori dei titoli di Stato sono banche, assicurazioni e fondi pensione o di altra natura, che in questo modo coprono le proprie obbligazioni che hanno venduto ai clienti.

 

 

debito delle amministrazioni pubbliche analisi per settori detentori.jpg

 

[1] Cfr. http://sollevazione.blogspot.com/2011/05/contro-inchiesta-sul-debito-pubblico.html

 

SCHEDE, MATERIALI PER IL SEMINARIO DEL COMITATO NO DEBITO 21-22 SETTEMBRE 2012ultima modifica: 2012-09-22T12:20:00+02:00da iskra2010
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