Da Togliatti a Casarini-Rinaldini

 

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di Angelo Ruggeri

Da “quella fine agosto del 1964 che sconvolse l’Italia” a questa fine d’agosto che sconvolge per le flatulenze espresse – sul Manifesto del 30 agosto – dalla coppia Casarini-Rinaldini(con contorno di Gianni Ferrarae di Amato-Rossanda) che si lamentano perché il capitalismo agisce da capitalismo, e quindi, loro, da bravi “miglioristi” propongono un “capitalismo migliore”, più “buono”, che ovviamente anche i “buoni” capitalisti desiderano, diversamente dai capitalisti “cattivi”.
Non si accorgono che animatrice del rilancio dei processi di trasformazione che superino l’attuale subalternità al mercato che espropria la sovranità popolare con l’artificio della sovranità dei consumatori non può essere che la razionalità di un’analisi del processo storico in atto proprio a partire dal ‘900recuperando una volontà idonea a superare l’antinomia tra conservazione e utopia, coscienti che dalla connessione tra “valori” e “fini” è possibile dare sbocco ad un tipo di organizzazione sociale e politica nel segno di una civiltà che sfugga agli imperativi di un americanismo che sta risucchiando ogni ordinamento attivando rivoluzioni-restaurazioni (le “rivoluzioni passive gramsciane), poiché l’innovazione implica una connessione consapevole col passato che non può essere svalutato aprioristicamente, fuori dal processo dialettico.
Ieri abbiamo mandato un articolo che a proposito di Eric Hobsbawm Come cambiare il mondo. Perché scoprire l’eredità del marxismo, lo definiva…un testo in grado di “diradare le nebbie del Ventesimo secolo” attraverso, appunto, la storia. 

Oggi l’articolarsi stesso del linguaggio di tali articoli sul Manifesto, non riesce ad evitare che la sclerosi delle parole (e dei loro concetti), si chiuda sopra di loro come una bara, riproponendo una versione della satura e fallita tesi claustrofobica della “fine della storia”, quindi anche del pensiero, della democrazia e della libertà che viceversa sono il risultato di un processo storico.

 Al di la dei limiti del senso del linguaggio, per evitare che la sclerosi delle parole si chiuda su di noi, occorre riconoscere che nelle parole, il nostro stesso senso si forma ma tende a disgregarsi e disperdersi fino a che non resta più nulla ma soltanto una desolata solitudine e la disincantata consapevolezza che nell’oblio della storia, la difficoltà di essere e vivere il presente non cessa mai di angustiare, soprattutto quando l’odierna politica che fa e disfà partiti, gruppi e movimenti senza radici storiche e teoriche, che critica il passato e rende farsa il presente, non sa contemplare la grandezza della storia e di quanti furono per anni i suoi interpreti (come Togliatti in questo anniversario della morte) e parte della vita e dell’anima (smarrita) del Paese, nonché delle motivazioni ideali e programmatiche che sono state sia all’origine della storia dei partiti (e della democrazia e della Repubblica) sia allo svolgersi della loro dialettica per rispondere ai problemi oggi aggravati della “questione sociale”.

 L’Occhio di Spartaco (di Angelo Ruggeri)
Mentre stavamo scrivendo per ricordare “quella fine agosto che sconvolse l’Italia” e quegli incredibili funerali di Togliatti (senza precedenti nella storia), di un uomo che fu giudicato e omaggiato come “grande” dal giudizio spontaneo della grandi masse e di cui non si parla mai ai giovani, in questa fine d’agosto ci siamo imbattuti in interventi su il Manifesto che sconvolgono solo perché su un giornale sotto titolato “comunista”, si trova una Rossanda che intervistando Amato (il braccio e la mente di Craxi) mostra di aver scordato che quella del ‘92 non fu solo una manovra ma l’avvio di un golpe tecnico continuato; o in un Gianni Ferrara che ormai è come il prezzemolo e forse nemmeno degno di critica intellettuale; o nelle cianfrusaglie di – udite udite – un Luca Casarini (“è ignorante come una capra” diceva lo scrittore Dario Paccino) al quale si è assoldato Gianni Rinaldini. 

Insomma tutti quelli che si aggirano e scrivono sul Manifesto, gonfi solo di quella flatulenza che vendono come una “nuova cultura” a buon mercato, e che dopo tanti fallimenti perseverano nel tentare di far credere che possa nascere, così, con uno schiocco di dita, abrogando la storia e la teoria della storia, quindi senza vera cultura, in un mondo da cui viene espulsa qualsiasi narrazione distruggendo il senso degli avvenimenti. 

Invece dell’appiattimento sul vuoto pragmatismo per la gestione “realistica” del presente, Gramsci diede alla sua esperienza politico-pratica una dimensione storica e filosofica inusuale, con insegnamenti originali sui rapporti tra sistemi economici e ideologia, tra letteratura e istruzione, tra passato e presente (ecc.). E di Marx diceva: non inventa nulla, “non è un mistico né un metafisico positivista: è uno storico… Con lui la storia continua ad essere dominio delle idee e dello spirito che però si sustanziano… nell’attività pratica, nei sistemi e nei rapporti di produzione…” 

Che cosa è, se non è pragmatismo (o misticismo o metafisica positivista), quella di chi scrive tali articoli in cui si pensa ad una politica che è “politicante” se non si sustanzia nella storia…ne tanto meno nella socializzazione dei rapporti di produzione e di scambio e in una loro trasformazione socialista ? 

Forse, mancando di dare dimensione storico e filosofica alla pratica-politica, anche per questo Rinaldini e Casarini non si sono accorti che “la cancellazione di qualsiasi parvenza di sovranità popolare, nazionale, continentalenon è di oggi, ma è da ancora prima persino di Berlusconi, dai tempi in cui si è affermato la cultura di Maastricht, accettata dai governi di centrosinistra – ad incominciare da quello del ‘92 di Amato, che diede una “stangata” non solo economica ma alla democrazia, a proposito del quale il 17 luglio 1992 scrivevamo: 
in sudditanza alle pretese delle forze imprenditoriali, in nome del popolo italiano si smantella la sovranità popolare. Con i suoi decreti che esautorano il Parlamento si anticipa quello che si vuole fare con l’abolizione del sistema proporzionale (a cui Rinaldini neanche accenna, annotiamo ora) e con le c.d. “riforme istituzionali” (del tutto ignorate dal “duomvirato” Casarini-Rinaldini). Perché oggi – dicevamo già nel 92 – si cerca di coinvolgere i popoli non già dal punto di vista della partecipazione alle decisioni, ma per farne i principali protagonisti solo nel pagare i prezzi altissimi che il maggior poter delle imprese comporta. Ecco perché, da un lato, lavoratori e popolo sono “centrali” come “oggetti” della manovra economica, dall’altro si tende con le riforme istituzionali ad escluderli ancor più e ad eliminarli definitivamente dal ruolo di ‘soggetti’ di partecipazione titolari di poteri di decisione, che la Costituzione riconosce loro… siamo in una condizione in cui ormai è solo un gruppo ristretto di personaggi dell’alta finanza che, direttamente o indirettamente, prende le decisioni a carico delle masse e dei cittadini (“Un golpe strisciante”, settimanale Il Lavoratore, venerdi 17 Luglio 1992). 
Quasi vent’anni fa scrivevamo ciò di cui il duo Rinaldini-Casarini si accorge ora; anzi a babbo morto dicono che “è un processo in atto”, adesso, naturalmente per colpa del governo Berlusconi di cui   – facendo il parallelo con gli USA –  già nel Luglio 1991, scrivevamo che abolendo il proporzionale, in Italia “questo significa che conterebbero solo le persone che contano, come Raul Gardini, Berlusconi, ecc…”(Dall’abbattimento della proporzionale al rafforzamento dell’esecutivo, Edizioni il Lavoratore). 

A quale strategia di politica istituzionale, ovvero di democrazia, faceva riferimento Rinaldini quando era alla CdL-Cgil di Reggio e a quale fa riferimento oggi, visto che quando parla di “sovranità popolare” neanche accenna a tale strategia che manca del tutto a lui e alla Cgil e Fiom? Immersi nel vuoto culturale proprio di chi ignora che la stessa libertà umana è il risultato di un processo storico aperto ancora oggi che è liberazione della condizione umana dai meccanismi del capitalismo, processo storico che apertamente si invita e si vuole ignorare, i due presuppongono e si coprono dietro la presunta libertà che con la fine di ogni narrazione ci donerebbe un postmodernismo che assieme al passato cancella la speranza di un futuro mondo di trasformazione-rivoluzione sociale. 

Nel momento stesso, cioè, in cui si conferma che STORICAMENTE “IL CAPITALISMO E’ FINITO MA NON FINISCE MAI DI FINIRE” (Bloch) e che in tale sua lunga agonia trascina e travolge tutti e tutto, si sposano le teorie della Trilateral capitalista di Huntington, perseverando nel riproporre una versione ecologista della “fine della storia” (teoria che per tanto e quanto è fallita, viene squalificata dagli stessi capitalisti). 

Passi per Casarini ma un po’ meno per Rinaldini, l’idea che in tale presunta libertà “dalla” storia,– anziché una ricostruzione dell’unità del sapere e delle scienze e conoscenze frammentate – si debba perseguire “strada facendo” una specie di marmellata dove -scrivono –  “cambiano i ruoli, si mescolano le competenze” e “sull’economia che vogliamo improntata sulla possibilità di generare un sistema giusto…” (in base a quale teoria economica? Ad una teoria ed economia politica capitalista e quindi ad una politica economica che coerentemente produce tutto ciò di cui sapete solo lamentarvi?). 

Cianfrusaglie o delirio di chi ormai non sa più raccapezzarsi di fronte all’offensiva di un capitalismo ben consapevole che non si può spezzare la continuità della storia e del processo storico,  capitalismo di cui non sanno più analizzare in modo e con metodo organico, i rapporti tra sistema istituzionale degli stati e delle sovranazionalità e il capitalismo finanziario (nato oltre 100 anni fa e non negli anni 1990 come si è fatto dire sul Manifesto al socialista Ruffolo teorico del centralismo economico antisindacale e antiautonomie locali degli anni 60-70: vedi caro Rinaldini come è facile far sembrare nuovo ciò che è vetero quando si cancella la storia?) 

Insomma pensiero corto e testa vuota, priva di teoria e storia, cammin facendo nascerebbe qualcosa di simile a tutto ciò che li portava a denunciare Tony Blair come una Thatcher senza la borsetta e che ora con nuovismo e presentismo chiamano “nuova cultura”. 

Al coperto della quale credono di nascondere il vuoto culturale e politico e di strategia “minima” che li attanaglia: si che cadono nella vetero cultura pseudo socialdemocratica, parlando di “stato sociale” o addirittura, con vetero americanismo, di “Welfare”: caro Gianni Rinaldini, chiedi a tuo fratello se quando la classe operaia – che neanche nominate come classe – e le forze democratico-sociali vincevano, rivendicavano uno “stato sociale” o un americano “stato del benessere” (Welfare): all’opposto, quello che si rivendicava era un potere come spazio di libertà di decisione, di autonomia e di autonoma partecipazione alle scelte generali (come recita la Carta italiana del 900):  senza un tale spazio di potere, vi rifate soltanto ad una “sacrosanta rabbia” che non potrà mai diventare “alternativa politica”. 
Il linguaggio esprime una filosofia, una concezione del mondo. Quella che voi esprimete con parole come welfare, diritti e addirittura tutele (di tutele non si parla più nemmeno per i bambini, considerati ormai un soggetto generale e soggetti di potere che li garantisce come soggetti di diritto) é una concezione del capitalismo; una concezione capitalista della vetero cultura liberal-democratica, per cui vi spingete a chiedere come massimo “un sistema giusto e di redistribuzione equa della ricchezza prodotta” (sic) una società “ecologica” (confermando che l’ecologia è nata da destra ed è stata introdotta dalla destra DC – leggete la storia invece di cancellarla – per contrapporsi alla programmazione e alla trasformazione sociale-socialista che improntava le lotte operaie e la strategia sindacale e comunista). In più, con l’enfasi su “un reddito di cittadinanza” vi adeguate alla funzione con cui la Thatcher – assunta da Blair garantiva emolumenti ad una parte di società per abbandonarla a se stessa, per curarsi e dedicarsi alle parti c.d. più “dinamiche”. Ed in tale blairismo chiamate addirittura “beni comuni” quelli che sono “beni collettivi”.

Ancora, parlando di rappresentanza e di “elezioni subito” come qualsiasi Bersani o D’Alema, rivendicate con americanismo il codismo presidenzialista delle primarie, senza neanche che vi sfiori l’idea di accennare e tantomeno rivendicare non “un” ma “il” proporzionale: perché non avete la più pallida idea di che cosa state parlando e ripetete solo i luoghi comuni della pseudo sinistra del PD e della asinistra sedicente comunista. 

Un movimentismo fine a se stesso per il quale vorreste dare una mano per una nuova-Europa (?) senza neanche un accenno alla sua natura di blocco storico del capitalismo atlantico per la quale una nuovo Europa comporta almeno dire che non sia “capitalista” (visto che non vi sfiora anche solo accennare a parole, ad un fine di socializzazione e di socialismo) e per il quale sarebbe più importante e necessario un nuovo internazionalismo della classe operaia e lavoratrice: non c’è cenno in tutto l’articolo, agli operai e ai lavoratori e tanto meno all’impresa e al sistema di potere delle imprese del capitale finanziario, cioè industriale-bancario. Dopo di che potete far solo verbalismi e ginnastica movimentistica fine a se stessa.

Allora ci sentiamo di dire meno male che vi tolgono lo stato sociale e i diritti, che cancellano i contratti e i diritti del lavoro come è giusto che sia nelle misura in cui voi avete colpevolmente collaborato e consentito col vostro vuoto culturale e politico e abbandono di strategia e teoria.

Quasi facendoci sentire la vostra voce vibrare come quella dei parroci di campagna quando invocano la strada della redenzione e della salvezza avete scritto : “Mobilitazione e programma debbono tornare ad essere due aspetti comunicanti” (ma va là?) perché, voi dite, “dobbiamo sapere perché scendiamo nelle strade” (ben detto! Se non lo sapete voi…) 

Allora sapete cosa vi diciamo? Che oltre a togliervi tutto quello che fa parte delle concessioni del capitalismo a cui vi appellate affinché ve lo conceda ancora, sarebbe bene decidessero che chi si appella a qualche concessione da parte del capitalismo e che da solo fastidio come può darlo una mosca, debba essere messo in galera, affinché lì e come negli anni del fascismo possa tornare a studiare ed approfondire la storia, a capire come funziona oggi il COMANDO DEL CAPITALE, la natura e il funzionamento del capitalismo che togliendovi tutto quello che chiedete vi conceda, fa semplicemente facendo il suo “dovere”; lì, in carcere, potrete riflettere su come e con quale strategia di trasformazione e rivoluzione sociale e democratica combatterlo ed abbatterlo, contribuendo a superare l’attuale non-contemporaneità tra tempo fattuale e tempo destinale risultante dalla constatazione che storicamente “il capitalismo è finito ma non finisce mai di finire” ma ancora non coincidono e occorre far coincidere il tempo dei fatti e il tempo del senso della storia. Invece del simulacro di libertà “dalla” storia che ci proponete con la mistificante “fine della storia”, forse in galera potrete finalmente sentirvi davvero liberi. E studiare e capire e approfondire veramente. 

Da Togliatti a Casarini-Rinaldiniultima modifica: 2011-09-13T00:10:00+02:00da iskra2010
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