L’alienazione alimentare della globalizzazione capitalistica

 

Sezioni comuniste Gramsci-Berlinguer

per la ricostruzione del P.C.I.

 

di Domenico Marino

Un proverbio cinese recita: “Mangiare è uno dei quattro scopi della vita… quali siano gli altri tre, nessuno lo ha mai saputo.”

Non siamo un popolo tra i più ricchi eppure abbiamo l’aspettativa di vita più alta al mondo 83,7 anni, nonostante rimaniamo ancora un popolo di fumatori e discreti bevitori soprattutto di buon vino.

Gli Stati Uniti che sono i più “potenti” hanno invece una aspettativa di 78,6 anni.

Questo primato di longevità è dovuto, a mio parere – ma molti rilevatori sulla qualità della vita lo evidenziano – al cibo in particolare (ma anche ad un sistema sanitario universalistico), vario e in genere di migliore qualità rispetto agli altri paesi.

Favorito da uno dei climi più adatti alla coltivazione della terra: coltivata da millenni col conseguente sviluppo di varietà di frutta e ortaggi, varietà di grano, orzo, farro e legumi. (Quando sugli scaffali vedo, tra gli altri, i pomodori dall’Olanda, con tutto il rispetto per l’Olanda, o le lenticchie dal Canada mi vengono i brividi.)

Su una cosa aveva ragione Feuerbarch: “siamo quello che mangiamo”. Certo non solo…

Se poi mangiamo prodotti, non troppo modificati (soprattutto geneticamente), di stagione e locali, o comunque provenienti da una filiera corta, il nostro organismo alla lunga ne beneficerà in modo ragguardevole.

Le donne sono quelle che vivono più a lungo; questo perché in genere hanno appunto una alimentazione migliore, più sana e attenta. Mangiano di meno e soprattutto mangiano più degli uomini frutta e verdura.

Gli animali si nutrono, l’uomo mangia e la donna sa mangiare (..e anche usare le posate) recitava un vecchi adagio.

Entrando nel vivo delle relazioni produttive ed economiche e sul loro impatto sociale-ambientale vediamo come il futuro non sia granché roseo per tutti.

Oggi le multinazionali stanno investendo molto sul “cibo”, che è diventato una “commodity” nel mercato sempre più globalizzato.

Comprano latifondi nei paesi del terzo mondo e in via di sviluppo – con il supporto di governi corrotti, che seguono i dettami del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale – con conseguente impoverimento sia rispetto alle coltivazione tipiche, fondamentali per il sostentamento delle popolazioni originarie, sia di chi coltiva la terra, che guadagna sempre di meno – i braccianti agricoli sono tra le categorie più sfruttate se non la più sfruttata – poiché il grosso del “business” viene fatto da società (quotate in borsa ma lontane mille miglia dalla terra..) terze, quarte e così via che speculano sul prezzo delle risorse primarie vendendo i prodotti dove conviene a livello di mercato.

Ad esempio nel Sud America in paesi come il Perù, tra i primi produttori di quinoa, la popolazione autoctone non potendo usufruire più del beneficio di questa pianta poiché i prezzi sono andati alle stelle a seguito della grande richiesta nei paesi occidentali – dove il prodotto viene più esportato per profitto a causa del fenomeno vegan – si sfama con il cibo spazzatura preconfezionato che arriva loro tramite le multinazionali della distribuzione alimentare.

Le multinazionali prendono un prodotto di qualità in loco lo vendono dove costa di più per fare lauti profitti e poi ti inondano di povertà e di “junk food” “made” in un’altra parte del mondo.

Il 90% di chi coltiva il cacao in Africa, ad esempio, non ha mai visto del vero cioccolato; e non è una battuta.

Questa è l’alienazione della globalizzazione neoliberista!

Costoro si vanno amaramente ad aggiungere agli alienati, di marxiana memoria, della catena di montaggio.

Da molte parti, nei salotti elitari “green liberal”, si predica il sovranismo alimentare o il consumo responsabile, facendo ricadere spesso sul singolo la colpa della problematica economico-sociale; ma queste tendenze sono un mero palliativo se non si va ad intaccare il sistema di produzione che è causa di questa perversione: il capitalismo.

Come fare?

Attraverso la pianificazione economica e la socializzazione della produzione sotto il controllo di chi lavora.

E’ assurdo che oggi il cibo si ammassi dove se ne ha in sovrabbondanza, con conseguente crisi di sovrapproduzione, ed invece venga a mancare dove ce n’è assoluta necessità.

La crisi oggi si paga due volte!

Questo è un paradosso più che diabolico che cresce, non diminuisce, allo svilupparsi di questo sistema economico che non rispetta né uomini, né animali, né terra ma solo il profitto sempre più fine a se stesso.

Ciò vale come monito anche a chi segue discutibili mode alimentari pensando di fare una scelta etica rispetto all’ecosistema, perché scegliendo di non mangiare carne ma altro cibo più ricercato forse si salva qualche vitello o qualche pollo (il che è anche concepibile..) ma molto sovente si condanna alla fame e alla schiavitù del lavoro milioni di esseri umani che vivono questa frustrante e mortale “alienazione”.

L’alienazione alimentare della globalizzazione capitalisticaultima modifica: 2018-04-28T06:15:22+02:00da iskra2010
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