Pirola, vizi del liberalismo, solidarietà; e “Il secolo lungo” del 900 — Per una cultura della solidarietà

 

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di Angelo Ruggeri

 

Ragionando con padre G. Pirola e corrispondendo con A. Ciampi
 La solidarietà nel discorso sociale della Chiesa e il vizio morale del liberalismo.
 Con particolare attenzione a chi pensava di poter “rompere” con la storia e la continuità storica, e a chi diceva che “la società è cambiata”  e il Mondo pure, mistificando come “nuova” la globalizzazione e “nuovo” e alternativo a se stesso il capitalismo, di cui già si sapeva che per sua stesa natura è destinato a cambiare e a rivoluzionare sempre e tutto quello che appare in superficie per restare sempre uguale a se stesso in profondità, per mantenere e salvaguardare nel profondo il nocciolo duro del sistema di accumulazione e dei rapporti sociali e di produzione capitalistici.
 


 

Caro Ciampi, dopo lunga ricerca ho rintracciato tra le mail lo scritto di Pirola che ti interessava e ti allego ed anche il suo testo che mi avevi chiesto, apparso sul n.2/02 dei Quaderni di centroveneto della Marsilio, che Pirola mi aveva donato e che dovrò fotocopiare per fartelo pervenire. Nel frattempo, assieme ad alcune riflessioni, ti cito alcuni passaggi dal testo di Pirola che dice: “Il discorso comincia dalla denuncia di un vizio morale del liberalismo, il vizio dell’individualismo in campo economico. E’ questo infatti la causa della “deformazione dell’ordine sociale”.
 
Il liberalismo …ha imposto un nuovo ordine economico che dissocia gli individui e li rende soli di fronte allo Stato perchè ha distrutto le libere associazioni intermedie, cioè le corporazioni medioevali… che nella situazione storica mutata sono (del tutto) superate: piccole associazioni non possono assolvere compiti, che sono sostenibili oggi solo da grandi associazioni (quelle sociali e politiche della “società civile” organizzata analizzata da Gramsci, n.d.r). Non vi è dunque nessuna nostalgia delle corporazioni medioevali giudicate del tutto inadatte al moderno sviluppo industriale”. (Giuseppe Pirola, Marsilio-Quaderni dei centroveneto, dove Pirola si riferisce all’enciclica Quadrigesimo Anno (15-5-1931) di Pio XI, (che in campo missionario si batté per l’integrazione con le culture locali invece dell’imposizione di una cultura occidentale, n.d.r.), dalla quale inizia per ricostruire la storia, l’origine e lo sviluppo del “Principio di sussidiarietà e solidarietà nella dottrina sociale della Chiesa“.

 

In poche parole, Pirola riassume la condanna del liberalismo che l’enciclica nella sua seconda parte esprime in modo molto piu lungo. Ciò che Pirola evoca e richiama in questo passaggio, stimola a soffermarci un attimo sull’importanza del senso della storia, richiamando come presente (presente/passato o passato/presente) il passato che non si può non sapere ne ignorare e che se non lo si oblitera, nella continuità della storia, vincendo il tempo  resta e sta a segnare anche il futuro. Pirola parte dalla memoria e ci richiama alla storia di quando dopo la vittoria della rivoluzione industriale e dei modi produzione capitalistici tra il 18° e il 19° Secolo, l’avvenimento di fondamentale importanza in Europa fu lo smembramento dell’uomo provocato dalla divisione del lavoro, dalla meccanizzazione, dallo sfruttamento e dai commerci. Come aveva profeticamente preannunciato Friedrich Schiller “Il piacere fu separato dal lavoro, il mezzo dal fine, la fatica dal premio. Eternamente incatenato solo ad un piccolo frammento del tutto, anche l’uomo si forma soltanto come un frammento…Anzichè imprimere l’umanità nella sua natura, egli diventa nudo simbolo del suo lavoro, della sua scienza” (Sull’educazione estetica dell’uomo).


 

L’analisi scientifica dell’industria capitalistica ha cento volte confermato ciò che Schiller aveva preannunciato, portando ad osservare che:
 
“L’economia politica nasconde l’estraniazione insita nell’essenza stessa del lavoro per il fatto che non considera il rapporto immediato esistente tra l’operaio (il lavoro) e la produzione. Certamente, il lavoro produce per i ricchi cose meravigliose; ma per gli operai produce soltanto privazioni. Produce palazzi, ma per l’operaio spelonche. Produce bellezza, ma per l’operaio deformità. Sostituisce il lavoro con macchine, ma ricaccia una parte degli operai in un lavoro barbarico e trasforma l’altra parte in macchina. Produce cose dello spirito, ma per l’operaio idiotaggine e cretinismo.” (Marx, manoscritti economico-filosofici) 

 

Considerazioni stimolate dalla ricostruzione storica fatta da padre Pirola.
 
La storia non si rompe in base alla numerologia dei “secoli” che è una semplice convenzione di comodo. Il pensiero breve e la vista breve del tempo breve e dello sguardo corto ha prevalso nella filosofia politica dell’ultimo ventennio sociologisticamente e politologicamente riducendo il tutto al presentismo, incapace di valutare in modo diacronico e non solo sincronico i processi in atto. Una dittatura del presente espressiva dell’egemonia culturale dell’empirismo anglosassone, che ha portato ad espellere e a distruggere il senso degli avvenimenti ed ogni narrazione, in nome di un postmodernismo che altro non è che una versione “ecologista” della fine della storia. In questo presente reso orfano del passato e privo di ogni futuro, il Mondo è breve, la memoria è inutile ed è IL VECCHIO CHE TORNA. AVENDO DIMENTICATO E MANIPOLATO LA STORIA con lo scopo ideologico di fermarla al 1989, si è persino manipolato in “Il secolo breve” l’originario titolo del libro di Hobsbawm, che invece è “Il Secolo degli estremi” (Age Of Extremes). Ma la continuità della storia non può essere spezzata e come i fatti vanno dimostrando ogni giorno, il XXI Secolo continua la storia del XX Secolo che nei fatti, semmai, dimostra di essere “Il Secolo lungo”.

 

Pensando alla “questione sociale” abbandonata dalla proto-sinistra, protoplasma o protozoo e al Concilio Vaticano II che condannò l’Occidentalismo, non si può non temere il fatto che proprio nel passaggio dal XX al XXI l’Occidentalismo è tornato in auge, applicando con  in una sorta di Dottrina Monroe estesa al mondo intero, che l’Occidentalismo e quindi anche l’Europa, considera il proprio cortile di casa come con tale Dottrina gli Stati Uniti consideravano e considerano il Sud-Amercia il proprio cortile di casa. Sì che anche sotto tale profilo il XX secolo si conferma essere e “IL SECOLO LUNGO” del 900. Che nella continuità della storia, mutatis mutandis raddoppia e ricomincia anche e persino dai Signori della guerra del XX a quelli del XXI secolo, dalla guerra coloniale di Libia del 1911 a quella del 2011… Guerra e guerre diffuse e permanenti con cui e ben al di là dei propri confini, le potenze coloniali (cosidette “neo”) esplicitano in modo solo più eclatante i contenuti di un dominio che è intrinsecamente espressivo di un imperialismo sia politico che economico, disvelando le ambiguità di chi ha teorizzato come “novità” e come “nuovo” sia il capitalismo (come se potesse essere alternativo a se stesso) sia la “globalizzazione” volta ad imporre anzitutto l’oppressione di un potere di classe in tutti i Paesi del globo terrestre.

  

Il secolo lungo continua anche in tanti altri modi e campi. 
Ad esempio: SIA con LA LUNGA CRISI economica e capitalistica di sovrapproduzione degli anni ’60, con le sue acutizzazioni del 73, dell’86, del 91, del 2007, del 2011 e la prossima del 2012, di cui la guerra che è il vero volano del sistema di accumulazione capitalista, è stata l’unica soluzione per la crisi del ’29 (le politiche economiche degli anni Trenta non l’avevano affatto risolta, anzi…). Che le verticali del potere e del complesso militare-industriale, pensano che nonostante le guerre diffuse e permanenti nel mondo, si possa uscirne solo con una TERZA grande guerra, possibilità che in ogni caso mantengono aperta, preparandola e incrementando l’imperialismo politico-economico-finanziario e le diffuse guerre coloniali in Africa, di cui la Libia è UNA GRANDE PORTA. 
SIA con il “modernismo reazionario” (anche di guerra) che col nazi-fascismo come con l’Occidentalismo attuale, che considera la tecnica e la superiorità tecnica (anche di guerra), come parametro per definire la superiorità o meno della civiltà, la superiorità della propria civiltà, a cui spesso l’occidente è ricorso e che è stata all’origine dei tanti genocidi: da quelli degli indiani d’America a quelli degli ebrei ed oppositori del nazismo, ma anche e soprattutto dello “sterminio occidentale dei popoli non adatti alla produzione capitalistica”, come all’inizio del ‘900 diceva il liberale inglese Hobson, ripreso per vari aspetti anche da Rosa Luxembrug e da Lenin nel definire la sua teoria dell’imperialismo.

 

La tecnica a cui si è convertita anche Israele che affama e rinchiude, come in grande campo di concentramento l’intera Gaza, e dalle torrette ogni giorno spara e uccide i contadini che tentano di lavorare nei campi e dalle navi spara sui pescherecci e uccide i palestinesi che pescano per sopravvivere.
 

 

«E venne il giorno in cui comparve il bianco/ Fu più astuto e cattivo di ogni morte, /barattò il tuo oro/ con uno specchietto, una collana, ninnoli,/ e corruppe con l’alcool i figli dei fratelli tuoi/ e cacciò in prigione i tuoi bimbi./ Allora tuonò il tam-tam per i villaggi/ e gli uomini seppero che salpava/ una nave straniera per lidi lontani/ là dove il cotone è un dio, e il dollaro è imperatore». Patrice Lumumba, poeta, politico e primo premier della neonata Repubblica democratica del Congo, assassinato nel 1960 dai colonialisti delle “democrazie” Occidentaliste e colonialiste d’Europa; l’ONU era presente e come oggi si sa (ma noi anche allora), la CIA della cosiddetta “grande democrazia americana”, aiutò gli assassini come fece (e continua a fare) nei Paesi di tutti i Continenti.


 

Lo sconvolgimento dell’ordine sociale a cui si riferisce Pirola, è l’epoca della tecnica e dell’industria, dell’egoismo e dei traffici, del capitale e del proletariato e delle plebi ridotte in miseria, come ancora nell’oggi in cui la Manchester e il manchesterismo di quando – come ha ricordato il Papa nella Spe SalviEngels descriveva le spaventevoli condizioni di miseria e sfruttamento del proletariato, è stata estesa a tutto il Mondo, assieme alle condizioni di miseria sub-umana in cui versa il 98 % della popolazione mondiale, dalle varie Dacca del Sud alle numerose Rosarno e Pomigliano del Nord del Pianeta.

 

Come nell’epoca che divenne quella della protesta romantica contro un mondo borghese teso esclusivamene alla ricerca dell’utile tornaconto, in cui come già bene descriveva Balzac, c’era già tutto quello che oggi viene mistificato come “nuovo” e “diverso” – compresa la finanziarizzazione, i banchieri, la speculazione, le assicurazioni e “i capitalismo anonimi” per dirla con Ratzingher, le società anonime per azioni. Si legga perlomeno Balzac, socialmente borghese, politicamente codino, ma artista vero che non rifugge dal “principio di realtà”, principale principio euristico dell’arte, che gli permette di analizzare dall’interno del suo essere borghese e della sua attività tassonomica la natura e la realtà sia della sua classe che il mondo del capitale e della finanza da cui risulta che, nell’800, è già la stessa di oggi e che il “male profondo“, deriva “dal fatto che IN QUESTA SOCIETA’ TUTTO E’ DOMINATO DAL CAPITALE, CHE NON E’ ALTRO CHE EGOISMO MATERIALIZZATO”, come fa dire a Horace Bianchon in “La cugina Bette”.

 

Ci dicano coloro – lo chiedo senza fare i loro nomi solo per carità – che nell’ultimo ventennio hanno additato a tutti noi che “la società è cambiata”  e non più “tutto è dominato dal capitale” come diagnostica (e poi conferma il metodo anatomico-fisiologico dell’economia politica di Marx) il grande fisiologo-anatomico Balzac, che pur borghese e codino conosceva il metodo rivelatore del materialismo storico:
“Uno scassinatore si manda all’ergastolo – fa dire a Vautrin nelle ‘Illusioni perdute’ – mentre un uomo che con una bancarotta rovina intere famiglie, se la cava con qualche mese”…perché “il ladro viola la barriera tra ricco e povero…mentre il bancarottiere causa al massimo uno spostamento della richezza”.

 

DOVE’ LA SOCIETA’ E’ CAMBIATA? rispetto a quella affrescata indelebilmente da Balzac nella “Comédie humaine“, dove IL DENARO come e ancor più oggi,  è il liquido vitale, il sangue, il flogisto che funziona non soltanto come PRINCIPIO DI ANIMAZIONE ma come PRINCIPIO DI IDENTIFICAZIONE, come e ancor più oggi: è in presenza del denaro che qualcuno diventa soggetto, mentre altri, senza di esso, diventano oggetto, merce, espressione sub-umana della disumanizzazione dell’uomo per opera di una divisione capitalistica del lavoro e società che catalizza intorno ad un polo della società la ricchezza e intorno all’altro la miseria  materiale e spiriturale del 98% della popolazione mondiale. Popolazione che viene privata dei diritti umani da coloro che poi affermano di volerli difendere e portarli messianicamente nel Mondo, con le cannoniere volanti delle guerre umanitarie che con la loro violenza liberano i propri poteri aggressivi e repressivi dal sottostare al diritto come nell’epoca premoderna, altresì dicendo di voler così liberare e difendere popolazioni che loro per primi opprimono, che sono oppresse dalle forme di dominio economico e politico di coloro che poi, ricorrendo a neologismi irrealistici come guerra e ingerenza miliare umanitaria, bombardano i territori con bombe costruite con le scorie radioatattive delle centrali nucleari (cos’ smaltiscono le scorie), non solo di uranio impoverito, impestando dal ‘94 ad oggi i territori dell’Irak, dei Balcani, dell’Afghanistan e della Libia (per dire solo di quellli che si sa).

 

Hegel parte dallo stato e fa dell’uomo lo Stato soggettivo, la democrazia parte dall’uomo e fa dello stato l’uomo oggettivo… l’uomo non per la legge ma la legge per l’uomo, qui c’è un’esistenza umana mentre lì l’uomo è esistenza normativa”  (Marx, Critica del diritto dello stato in Hegel).

 

Riprendendo il testo di Pirola, dopo aver rilevato che con la Bicamerale D’Alema si “suscitò una polemica tra cattolici degli opposti schieramenti che contribuì ancor di più a favorire equivoci interpretativi del principio di sussidiarietà” e dopo la frase sopra citata sul vizio del liberalismo, Pirola osserva:    
”In conclusione tre sono le tappe fondamentali connesse con le situazioni storiche e il loro mutare. Al tempo dei regimi non democratici e interventisti nel campo economico-sociale, la dottrina sociale della Chiesa insiste sul principio di sussidiarietà sopratutto per delimitare la funzione dello Stato” (non democratico, n.d.r.).

 

La seconda fase è aperta da Giovanni XXIII. 
Con lo stabilirsi e diffondersi dei regimi democratici, si ha una sostituzione fondamentale della nozione di individuo …. L’insistenza passa dalla delimitazione della funzione dello Stato come funzione suppletiva, all’insistenza sulla necessità di una coordinazione tra la sfera sociale e quella dello Stato, in forza di effetti negativi – gli squilibri, resi celebri dalla Populorum Progressio di Paolo VI – prodotti dallo sviluppo economico da parte dell’iniziativa privata, anziché personale, ispirata dunque a principi che non sono quelli della dottrina sociale della Chiesa… per cui è necessario che la libera iniziativa si integri con l’istanza del bene comune di cui è titolare lo Stato. Si estende l’area di applicazione del principio a nuovi problemi, la socializzazione, il diritto della persona singola e associata, la società mondiale”.

 

Infine la terza fase dopo la “caduta del comunismo”, e cioè la critica e del liberalismo e dello Stato assistenziale…con l’introduzione del principio di solidarietà” (quasi un correttivo di quello della sussidiarietà non più considerato isolatamente da quello di solidarietà)”. Ma “la dottrina sociale della Chiesa non è una dottrina dogamatica…ne è una ‘terza via’ di un movimento e tanto meno partito…è solo un contributo ispirato alla morale e al Vangelo”. Altresì facendo attenzione che essa – dice Pirola – sul principio di sussidiarietà… non affronta il problema di una sua formulazione giuridica…rilevante e di non facile soluzione, anche dal punto di vista del reperimento e allocazione prioritaria delle risorse”. Non è e non deve essere “antistatalismo”. La “peculiarità del principio sta proprio nell’intervento di promozione e di coordinamento  dello Stato a favore della crescita di una cultura…capace di superare i presupposti dello statalismo (come anche vuole la Costituzione che supera lo statalismo fondando la Repubblica sulle autonomie – sociali, istituzionali, religiose – e non sullo Stato-governo)  senza esaurirsi nella formula liberista” (qui Pirola, come in altri passaggi, cita F. Occhetta, di Civiltà cattolica).

 

Pirola procede ad una ricostruzione storica, come sempre si deve fare e ben lungi quindi dal dare retta alle sirene di tanti e quanti hanno invitato con superficialità ad appiattirsi sulla “società cambiata” – e che oggi si dimostra falsa come non mai – e a “rompere” con la storia.
Rottura con la storia e con la teoria critica della storia, dell’economia e del diritto dello stato capitalista a cui hanno invitato tra gli altri della protozoo-sinistra,  vendoliani e persino gli ultimi due segretari generali della Fiom-Cgil , Rinaldini e Landini, che per quello che dicono e fanno nel bene e nel male sono ben piu importanti di un qualsiasi intellettuale.

 

In questo caso nel male e in modo ben piu grave di un qualsiasi intellettuale, hanno con Rinaldini occultato la realtà dietro i fantasmi ideologici del liberismo tra cui quelli della “fine dello stato” e addirittura della “fine della storia”, come con Landini che ha recentemente ammesso di non aver mai neanche solo letto Marx e la teoria critica della storia, dell’economia e del diritto dello stato: come del resto ben avevamo ben dedotto criticandolo per aver parificato nelle vicende Fiat (proprio come i “craxiani” Cofferati ed Epifani) i lavoratori ad un qualsiasi cittadino (come il sindacato dei cittadini della UIL dai tempi di Benvenuto) anziché rivendicare la lotta per il potere sociale dei lavoratori anche sul Piano d’impresa e i diritti sociali – che sono tali solo se vengono sostenuti da un potere sociale – parificando così le condizioni dei rapporti interni all’organizzazione della produzione nella fabbrica capitalistica che vive il lavoratore a quelle neanche lontanamente paragonabili con quelle che si vivono nella “società civile”.

 

In tal modo si assimila il lavoratore ad una semplice “persona” e quindi anche alla “persona” quale è anche il padrone d’impresa: assimilazione che è alla base della subalternità collaborazionista della cogestione o coodeterminazione messa in atto dall’anti berlinguerismo e filo craxismo del Pds e della CGIL, e rivelatasi sul piano sociale ancor piu catastrofica per i lavoratori di quanto lo sia stata l’abiura della  ex-sinistra non più antifascista ma “di sistema”.


 

Gia dall’inizio del discorso di Pirola, ci porta a ricordare quanto abbiamo sopra citato dalla Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico – pubblicato solo nel 1927,  così come la maggior parte dei testi di Marx saranno pubblicati dopo la Rivoluzione d’Ottobre e ancora negli anni 1950 – in cui Marx rileva che Hegel non subordina la realtà all’Idea ma, al contrario, conserva la presente realtà tedesca, fingendo di trascenderla, e spaccia lo Stato prussiano come Idea di Stato. Per cui una vera teoria della società è dunque possibile, solo mettendo da parte ogni idea di società in generale, analizzando invece la società materialmente determinata.

 

Decisivo per Marx non è il puramente “generale”, cioè un qualsiasi sistema fine a se stesso, ma è l’uomo concreto, reale, individuale. Per configurarsi come individuo libero, l’uomo ha bisogno della comunità, mentre “nei surrogati sinora avuti della comunità, dello Stato, eccetera, la libertà personale esisteva solo per gli individui che si erano sviluppati nei rapporti della classe dominante e solo in quanto individui di questa classe“. Coloro che si atteggiano da indipendenti, sono in realtà condizionati dall’intero sviluppo sociale, dalla lingua, le tradizioni, l’educazione, eccetera, ma anche dall’appartenenza ad una classe, ad un ceto, ad una professione. Vero è che gli individui sono in rapporto tra loro anche come persone, ma ciò che è preminente è il loro rapporto come “maschere sociali”, non dunque in quanto individui con le loro peculiarità, ma in quanto individui standardizzati, “uomini mediocri”.

 

Quell’epoca divenne quella della protesta romantica contro un mondo borghese. Alcuni videro la salvezza nel passato, e altri si rivolsero al futuro sognando la resurrezione dell’uomo totale, integrale, in un regno di libertà, di pienezza e di umanità negato ancora oggi, dopo 200 anni, dal capitalismo.
Ma l’anelito dell’unità dell’uomo con se stesso, con i suoi simili e con la natura alienata – come per molti oggi – era già allora comune a tutti coloro che sentivano e pensavano l’umano. Tra questi, con l’analisi scientifica dell’epoca della tecnica e dell’egoismo, Marx ha dato voce al grido di una umanità sofferente, di cui la religione è “la protesta contro la vera miseria” dell’uomo: “La religione è il gemito della creatura oppressa, l’anima di un mondo senza cuore, di un mondo che è lo spirito di situazioni senza spirito” (Marx).

 

Questo è il passo di Marx che si omette, che viene silenziosamente trascurato e che precede il passo in cui dice è “l’oppio dei popoli” che con tale omissione viene rovesciato nel suo significato, facendo credere che la religione è l’oppio PER il popolo (qualcosa, cioè, con cui il popolo viene narcotizzato dall’esterno) mentre invece è il grido di dolore dell’uomo e testimonia di una umanità resa sofferente. Donde che pochi sanno che Marx condanna “L’ateismo come negazione di questa mancanza di essenza della natura e dell’uomo (che la religione invece riconosce e testimonia, n.d.r.) non ha alcun senso, poiché l’ateismo è una negazione di Dio e pone con questa negazione l’esistenza dell’uomo“, che in tal modo l’ateismo nega.

 

Le rivoluzioni politiche in America e in Francia avevano proclamato il diritto umano alla libertà, la libera personalità. Per cui allora come oggi la contraddizione tra la realtà e la Proclamazione venne e viene sentita dolorosamente non meno colpevole di quella che è stata dolorosamente sentita come la contraddizione tra la Proclamazione del socialismo e il successivo venir meno della socializzazione nelle fabbriche, nella società e nello stato.

 

Vero è che nella società borghese l’uomo è diventato un individuo, ma questo individuo, isolato e in concorrenza con tutti, non si è integrato e non si integra in una comunità.

 

Sicché, il diritto umano alla libertà, scrive Marx, “non si basa sui legami dell’uomo con l’uomo ma piuttosto sulla distinzione tra uomo ed uomo“. E come parlando alla ex-sinistra antifascista, oggi proto-sinistra, protoplasma o protozoo che non parla più di diritti e poteri sociali ma solo di diritti umani individuali (proprio come avveniva agli inizi agli albori dello stato liberale e del “vizio morale del liberalismo, il vizio dell’individualismo in campo economico” di cui parla Pirola) come anche gli ultimi due segretari nazionali della Fiom Cgil – qui di prima e durante la vicenda Fiat vissuta come difesa dei diritti umani individuali dei lavoratori (proprio come sostenuto dai “craxiani” Cofferati ed Epifani), Marx rileva in tal modo che “nessuno dei cosidetti diritti dell’uomo va dunque al di là dell’egoismo umano , al di la dell’uomo com’è in quanto membro della società borghese, cioè ritiritato su se stesso, sui propri interesssi e sul proprio arbitrio privato, in quanto individuo distinto dall’essenza comunitaria“. Ecco dunque che tra gli Occidentalisti sostenitori dei diritti dell’uomo da far valere nel mondo messianicamente ed anche con la violenza e la guerra, troviamo gli stessi che egoisticamente negano i diritti umani due volte a coloro che depredando i loro Paesi prima gli negano il primo diritto umano alla vita e li costringono ad emigrare e poi glieli negano come migranti respinti, comunque considerati non come uomini al massimo utili come strumenti di produzione e per fare del dumping sociale usandoli come animali da soma da sfruttare nei lavori piu umili e sottopagati, mercificati e ricattabili dagli uomini di potere .

 

Riassumendo, in sintesi, si conferma che la storia non può essere fatta a “pezzi” come si usa fare con i quarti di bue.

 

Nel passaggio dal XX al XXI secolo, la filosofia politica e la cultura dei tellettual-in ha perso la bussola e la capacità quindi di prevenire politicamente gli accadimenti, cancellando la memoria e manipolando la storia. Di recente in TV per i 150 anni, rievocando la vicenda del referendum Repubblica monarchia, al termine sono stati presentati come i protagonisti e vincitori dei quel Referendum, nell’ordine: De Gasperi, Sforza, Nenni, Emanuele Orlando. Si scopron le tombe si alzano morti, De Gasperi, Sforza, Nenni, Emanuele Orlando e i martiri nostri sono tutti risorti, meno uno: Togliatti che fu il primo a dire, sbarcando a Salerno: “risolveremo la questione portando la Monarchia di fronte al popolo e dicendogli: popolo decidi tu cosa farne”, in tal modo risolse la questione del governo Badoglio che rischiava di impedire di continuare a lottare con tutte le forze disponibili per la Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo.

 

Sicché ormai si altera quello che la “proto-sinistra”, vanamente protesa in una strategia di anticomunismo “democratico”, voleva cancellare: il 900, così intriso anche di lotte per la democrazia, l’eguaglianza e l’emancipazione solidale delle classi e dei popoli oppressi da forme di dominio intrinsecamente espressive dell’oppressione di un potere di classe, di cui le guerre (coloniali o neo-coloniali) e costituendo, sostenendo o abbattendo e sostituendo le dittature di classe delle classi dirigenti dei Paesi c.d. ex-coloniali, sono volte a mantenere i vincoli politici ed economici dell’imperialismo di cui sono vittime tutti i popoli e i Paesi della Terra: ad opera delle classi dirigenti di quei Paesi che con ideologico Occidentalismo li depredano di ogni loro ricchezza e li condannano alla morte per indigenza e per fame (11 milioni di bambini morti così, solo lo scorso anno!!!), che imperano dividendoli e coinvolgendoli in guerre per procura, praticamente in ogni Paese dell’Africa, ecc.; dietro le quali ci sono sempre potenze coloniali, che li affamano e poi pretendono pure di non essere investite da una inevitabile e progressivamente sempre maggiore e travolgente massa di proletariati e plebi costretti a emigrare, affamate di un mondo dominato dal sistema economico dei rapporti di produzione e di accumulazione capitalistica, che la protoplasmatica “sinistra” senza teoria né storia né memoria, non solo non la pone al centro della lotta politica (come oggettivamente dovrebbe) ma neanche la considera e tanto meno la sa analizzare.

 

Scherzi della memoria e dell’inintelligenza o incultura.
 
Chi si ricorda, ad es. del primo grande dirigente e intellettuale di un Grande Paese della Costa d’Avorio, di Kwame Nkrumah figura di spicco nella storia della decolonizzazione e del panafricanismo, il primo leader dell’Africa nera a far ottenere al suo paese l’autogoverno, ancora molto popolare tra i suoi connazionali e tra gli africani in genere per il suo impegno a favore di un’unione politica tra gli stati africani e la sua denuncia del neocolonialismo, che per questo fu attaccato e golpizzato dalle grandi “democrazie” degli Stati Uniti e dei Paesi colonialisti europei, in nome della “democrazia” imperialista e Occidentalista.

 

 

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Per una cultura della solidarietà

di Giuseppe Pirola

Comincio dal liberare da equivoci correnti il significato della nozione di solidarietà presente nei documenti dell’attuale pontefice pertinenti alla cosiddetta dottrina sociale della Chiesa. Il principio di solidarietà non va confuso con quello di sussidiarietà che distribuisce competenze, ruoli e funzioni  tra formazioni sociali e poteri costituiti ad es.non faccia il governo quello che organizzazioni sociali possono fare da se; che può facilmente essere scambiato con un laissez faire o la divisione degli ambiti del sistema liberale ( economico, sociale, politico). Il principio di sussidiarietà regola rapporti verticali, rivendicando contro il potere di invasione del vertice la capacità e il diritto della base sociale di autogestire determinati ambiti e problemi relativi alla convvenza sociale; il principio di solidarietà regola rapporti orizzontali interni alla società.  E’ un principio quindi che ha per oggetto la convivenza entro la società e ne regola la  convivenza. Leggiamo nell’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II:

“..svolgono funzioni primarie eattivano specifiche reti di solidarietà anche altre società intermedie. Queste, infatti, maturano come reali comunità di persone e innervano il tessuto sociale, impedendo che scada nell’anonimato e in un’impersoanlae massificazione purtroppo frequente nella moderna società. E’ nel molteplice intersecarsi dei rapporti che vive la persona e cresce la ‘soggettività della società’. L’individuo oggi è spesso soffocato tra i due poli dello stato e del  mercato. Sembra infatti talvolta che egli esista soltanto come produttore e consumatore di merci, oppure come oggetto della’amministrazione dello stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli uomini non è finalizzata né al mercato né allo stato, poiché possiede in sé un singolare valore che stato e mercato devono servire. (n.49)”

Il principio di solidarietà viene pensato e enunciato a partire dal negativo, cioè l’individualismo, l’affermazione dell’individuo separato da altri individui e che incontra gli altri per scelta, per contratto o per consenso che stipula liberamente con l’altro. Una barzelletta può spiegare la differenza tra le due concezioni della società; gli altri non sono nostri amici ma nostri fratelli; perchè gli amici uno li sceglie, i fratelli invece uno se li trova in casa  e ha da decidere non se avere rapporti con loro ma come gestire il rapporto con loro. L’individuo non è il centro di un cerchio chiuso dalla circonferenza o da ben altro, che è la tipica concezione liberale che per prevenire o rimediare conflitti tra individui separati deve far nascere la categoria giuridica universale del cittadino, dopo che è nato l’uomo; l’individuo invece è il punto di origine di una relazione a tutti gli altri, con un’estensione che arriva fin dove c’è un altro uomo e che ricade sull’individuo stesso; la relazione all’altro è costitutiva di ciascuno ed è da gestire da ciascuno perché nella convivenza di tutti  ne va della vita e libertà di ciascuno e nella vita e libertà di ciascuno ne va della vita di tutti. Il rapporto sociale precede qualunque forma di contratto e nel rapporto, che è tra uomini, vi è qualcosa di non contrattabile e non eleggibile a piacere. Ed è libero nel senso che deve essere liberamente gestito da ciascuno e da tutti. In sintesi, questa è la nozione di persona che sta alla base dell’enciclica.   Dall’individualismo seguono poi altri altri aspetti negativi: l’anonimato dei rapporti sociali, la massificazione dei rapporti sociali.

In secondo luogo i documenti della dottrina sociale si chiedono: Perché esistono questi fatti negativi della solidarietà? Anziché un’analisi rigorosa della situazione negativa, vi è un’indicazione precisa, che è la seguente: “ L’individuo è oggi spesso soffocato tra i due poli dello Stato e del mercato”.

Essa contiene la denuncia di un fatto,  un fatto che oggi accade realmente e con una elevata e indeterminata frequenza ( “spesso oggi”), un fatto che impedisce se non toglie (“soffoca”) la libertà dell’individuo di gestire con altri il proprio rapporto sociale, imputato a istituzioni chiaramente nominate, lo Stato e il mercato. Si suol dire che il documento punta il dito sul negativo, su chi e in che cosa ci va di mezzo e chi lo provoca. Ma la tesi che sostiene è chiara: l’individuo non è un oggetto di amministrazione dello Stato o del mercato, perché l’individuo non è finalizzato allo Stato

 

e al mercato, tanto meno è strumentalizzabile per fini propri dello Stato e del mercato, perché e portatore di un valore singolare, non contrattabile né assoggettabile a stato e mercato, la propria libertà entro la società che non può svilupparsi senza sviluppare la libertà all’interno della società stessa. Questo è il principio di solidarietà sulla cui base il documento presenta non una teoria ma un intervento su una situazione di fatto che denuncia e di cui offre una chiave risolutiva, un processo storico da stimolare, il processo di sviluppo della soggettività sociale. Per uscire dalla situazione denunciata e realizzare la solidarietà, bisogna mettere in moto il processo di soggettivazione, sviluppare cioè l’esercizio della solidarietà sviluppando la capacità del soggetto di liberarsi da poteri che amministrano a scopi propri il rapporto sociale e di assumersi, come soggetto associato,  la direzione in proprio del processo di gestione del rapporto sociale in cui è inserito.

                                                          

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E veniamo al problema proposto: un’altra Milano. Milano è altamente coinvolta nel problema, che è  oggi un problema a dimensione mondiale, il problema della compresenza sullo stesso territorio di popolazioni di cultura o stili di vita molteplici e differenti, il problema del multiculturalismo. Si potrebbe aggiungere che Milano è per un lato un punto dove il problema a dimensione mondiale è sensibile e dall’altro è sufficientemente grande per dire che è anche un punto dove è possibile sperimentare la messa in moto del processo di soggettività sociale in vista della solidarietà.

Popoli e culture differenti convivono qui, nello stesso territorio, e qui vivono le loro differenze. Secondo K.Eder[1], le differenze culturali dividono, anzi esercitano una funzione polemogena , scatenano conflitti, sempre più evidenti e di cui ormai è evidente anche la ragione. Se vieni qui, devi accettare le nostre regole di vita e non puoi qui seguire le tue; e giudichiamo noi quali sì e quali no. Misure legali, decise a maggioranza dal parlamento secondo regole procedurali formalmente ineccepibili, sono viziate in partenza, quello di far leva sulla categoria giuridica del e non di un uomo che non è cittadino italiano, e non necessariamente vuole diventarlo a tutti i costi richiestigli.  Che la categoria giuridica di cittadinanza, come quella di Stato-nazione in un mondo della globalizzazione del mercato, e in assenza di un potere politico sovrano sovranazionale e mondiale, che sia legittimo e legale e non meramente fattuale, sia ormai inetta a formulare, affrontare e tanto meno risolvere il problema, è evidente anche ai ciechi. Non dico che la categoria giuridica di cittadinanza o di Stato-nazione sia qualcosa di sbagliato, dico solo che, comunque sia,  oggi è superata; è un meccanismo giuridico obsoleto, che non serve più di fronte al nuovo problema delle migrazioni o esodi planetari che producono convivenze multiculturali conflittuali.  E se si pensa che questo problema è provocato dalla globalizzazione del mercato, viene addirittura da sorridere a sentire certe proposte di soluzione che provengono da quella stessa parte. Non credo siano proposte fatte seriamente o almeno non sono accettabili come proposte serie.  

Come si formula il problema della messa in moto del processo di soggettività sociale alla luce della solidarietà? Di fronte alla obsolescenza ( un concetto..milanese!) delle categorie giuridiche del cittadino e dello Stato-nazione dell’era liberale e borghese che hanno fatto il loro tempo, proprio a causa del fenomeno liberal-borghese della globalizzazione del mercato, e in chiara assenza di un potere poltico sovrano legittimo e legale, l’idea di soggettivazione della direzione del processo di solidarietà permetet di leggere positivamente l’esistenza e lo sviluppo dei movimenti sociali di base; critiche di errori passati sono possibili, ma solo nel senso di migliorare e intensificare quel processo che va nella direzione oggi valida rispetto al problema.

Ma più rilevante è la questione del progetto politico che il fenomeno nuovo esige per la sua soluzione. Pensando a rovescio rispetto a quanto pensa ( si fa per dire!) oggi è la cultura dominante dico: il problema non è come integrare extracomunitari in Italia; questo problema l’abbiamo già elegantemente risolto con ..gli extracomunitari svizzeri. Il problema è al contrario: che cosa impedisce a Milano, all’Italia , al mondo intero di diventare la casa comune di tutti gli uomini? Questo è il problema e il punto cui applicare l’indagine.

Vediamo la soluzione proposta da A.Touraine: “A.Touraine ha formulato una risposta in questa direzione con la proposta di abbandonare il concetto di società e sostituirlo con il concetto di sistemi di azione storici. I motivi per farlo sono: l’importanza crescente di movimenti sociali, la crescente perdita di funzione di confine nazionale di società e l’obsolescenza storica della società borghese come della forma di organizzazione sociale.Il problema generale che sta dietro questa proposta è se una società è da pensare come un ordine sociale o come contesto interattivo dinamico o meglio: se dissenso, contrasto,  possano diventare principio organizzativo della produzione e riproduzione sociale. Si tratta di riflettere mutando un’antica formulazione di Schelsky (1965), se una comunicazione permanente nella società sia istituzionalizzabile. Si tratta dell’idea della società come sistema di azione che si stabilizza mediante comunicazione”[2].

La convivenza civile è pensabile e da pensare sempre come un ordine sociale da istituire contro il pericolo del caos o come  un sistema di azione che ha il suo principio organizzativo nel dissenso e contrasto e cper questa via stabilizza la comunicazione entro la società stessa? Poniamoci almeno questa domanda. Bisogna però avvertire che non si deve più confondere esercizio del conflitto e caos; pensare che il conflitto vada al più presto composto e risolto per contrattazione anche del non contrattabile ed eliminato; e pensare invece che i conflitti sono da vivere e sono fecondi di libertà. Non è già avvenuto così in passato? Ovviamente non sto parlando di conflitti armati, io non sono pacifista cioè a favore della pace,  sono contro la guerra. Due poli soffocano l’individuo associato, lo Stato e il mercato; due scogli da evitare nella soluzione, l’ordine istituzionale contro il caos e la eliminazione dei conflitti. Perché non proporre Milano per l’esperimento?       

 




[1] Klaus Eder, Il paradosso della cultura. Oltre una teoria della cultura come fattore consensualke, “Fenomenologia e Società”,  XV, (1992), 2,17-39

[2] Ib. a.c. 39. Eder cita da un manoscritto inedito di A.Touraine del 1990 dal titolo Two interpretations of Social Change.

Pirola, vizi del liberalismo, solidarietà; e “Il secolo lungo” del 900 — Per una cultura della solidarietàultima modifica: 2011-05-25T02:32:00+02:00da iskra2010
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