Dens dŏlens 162 – Le debolezze dei brigatisti

Foto: Simioni Corrado delle Brigate Rosse e Hyperion con l’Abbé Pierre e Giovanni Paolo II su L’Espresso del 28 marzo 1993

di MOWA

Tralasciando, per un attimo, le considerazioni negative che si hanno sulle BR e le motivazioni di tipo politico completamente errate di questa formazione, dobbiamo stabilire che una delle debolezze dei brigatisti sia stata quella di entrare in quella formazione e di averla frequentata come fosse una setta e quindi di subirne “dipendenza” proprio come avviene, spesso, con alcune “religioni” o per le droghe… più si rimane, nel tempo, in queste organizzazioni più difficile diventa uscirne.

Infatti (come si è dimostrato concretamente negli anni) l’aver frequentato per lungo tempo queste formazioni armate più per motivazioni private che per convinzioni ideologiche (andando, probabilmente, da forti privazioni personali d’affetto a quelle di senso sino a quelle di significato) li aveva intrappolati nella “fabbrica delle illusioni” caricate da emozioni che ruotavano intorno alla figura del leader.

Come nelle sette, appunto!

In psicologia, sicuramente, li avrebbero equiparati a soggetti disturbati o narcisisti patologici o, peggio ancora, psicopatici perché provavano piacere ad esercitare potere sugli altri, con un desiderio, irrefrenabile, di sentirsi superiori quando, invece, erano soggetti deboli. D’altronde quando un gruppo arriva a prediligere l’isolamento dalla società il rischio di cadere preda (o, meglio, vittima) del condizionamento del leader diventa maggiore… se non, addirittura, determinante.

Dimostrazione di questa pratica l’abbiamo vista in passato con la compartimentazione piramidale della formazione politica BR così come, nelle scelte unilaterali e insindacabili (perché impossibile verificare il contrario) del leader. Il rapimento dell’onorevole Aldo Moro né è stata la prova provata del potere indiscusso dei leader che, ancor oggi, insistono nel mentire a tutti ed, anche, agli altri componenti delle BR su quanto sia realmente accaduto in quella vicenda.

Valerio Morucci, infatti, ha parlato, negli anni, un po’ come attore attivo nei fatti in questione e un po’ per sentito dire senza mai, però, conservare linearità.

Mario Moretti, dall’altro, come sull’altalena, prima smentisce Morucci e poi ne condivide le ricostruzioni dei fatti sortendo l’effetto, forse voluto, dell’annebbiamento.

Prospero Gallinari (essendo deceduto, non può più ripristinare la verità) in questo guazzabuglio di indicazioni aveva modulato i suoi racconti tra l’uno e l’altro come, d’altronde, ha fatto Adriana Faranda ma, con l’avvertenza di non dire mai come siano andate esattamente le cose nonostante, ormai per loro, i fatti stiano assumendo una forma precisa e dettagliata che li bollerà come bugiardi al servizio del potere.

Il motivo o i motivi del non voler spiegare le evidenti contraddizioni sollevate nelle ricostruzioni fatte nei vari libri di Sergio Flamigni o Carlo D’Adamo da parte dei protagonisti diretti dell’agguato-sequestro-uccisione di Aldo Moro, sono da ricercarsi in un bieco opportunismo intrecciato a verità scomode che possono essere racchiuse in tre, quattro, considerazioni.

Prima considerazione.

Sicuramente, la paura che venga a galla la verità su alcuni fatti, ancora inspiegabili, metterebbero i Morucci, Moretti, Faranda, Seghetti… sulla graticola della reazione degli altri brigatisti (pentiti, dissociati o intransigenti che sia) che sono in attesa di capire fino a che punto siano stati usati e manipolati da altri.

Seconda considerazione.

Il rischio di perdere, probabilmente, i benefici di legge per cui, oggi, sono fuori dalla prigione… e, qualcuno, con una buona avviata attività.

Terza considerazione ma non meno importante.

L’ascendente che costoro hanno, ancor oggi, su molti giovani (sciocchi psicolabili?) che li considerano come delle star holliwoodiane.

Poi, vi è una quarta ipotesi che, potrebbe, corrispondere al loro reale ruolo all’interno delle Brigate Rosse che fu quello di “agenti” (diretti o indiretti) del “re di Prussia” del potere che dicevano di combattere.

Quest’ultima ipotesi (che assume, sempre più, le caratteristiche di certezza) è dovuta ad una serie di eccessive “coincidenze” sull’episodio in menzione.

Vogliamo rammentare, solo, alcune, delle troppe “fortuite” opportunità che rendono impossibile svelare quanto accadde sul sequestro come, ad esempio, quando “scomparvero o vennero manipolate bobine dove erano state registrate intercettazioni telefoniche. Scomparvero i documenti, verbali, appunti e quant’altro delle riunioni del CIIS, del CESIS, dei comitati di crisi che si riunivano al Viminale”. [1]

Oppure, quando “scomparve un rullino fotografico con foto scattate immediatamente dopo la strage, prezioso per individuare i testimoni accorsi subito dopo la fuga dei terroristi che rapirono Moro.[1]

O, ancora, quando scomparvero i verbali (ad eccezione di quello del 17 marzo) o i documenti successivi ed inerenti le attività delle riunioni del CIIS di gestione della crisi di cui Andreotti (allora capo dell’organo di coordinamento dei servizi, CESIS) aveva parlato all’allora Commissione Moro.

Perché sono scomparsi i verbali delle successive riunioni? [1]

Così incomprensibili le coperture degli apparati dello Stato sul rapimento-sequestro-uccisione di Moro che fanno sorgere ulteriori domande.

Perché Cossiga occultò all’allora Commissione Moro il nome e l’attività del consulente statunitense Steve Pieczenik che, tra l’altro, era vice assistente del servizio antiterrorismo del Dipartimento di Stato degli USA, ufficio istituito da Henry Kissinger?

Quale può essere il motivo di tanta dinamica sinergia nel togliere (sia da parte dei protagonisti delle BR che dallo Stato) le prove di cosa accadde quel giorno in via Fani e durante il sequestro-omicidio di Aldo Moro?

Perché, Moretti (e non solo) nonostante le ricostruzioni periziali, su quanto accaduto in via Fani, quel 16 marzo 1978, si ostina a dire che spararono solo da sinistra e voler negare (con schizzi grafici) che, invece, spararono anche dall’altro lato?

Chi vuole (o deve) coprire?

Perché Morucci si prodiga in arzigogolati ed inverosimili racconti sulla vicenda Moro e non ci racconta il suo “strano” percorso ideologico visto che fu capace di andare, persino, a presentare il suo libro dai (dichiarati) fascisti di Casa Pound?

Che funzione ebbero i tipi come Senzani, regista dell’omicidio Peci e della “trattativa” Cirillo, una passione per l’editoria. Stesso hobby dell’altro bierre Morucci, che oggi scrive per una rivista di intelligence con la benedizione di Alemanno e del generale Mori”?

Quale ruolo ebbero i servizi (nazionali e internazionali) nell’aver costruito quel progetto destabilizzatore che impediva al PCI di entrare nella stanza dei bottoni del Governo e nell’aver costruito formazioni che partirono dal “Collettivo politico metropolitano”, in cui militarono anche Moretti e Prospero Gallinari, per continuare con le BR dove militarono Giovanni Mulinaris, Duccio Berio e Corrado Simioni e che (questi ultimi) fecero parte di quella struttura (cellula) della CIA denominata Hyperion,una supercupola trasnazionale in cui confluirono interessi politici e finanziari d’ogni risma”?

Questi ibridi soggetti, probabilmente, non avevano messo in conto la caparbietà dei comunisti e dei veri democratici nel voler scoprire, ricostruire e far conoscere una verità che non fosse solo giudiziaria ma, soprattutto, storica su cosa furono i movimenti eversivi di quegli anni e che, purtroppo oggigiorno, vengono presi a campione in altri Stati per costruire il caos, e nel voler far capire alle nuove generazioni quale fosse la loro vera essenza di etero-diretti verso un progetto destabilizzante ad indirizzo autoritario.

Altrimenti come si spiegano le foto di Corrado Simioni, benché ricercato, all’udienza con Papa Giovanni Paolo II e l’Abbè Pierre?

Come si spiega, ancor oggi, la possibile latitanza di Alessio Casimirri in Nicaragua, uno dei partecipanti alla strage di via Fani (figlio di un alto funzionario del Vaticano, dirigente dell’ufficio stampa della Santa Sede all’epoca del sequestro) se non si aprirono i contatti tra BR e Vaticano?

Come si spiegano le presenze di gladiatori (anche della ex-Decima Mas) e del SISMI in via Fani il 16 marzo 1978 durante il sequestro Moro?

Come si spiega, altrimenti, il giorno del sequestro Moro, la presenza di autovetture di società riconducibili ai servizi segreti italiani che impedirono la fuga all’Onorevole ed alla sua scorta?

Come si spiegano, ancora, in via Fani o nei pressi, le tante società riconducibili ai servizi segreti italiani?

Come si spiegano, quel 16 marzo 1978, gli inceppamenti delle armi dei brigatisti (per loro stessa ammissione) con la dinamica di fuoco in via Fani?

Come si spiegano le tracce di sabbia, arbusti e minerali riscontrabili solo su bagno asciuga del litorale di Focene (fuori Roma), trovati sia sugli indumenti di Moro che sulla Renault 4 (persino nel bagagliaio dove venne rinvenuto il cadavere del parlamentare) non compatibili con la prigione di via Montalcini 8 descritta dai brigatisti Moretti, Morucci & C.?

Come si spiegano la leggera abbronzatura e buona tonicità muscolare, oltre la pulizia intima, di Aldo Moro con l’angusta prigione di via Montalcini 8 (1 metro e mezzo di larghezza senza finestre) in cui, dicono i brigatisti, di averlo trattenuto per 55 giorni?

E come spiegano i brigatisti Moretti, Morucci & C. che sono scomparsi proprio gli scritti e le registrazioni di Moro che parlano di Gladio e che non hanno voluto diffondere “al popolo. Perché nulla deve essere nascosto al popolo” come hanno sempre sostenuto?

E come spiegano Moretti, Morucci & C la requisitoria della Procura Generale di Roma del 14 novembre 2014 che recita: “Se non c’è la prova che le BR si fossero infiltrate nel cuore delle istituzioni, c’è la prova che esse fossero state infiltrate e fossero eterodirette da apparati di sicurezza, non è dunque necessario ipotizzare che avessero ‘alleati all’interno della macchina dello Stato’, per sostenere che proprio a qualche ‘agente destabilizzante’, poco importa che si trattasse un altissimo funzionario ministeriale oppure di un alto ufficiale dei carabinieri o di un politico di primo piano…”?

Dato che non potranno spiegare granché saranno costretti a giocare tra chiari e scuri del detto e non detto, anche per non rischiare che gli altri ex o meno brigatisti raccontino le parti mancanti delle loro reiterate fesserie.

Attendiamo gli sviluppi…

 

NOTE:

[1]

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL RAPIMENTO E SULLA MORTE DI ALDO MORO – XVII LEGISLATURA — DISCUSSIONI — COMM. ALDO MORO — SEDUTA DEL 2 DICEMBRE 2014 – RESOCONTO STENOGRAFICO 13. SEDUTA DI MARTEDI` 2 DICEMBRE 2014

– Ilaria Moroni direttrice del Centro di documentazione Archivio Flamigni legge la relazione predisposta da Sergio Flamigni.

Dens dŏlens 162 – Le debolezze dei brigatistiultima modifica: 2015-06-29T01:19:03+02:00da iskra2010
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