Dall’abolizione del proporzionale a primato degli esecutivi su Parlamento e sovranità popolare. Sito proporzionale integrale

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di Angelo Ruggeri

Lezioni della storia.

“Democrazia costituzionale” solo “formale” o “democrazia sociale” anche “sostanziale” e “formale”?

La via tedesca della subalternità del Parlamento al governo.

Si sapeva e si diceva già tutto quello che oggi si verifica.

Citazione:Una Costituzione, quella tedesca,nella quale la contradditorietà tra regole che riguardano la produzione e regole sulla redistribuzione del reddito è persino sancita da norme – del tutto assenti nella nostra Costituzione e che sono state introdotte abusivamente con l’istituzione dal 1978, della cosidetta “Legge finanziaria” – miranti al “pareggio” del Bilancio federale tedesco e culminanti nella espressa subordinazione del Bundestag al Governo federaledi tutta la politica della spesa e delle entrate, da cui dipende, per altro, il fondamento e la effettività del cosidetto “stato sociale” di quella che si dice e si predica essere una “economia sociale di mercato” (sic!), che viene contrapposta proprio alla “democrazia politica, economica e sociale“, di cui all‘articolo 3 della Costituzione Italiana(dall’articolo del 4-5-1996, riportato più sotto, in successione) .

Citazione: quello che viene fatto passare per decentramento, altro non è che la suddivisione istituzionalizzata di competenze tra i vertici di stato e regioni-membri, sì chela politica della spesa pubblica ispirata dal “federale” in connessione con il FMI e l’Unione monetaria europea, sarebbe poi manovrata incontrollatamente in ambiti territoriali nei quali le autonomie politiche e sociali sarebbero fatalmente mortificate, al di là della facile enfasi letteraria sul cosidetto “federalismo corporativo solidale” (dall’articolo del 25-5-1996 riportato in sucessione qui sotto).

In questi stessi giorni, intervenendo direttamente ed argomentando in nome della democrazia e deldiritto “sostanziale” e non solo “formale”, richiamandoci anche a Santi Romano, siamo stati impegnati ed abbiamo ottenuto (ad es.) un nuovo decreto prefettizio che recede dalla precedente decisione di respingere la richiesta inoltrata per via legale tramite avvocato, dopo che al termine del confronto personale (col prefetto) ci é stato chiesto di replicare quanto era stato precedentemente respinto. A dimostrazione dell’importanza del diritto “sostanziale” e delle vicende in cui, nei decenni, si è polarizzata la lotta e l’antitesi tra teorie delle democrazia formale e teorie della democrazia sostanziale.

Possiamo dire che per quanto ci riguarda, sempre e ricorrendo alla forza del diritto e non al diritto della forza nell’esecizio delle nostre funzioni, tenendo in mano e usando la Costituzione e alla sua luce interpretando la legislazione vigente, sempre e senza essere avvocati abbiamo sempre “vinto”: negli organismi di baseed in quelli scolastici sia come presidente del Consiglio scolastico n. 1 che come semplice consigliere di Distretto, di Circolo o di Liceo, sia nell’esercizio della funzione dell’associazione di garanzia dei diritti dei minori e dei ragazzi, sia per quelli di giusta causa ed anche quelli nei confronti di organi regionali statali. Nei ricorsi e nelle denunce abbiamo sempre ottenuto successo nell’affermazione del potere di base rispetto ai vertici burocratici (in un caso facendo venire l’esaurimento nervoso per perdita di potere a qualche direttore), sempre e senza essere avvocati abbiamo “vinto” (spesso mettendo alla berlina alcuni avvocati ed anche i nostri come ci è capitato di fare in una trasmissione televisiva che si chiamava “fuori dai denti”), in virtù del diritto sostanziale derivato dal nuovo diritto costituzionale della nostra Costituzione di democrazia “sostanziale” e non solo di democrazia formale, Costituzione che, negli ultimi decenni, è stata attaccata da tutti e, senza avere più chi la difende (salvo pochi), si è difesa praticamente da sola e per ciò, pur “modificata” e rovesciata in punti sostanziali riguardanti il sociale e il politico e la sua natura di democrazia-sociale, ancora formalmente ma perciò, non irrilevantemente, rimane in vigore.

Il rilievo va dunque fatto rimarcando che in tale contesto di una tendenza di fondo, il “caso italiano”ad onta delle “europeizzazione”mantiene una su peculiarità: sia diversamente da quel che illustra il “caso della Francia”, dominato anche in sede costituzionale dal ruolo di De Gaulle addirittura dal 1945, dove dal 1948 non vige più la Costituzione simile a quella italiana, sia per la residualità di una coscienza democratica di massa in posizione statica e meramente difensiva, che, a stento, può sfuggire all’omologazione con l’ormai diffusa subalternità assunta – all’ombra di un “europeismo” restauratore – dai gruppi dirigenti di una “sinistra” politica e sindacale che si contrastano con la destra per obiettivi di mera gestione del potere politico, senza la necessaria discriminante sul decisivo terreno sociale.

Senza sminuire l’incidenza negativa di unatendenziale insensibilità/estraneità delle forze dette “comuniste” e della “sinistra” (dirigenti di partito e di sindacato, intellettuali “specialisti” come filosofi, storici, sociologi, economisti oltre che, e soprattutto, “giuristi”) ai problemi del rapporto tra lotta di classe e diritto a cominciare dalla “Costituzione”, dobbiamo denunciare di fronte all’iter cui il progetto di “revisione della Seconda Parte” della Costituzione italiana del 1948 è pervenuto con la modifica anche dell’art. 81, (dopo oltre trentanni di avvio della strategia delle “riforme istituzionali“) la fase che segna pericolosamente sul piano prima della cultura e poi della politica, il prevalere di un revisionismo che accomuna il più visibile tentativo “berlusconiano” di rovesciare la portata degli esiti della sconfitta del nazifascismo, con il più mistificatorio, ma operativamente penetrante, revisionismo giuridico,dei c.d. “giuristi democratici” della “sinistra” come ad es. Gianni Ferrara,la cui specifica portata è quella di omologare, con “tecniche” disparate ma univoche, persino le più distanti concezioni del potere ispirantisi alle diverse “filosofie politiche”, e relative “teorie politiche” dello stato.

 

“DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE” SOLO “FORMALE”, O “DEMOCRAZIA SOCIALE” ANCHE “SOSTANZIALE”?

Sulla contraddizione del combattere il presidenzialismo in nome del rafforzamento dell’esecutivo

12-4-1996 – Salvatore d’Albergo e Angelo Ruggeri

Di fronte all’improvviso soprassalto della cultura democratica, soprattutto non istituzionalista, contro i rischi del presidenzialismo, e al ritardo con cui ci si sta rendendo conto delle implicazioni nefaste del concorso dato dalla “sinistra di governo” all’abbattimento della proporzionale, sembra necessario cogliere l’occasione dell’allarme in atto in favore della “democrazia costituzionale” per sottolineare l’insufficienza di una demonizzazione del plebiscitarismo – comunque indispensabile – se non accompagnata dal rilancio di quei valori di democrazia che caratterizzano, nei Principi Fondamentali e nella Prima Parte della Costituzione del 1948, il primato della socialità contro il sempre incombente ritorno restauratore del potere degli apparati, più o meno “personalizzati”, di tutela degli interessi del capitalismo privato.

Per fermare realmente il processo, pericolosamente avviato dall’apertura alla strada dell’uninominale con una adesione acritica all’attacco al sistema dei partiti e della democrazia organizzata, occorre riflettere sull’oggettivo concorso dato da sinistra alla deriva presidenzialista con la rivendicazione, del tutto staccata e contrapponibile alla garanzia dei valori sociali del nostro regime costituzionale, di quelle che vengono chiamate “riforme volte a rimediare alla crisi delle nostre istituzioni“, e che si ispirano a principi opposti rispetto a quelli invocati negli anni ’70 per democratizzare – insieme – la società e lo Stato, contro le deformazioni imposte dal centrismo e dal centrosinistra alla nostra democrazia parlamentare, con le conseguenze che sono sotto i nostri occhi per i guasti che testimoniano della gravità delle “deroghe” apportate agli istituti della nostra forma di governo – più in generale alla Seconda Parte della Costituzione – proprio per impedire che su tali basi potessero attuarsi i principi sostanziali della “democrazia sociale”.

Ripristinare la Seconda Parte della Costituzione per fare valere i principi delle Prima Parte

Va infatti chiarito a quali condizioni è possibile arrestare il riflusso verso l’autoritarismo plebiscitario, che ha preso corpo man mano che – in nome di una proclamata “cultura di governo” – è divenuta dominante tra i gruppi dirigenti e i politologi-istituzionalisti della “sinistra storica”, non già l’esigenza di ripristinare l’uso corretto della Seconda Parte della Costituzione per far valere i principi contenuti nella Prima Parte e riprendere il cammino delle riforme sociali. Ma, proprio al contrario, quella di convogliare – sulla linea di tendenza sempre sostenuta ideologicamente dalla destra sociale e politica – l’attenzione e la preoccupazione dei lavoratori e dei cittadini democratici, in nome di una “governabilità” e di una “stabilità” di governo che contro la “rappresentatività”, il “pluralismo sociale” e il sistema dei partiti, sono state sempre invocate dalle forze che hanno subito il “compromesso costituzionale” e che hanno contribuito a devastare il nostro regime sociale e politico, pur di sottrarre il sistema delle imprese ai vincoli sociali e politici previsti nella Prima Parte della Costituzione, per avviare un processo di emancipazione della società italiana progettato nei Principi Fondamentali e culminati nell’obbligo di rimuovere gli ostacoli economici e sociali ad una piena eguaglianza prevista dall’art. 3 secondo comma della Costituzione.

La via tedesca della subalternità del Parlamento al governo

Se, pertanto, l’invocazione della “democrazia costituzionale” non implica un passo indietro della cultura democratica volto a considerare come massimo valore conseguibile quello della tradizionale democrazia “formale” di stampo liberale – con una rinuncia a far valere come norme-guida le norme della democrazia “sostanziale che caratterizzano la Costituzione italiana-, occorre rifiutare ogni richiamo ad esempi di costituzionalismo occidentale che sia imperniato sul “rafforzamento dell’esecutivo” e sulla “stabilità del governo” che, come tali, sono strumenti di supporto di forme di stato nelle quali non vi è la costituzionalizzazione del diritto di sciopero, né della programmazionea fini socialidell’attività economica, anche privata. Il che risulta anche dal testo della Legge Fondamentale della Germania Federale, nella quale non solo manca legittimità al controllo sociale e politico dell’impresa privata, ma sono presenti principi che vincolano il Bilancio dello Stato federale “all’equilibrio economico generale”, e per esso al tipo di aumento di spesa che abbia l’assenso del Governo Federale, con una subalternità del Parlamento alle scelte dell’esecutivo che in Italia è reso possibile solo dall’introduzione del ben noto meccanismo della “legge finanziaria” di assai dubbia costituzionalità.

L’arretratezza democratica della “Kanzlerdemokratie”

Vana è, pertanto, la spendita dell’autorità di Dossetti – valida nei termini di quel che il leader dei cattolici di sinistra sostenne alla Costituente in convergenza con Togliatti – per avvallare oggi il modello della Costituzione di Bonn, molto più arretrato del modello della Costituzione italiana, sia per la differenza tra i Principi Fondamentali e la Prima Parte di quest’ultima e i Diritti Fondamentali iscritti nel modello di Bonn, sia – e conseguentemente – per l’inconfondibilità tra la forma di governo parlamentare italiana e quello che, non a caso, – come variante dei cosiddetti parlamentarismi “razionalizzati” – viene definita “Kanzlerdemokratie” proprio a sottolineare che sia per il modo della sua nomina tramite elezione, sia per il tipo di potere di indirizzo politico, ha più assonanze con il Presidente americano che con il Premier inglese, in un quadro istituzionale segnato diversamente da quello italiano da tratti importanti come: la norma sui partiti, che è valsa a far dichiarare incostituzionale non solo il partito neonazista, ma anche il partito comunista, in quanto ritenuto anch’esso contrario “all’ordinamento democratico e liberale”; e le norme sulla perdita dei diritti fondamentali e sulla introduzione dello “stato di tensione” e sullo “stato di emergenza legislativa“.

Un governo ad immagine dell’impresa manageriale?

Al contrario, e proprio per ripristinare le condizioni di credibilità della democrazia venute meno a partire dalla prassi corruttrice del trio Craxi-Andreotti-Forlani debolmente contrastata dal Pci, va rilanciato il sistema dei principi di democrazia pluralistica e conflittuale la cui vitalità è legata alla ripresa di iniziativa della base sociale dei partiti e dei sindacati, oggi repressa, compressa e demotivata dall’assunzione, da parte dei dirigenti politici immemori dei valori della Resistenza e della presenza nella Costituzione di idee-forza contrarie a quella su cui ha sempre fatto leva la destra. Una destra che non ha atteso la “rivoluzione” informatica per rivendicare autonomia dalla società e dai lavoratori e il rafforzamento dell’esecutivo a immagine dell’impresa manageriale.

Il Presidenzialismo è certo un pericolo grave e incombente, ma lo si può rimuovere, non già riaffermando che “non va demonizzato”, né invocando soluzioni istituzionali tutte equivalenti al di là delle varianti formali, ma bensì rilanciando i valori della Prima Parte della Costituzione con proposte che superino le angustie dello “stato sociale” e rappropriando quindi i valori istituzionali di una forma di governo parlamentare il cui modello, oltretutto, solo a tratti si è potuto concretare all’inizio degli anni ’70. Tanto più che altrimenti, grave è il rischio di un aggravamento delle condizioni della presenza dell’Italia nella Comunità Europea, la quale ha sin qui bandito ogni anche formalistico riferimento ai diritti sociali e ad un ruolo effettivo del Parlamento europeo, espressione di un conclamato “deficit democratico”.

Milano 12 aprile 1996 Salvatore d’Albergo e Angelo RuggeriMovimento Antifascista per la Difesa e il Rilancio della Costituzione

 

Per un dibattito istituzionale che parta dal conflitto degli interessi sociali e non dalla “ingegneria istituzionale”(ingegneria giuridica e dei giuristi alla Gianni Ferrara e &)

L’impennata, in Italia come in Germania, della sinistra politica e dei sindacati contro il Cancellierato come ritorsione critica alla proposta del governo Kohl per un giro di vite contro lo “stato sociale”, evidenzia la necessità di ritornare ad una analisi congiunta e non separata deirapporti “istituzionali” e dei rapporti “di classe”, in una fase storica nella quale le valutazioni intorno al passaggio dal fordismo al toyotismo, non paiono tali da giustificare una scissione tra aspetti “strutturali” e “sovrastrutturali” della realtà e dei conflitti sempre più acuti susseguentisi nella società.

Più precisamente, risulta indispensabile riflettere sull’infondatezza dei richiami che dal PPI a RC – per sollecitazioni di una parte della cultura giuridica che mira soltanto a difendere la “democrazia formale” come democrazia politica, che è inidonea a costituire la precondizione della “democrazia sostanziale” – sono stati fatti a favore del “Cacellierato”, come valido contrafforte al presidenzialismo. Infondatezza che può essere agevolmente argomentata ove si commisurino i rapporti istituzionali imperniati sul Cancellierato, alla qualità delle norme costituzionali della “Legge Fondamentale” della Repubblica di Bonn, nella quale mancano i principi che più qualificano la Costituzione italianaper il controllo sociale e politico dell’accumulazione capitalistica.

Una Costituzione, quella tedesca, nella quale la contradditorietà tra regole che riguardano la produzione e regole sulla redistribuzione del reddito è persino sancita da norme – del tutto assenti nella nostra Costituzione e che sono state introdotte abusivamente con l’istituzione dal 1978 della cosidetta “Legge finanziaria” – miranti al “pareggio” del Bilancio federale tedesco e culminanti nella espressa subordinazione del Bundestag al Governo federale di tutta la politica della spesa e delle entrate, da cui dipende, per altro, il fondamento e la effettività del cosidetto “stato sociale” di quella che si dice, e si predica, essere una “economia sociale di mercato“, che viene contrapposta proprio alla “democrazia politica, economica e sociale“, di cui all‘articolo 3 della Costituzione Italiana. Costituzione italiana che invece ha coerentemente rifiutato la “Kanzlerdemocratie” e che per ciò non abbisogna certo di ulteriori “rafforzamenti dell’esecutivo”, specialmente se si tiene presente il DEFICIT DEMOCRATICO del sistema dei Trattati che hanno portato alla normativa di Maastricht.

Ora che a sinistra, e specie nel “Manifesto”, è maturata l’esigenza di recuperare la forza delle idee (ci eravamo illusi) a sostegno dei rapporti di forza politici, si potrebbe e dovrebbe aprire un dibattito volto a chiarire che cosa si intenda per “democrazia costituzionale” in rapporto al conflitto degli interessi sociali, per cercare finalmente di partire dall’analisi dei dati concreti e non dalle “ingegnerie istituzionali”.

Milano 4/5/96 Angelo Ruggeri – Movimento Antifascista per il Rilancio e la Difesa della Costituzione

 

Le implicazioni verticistiche del federalismo come pluricentralismo

L’idea che, puntando sul federalismo, si ponga perciò in disparte la questione del presidenzialismo, rivela tutto l’imbarazzo con cui i “progressisti” continuano ad affrontare i problemi delle “riforme istituzionali” sotto la spinta di una scelta posta anche dal PDS, e secondo cui la “svolta” consisterebbe nell’assumere, a sinistra, una linea prima privilegiata dalla destra, come in Francia con Mitterand, una volta che non si punta più a “democratizzare” la società (in nome del socialismo), ma semplicemente a “governare”.

Ma, fatto sì è che il “neofitismo” improvvisato e con scarse basi culturali, impedisce di cogliere le interdipendenze esistenti tra tutti gli aspetti delle riforme istituzionali,sì che il federalismo è facilmente collegabile al presidenzialismo, ciò che può sfuggire solo a chi, erroneamente, scambia per “decentramento” un federalismo che per sua natura tende a dare una versione aggiornata, e più “moderna”, ad un accentramento articolato tra più stati-membri o regioni-membri, ristrutturando a favore dei gruppi dirigenti e non certo a favore dell’autonomia sociale, un’organizzazione del potere che erigerebbe non più uno, ma due livelli di apparati verticistici a danno delle forze sociali.

In tale contesto – già segnato dal nuovo verticismo presidenzial-manageriale con cui si eleggono direttamente i sindaci e i presidenti di provincie e regioni – quello che viene fatto passare per decentramento, altro non è che la suddivisione istituzionalizzata di competenze tra i vertici degli stati o regioni-membri, sì che la politica della spesa pubblica ispirata dal “federale” in connessione con il FMI e l’Unione monetaria europea, sarebbe poi manovrata, incontrollatamente, in ambiti territoriali nei quali le autonomie politiche e sociali sarebbero fatalmente mortificate, al di là della facile enfasi letteraria sul cosidetto “federalismo corporativo solidale”.

Imbracciando la tesi, avanzata dalla destra sin dall’entrata in vigore della Costituzione che occorre passare alla “seconda repubblica”, e secondo cui è “innovatore” non più chi punta a trasformare i rapporti sociali, ma chi vuole governare in modo efficiente la società “rafforzando l’esecutivo”, si è caduti in una mania dalla quale non si può uscire dignitosamente se non facendo una tempestiva autocritica circa l’effetto destabilizzante che il solo convenire sul federalismo ha già avuto e ancor più avrà, stante l’implicita abrogazione dei più qualificanti principi contenuti nella Prima Parte della Costituzione, una volta che si modificasse la Seconda Parte, che è strettamente funzionale sia ai Principi Fondamentali che alla Prima Parte : come stà a dimostrare il rilancio – questa volta più insistito – della proposta di eleggere una “assemblea costituente” che, scopertamente, punta a passare dalla Repubblica “fondata sul lavoro”, alla Repubblica fondata “sulla produzione di ricchezza”.

Milano 25/5/96 Angelo RuggeriMovimento Antifascista per la Difesa e il Rilancio della Costituzione

Dall’abolizione del proporzionale a primato degli esecutivi su Parlamento e sovranità popolare. Sito proporzionale integraleultima modifica: 2012-04-15T08:32:00+02:00da iskra2010
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