UN APPRENDISTA STREGONE DI NOME BOBBIO.

 

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da Angelo Ruggeri

C’è più di una ragione che, nel dopoguerra, nel giro di pochi anni, portò alla totale scomparsa del Partito d’Azione. Non solo era il solo partito che, oltre al MSI fascista che però non era presente nella Costituente – alla Costituente proponeva e si batteva per il presidenzialismo e il federalismo (Bobbio scrisse addirittura un libercolo di invocazione a favore degli “Stati Uniti d’Europa”) e, per ciò, si trovò fuori e dal quadro democratico delineato dalla Costituzione della “Repubblica democratica e antifascista fondata sul lavoro e sulla Resistenza”. Ma il Partito d’Azione rappresentava anche un antifascismo isterico della borghesia, più faziosoche sostanzioso, equivalente della faziosità fascista. Per questo a suo discapito venne scelto l’antifascismo sostanzioso, sociale e comunista del Pci e del movimento popolare che, in quegli anni, era collegato e attraversava tanti e vari partiti della Costituente. L’antifascismo della Costituente, non solo non era isterico come quello di chi, con Calamandrei, voleva una Repubblica presidenzialista e federalista, cioè antisociale e antipopolare e verticistica e centralistica e monocratica e autoritaria, quindi antidemocratica; ma è un antifascismo sociale e culturale, economico-politico-istituzionale(con il trattino che rende inscindibile un termine dall’altro) a segnare la differenza che corre tra democrazia e liberalismo, sancito dalla nostra Costituzione, attraversata ovunque dal filo rosso del principio autonomistico (autonomie sociali dei lavoratori cittadini, autonomie politiche e istituzionali di partiti, comuni, provincie e regioni, autonomie religiose, ecc.). Una Costituzione che ha coerentemente sviluppato le forme istituzionali e politiche della Seconda Parte della Costituzione in un tutt’uno unitario e inscindibile, con il condensato dei Principi e della Prima Parte della Costituzione, in cui governo e istituzione non fossero e non possono essere prevaricanti rispetto alla società come avviene con l’autoritarismo dello stato liberale, ma fossero al servizio della società come avviene e deve essere nella democrazia.

Non si può imbrogliare e mistificare come tanti a sinistra e Bobbio stesso, dicendo “la seconda parte sì, ma non la prima parte”: perché le modifiche della seconda parte della Costituzione incidono e riformano anche i principi e i valori della prima parte.

I fallimentari protagonisti dell’esperienza del Partito d’Azione si sono erti e vogliono continuare ad essere oggi, i soli curatori fallimentari della Costituzione italiana, vogliono curare e portare al fallimento, loro e a loro modo, la Repubblica democratica e antifascista fondata sul lavoro e la Resistenza. Non sono contro le modifiche ai valori su cui si fonda la nostra Repubblica, ma solo al modo come Berlusconi vuole fare la stessa cosa.

Per questo, dopo aver picconato teoricamente e politicamente le basi ideali e sociali della democrazia, dall’antifascismo al lavoro con il loro anticomunismo e antipopolarismo antioperaio; dopo aver picconato le basi istituzionali della democrazia con l’introduzione del potere monocratico e il presidenzialismo manageriale nella sanità e nelle scuole, nei comuni, nelle Provincie e nelle Regioni e con il pseudo-federalismo che non solo non è autonomia ma non è nemmeno decentramento, in quanto lo stato federale eleva tutto a rapporti centrali (tra vertici nazionali, regionali e locali); dopo aver picconato le basi politiche della democrazia picconando i movimenti, le organizzazioni e i partiti di massa in qualche caso “abrogandoli” come il Pci, negli altri rovesciando nella prassi l’articolo 49 della Costituzione e con la teorizzazionebobbiana e craxianadel primato degli esecutivi sulle assemblee, del governo sul Parlamento, delle segreterie di partito sulla base sociale dei cittadini-lavoratori che invece, per Costituzione, debbono concorrere con metodo democratico (art. 49) alle decisioni e alle scelte politiche ed economiche nazionali (non solo a quelle amministrative e locali); a sanzione di tutto questo è stato introdotto il sistema elettorale e uninominale e maggioritario settecentesco, pre fascista e fascista, in luogo del nuovo e democratico sistema proporzionale che è stato ed è tutt’uno con la Costituzione e la democrazia.

Dopo aver evocato e praticato teorie, culture, politiche e pratiche economiche, sociali e istituzionali antidemocratiche e di destra, gridano “al lupo”, ancora una volta in modo soltanto isterico, senza vera battaglia teoretica e pratica contro la destra e la sua cultura: gridano al pericolo per la democrazia, senza spiegare, senza dire e forse senza capire da dove e perché viene ed è potuto arrivare, un pericolo da destra per la democrazia.

Come apprendisti stregoni hanno evocato l’anticomunismo senza sapere (?) che con l’anticomunismo (termine comprensivo di molte cose) avanza il fascismo; hanno teorizzato lo stato di diritto autoritario e liberale, contro lo stato di democrazia sociale di diritto democratico; hanno contrapposto il diritto privato al diritto pubblico, il privato al pubblico e quindi il Codice Civile – fondato sull’impresa, sul diritto-privato e sui rapporti di forza e di proprietà – alla Costituzione fondata sul diritto-sociale-civile, e fondato non solo sul lavoro ma sul diritto del lavoro, non solo sull’antifascismo ma sul diritto antifascista (cioè democratico); non solo sulla pace ma sul diritto della pace, nazionale e internazionale che hanno calpestato persino (persino) con la guerra; e ora senza alcuna analisi autocritica, dicono di temere che un imprenditore legittimato culturalmente e politicamente dall’esaltazione da Loro fatta della cultura d’impresa, del diritto proprietario e del codice civile ( la cui razio rimane quella di quando fu approvato nel 1942 e contenente i dettami della Carta del Lavoro fascista del 1927), un imprenditore che è stato lanciato politicamente e istituzionalmente dal sistema elettorale uninominale e maggioritario, dicono possa mettere in pericolo la democrazia. Si rovescia insomma il rapporto di causa ed effetto.

Promemoria. 1987: per delegittimare la natura e le fondamenta dello stato democratico italiano occorre rimuovere le fondamenta teoriche della sua legittimazione(l’antifascismo e le sue travi portanti costituite dal partito di massa…che si accondiscenda alla delegittimazione storica e politica del principale protagonista della fondazione dello stato democratico italiano…(il Pci) è solo la manifestazione della perdita di autonomia, e della natura di massa della democrazia…per la costruzione di un partito-azienda di cui si stanno gettando le basi..” (A. Ruggeri e M. Martignoni, Le riforme istituzionali tra progetto P2 e cedimento del Pci e del sindacato, Il Bolscevico, marzo 1987).

1991: l’uninominale-maggioritario in Italia “significa che conterebbero solo persone che contano, come Raul Gardini, Berlusconi, ecc., che a loro volta sono centri di potere, gruppi di aggregazione corporativa di interessi, di clientele, di poteri spesso occulti (documento del “Movimento Antifascista per il Rilancio della Costituzione”, Milano 1991 (in Conflitti di classe e “riforme istituzionali”, Ed. “Il Lavoratore”).

1995: Craxiani, Dalemoni, P2 e legislazione antitrust: “Legislazione antimonopolio (modello USA”), questo uno dei tanti punti previsti dal “Piano di Rinascita democratica” della Loggia P2 di Gelli, subito a suo tempo ripreso daAmato per conto del Psi di Craxi e realizzato dal “pentapartito”, con la Legge Mammì. A questo quasi nessuno si è opposto e D’Alema, su La Stampa del 10 febbraio ha persino dichiarato:” sono venuti qui a ringraziarmi. Venne Gianni Letta a nome di Berlusconi per dirmi che la Fininvest aveva lealmente apprezzato il nostro atteggiamento” (Articolo della Stampa citato in P2 E LEGISLAZIONE ANTITRUST, A. Ruggeri, Il Lavoratore/Oltre 10 marzo 1995)

Chi è causa del proprio male pianga se stesso. Ci si risparmi almeno l’ipocrisia e l’allarmismo senza contenuti e dunque solo fazioso. Era ed è ovvio che con l’uninominale avrebbero contato i candidati dei vertici delle corporazioni e delle professioni, dei ceti di grido, di maggiore immagine ed entrature massmediologiche che poi pirandellianamente, cercano di apparire all’elettore “come tu mi vuoi”. Appartenenti alle stesse élite e agli stessi ceti, ma collocati in liste e sostenuti da lobby e corporazioni diverse: perché in ogni riga di una legge elettorale è contenuta la concezione dello stato, e nel maggioritario e contenuta la concezione di uno stato non democratico; anche per questo il maggioritario e anticostituzionale rispetto ad una costituzione democratica come la nostra.

Se davvero si avessero a cuore “i valori” della democrazia, non si griderebbe al pericolo (con qualche buffone di corte come Begnini, giuristi con una cultura di destra del diritto come Garrone, ex filosofi del diritto come Bobbio – non scrive un libro significativo di diritto da 40 anni – diventato un filosofo della politica e un sofista della politica, almeno a partire dai suoi contributi alla nascita e formazione del craxismo; e dux come Diego Novelli che imbrogliò e mistificò contro il proporzionale e per il sindaco elettivo, non solo mettendo in pericolo la democrazia ma calpestandola quando sostenne, anche a Varese, che il Comune – cioè l’ente sociale per eccellenza – è e deve essere gestito come un’azienda da un sindaco manager eletto direttamente nè si esalterebbe il personalismo e il presidenzialismo con una forma ancor più grave, perché surrettizia, di elezione diretta del capo del governo, facendo anticostituzionalmente stampare dallo stato le schede elettorali indicanti il prossimo premier e invitando; o invitando a tenere un confronto televisivo tra due candidati presidenti, in esclusione di tutti gli altri: come se i valori della nostra Costituzione e la democrazia fossero già stati sostituiti dal presidenzialismo; come se non ci fosse già più una Costituzione democratica ma avessimo già una Costituzione americana.

Il sovversivismo reazionario della “sinistra elettorale”. Tutto questo operare di questa “sinistra elettorale della destra” si chiama costituzione materiale, vale a dire una pratica che non attua “i valori fondamentali su cui poggia la Repubblica italiana”, ma i valori su cui poggiano altre costituzioni, non democratiche ma liberali; una pratica che non attua i principi ma li rovescia e li sovverte attraverso l’indirizzo politico di governo dei partiti che la teoria della costituzione materiale considera costituente e superiore alla Costituzione scritta: una teoria giuridica inventata dal nazismo e dal fascismo per sovvertire l’ordinamento costituzionale e democratico con gli atti di governo, senza cambiare la Costituzione: quanti “colpi di stato” tecnici, sono stati attuati e teorizzati da costoro e dalle “sinistra di governo” in tutti questi anni, utilizzando solo l’indirizzo di governo? Dalla trasformazione della res-pubblica in res-privata alla abrogazione sostanziale – e in parte anche formale – del diritto di sciopero, ci vorrebbe un libro per descrivere tutti i golpi bianchi e i colpi di stato tecnici operati dalla sinistra con la c.d. costituzione materiale: ma basta leggere il Piano della P2 per trovarvi l’elenco completo e che, non a caso, teorizzava proprio di operare in questo modo e che si chiamava “di rinascita democratica”.

Di quale democrazia parlano quindi? (e di quale Europa: visto che in pochi anni si è passati da critici ad euroimbecilli, proprio grazie a questa “sinistra elettoralistica” che, come quella storica che con Giolitti offriva al capitale industriale la possibilità di cambiare spalla al proprio fucile, così oggi questa “nuova vecchia sinistra storica” si offre come spalla di sinistra per il fucile del capitale finanziario europeo e internazionale).

Parlano di una democrazia solo formale, con cui quindi mettono già Loro in pericolo “i valori e i principi della Costituzione” che attribuiscono solo a Berlusconi di voler cambiare.

La “democrazia” del blind-trust economico, del bri-brac ideologico e del lib-lab politico. Una democrazia solo formale in cui basta un blind-trust per dare formalmente la parvenza della democrazia, come in America (il paese del dominio incontrastato dei trust e delle corporazioni, contro quindi la democrazia, che invece si mistifica cancellando le differenze storiche tra liberalismo e democrazia) come fatto con la proposta di legge della “sinistra”, che solo ora e strumentalmente si dice essere insufficiente, dopo che chi grida al lupo l’ha persino votata in Parlamento: se i valori della Costituzione sono messi in pericolo da Berlusconi, perché contro Berlusconi non si è applicato e non si parla mai di applicare l’articolo 43 della Costituzione, che avrebbe impedito la nascita stessa dell’anomalia e la cancellerebbe del tutto?

In verità si usa la Costituzione e la democrazia soltanto se, come e quando fa comodo, mentre si mette in pericolo la democrazia con le “proprie riforme” della Costituzione, e per difendere sé stessi e il proprio potere. Non si vuole difendere la democrazia ma il proprio ruolo di curatore fallimentare della stessa, contro altri curatori fallimentari che vogliono “riformare” (ma si dice “contro-riformare”, parola scomparsa dal linguaggio mistificante e mistificatorio di tali “sinistri” contro-riformatori).

Il problema di Berlusconi viene così dunque ridotto al fatto che lui “dichiara” di voler riformare i valori, non nel fatto che quei principi e valori vanno salvaguardati come valori, anche se, quando e da chi dichiara formalmente di voler riformare solo la seconda parte ma “riforma” sostanzialmente anche la prima, con l’ormai pienamente abbracciata “costituzione materiale” nazi-fascista.

Il Dalemonecesaristico della Commissione Bicamerale. Se Berlusconi (per calcoli suoi o meno) non avesse rotto con la Bicamerale di D’Alema che metteva in pericolo la democrazia non meno di quanto Berlusconi dichiara di voler forse fare, oggi già quei valori sarebbero già stati cambiati in modo globale e organico (e non solo a spezzoni come fatto con quanto sopra richiamato ed altro): sia attraverso le modifiche della seconda parte della C. che incidono e modificano anche la prima parte e i valori; sia attraverso il cesarismo implicito ed esplicito in tutto il lavoro e le proposte della Commissione Bicamerale di d’Alema; l’introduzione del presidenzialismo e del federalismo; il controllo politico sui magistrati, ecc., come ha fatto “in proprio” la sinistra elettoralistica con l’introduzione della sussidiarietà che è un rovesciamento dei valori e dei principi della Costituzione.

Berlusconi non è nato oggi e non è cresciuto da solo: è stato aiutato, favorito e sostenuto da molti, a incominciare da Craxi che dopo essere stato suo socio in affari nella Milano degli anni ’60, “ha dichiarato di voler riformare la prima parte della Costituzione, e cioè i valori fondamentali su cui poggia la Repubblica italiana” con “riforme politiche” e “riforme istituzionali” largamente praticate da coloro che oggi si dichiarano alternativi a Berlusconi e teorizzate proprio dal primo e dai primi firmatari di chi oggi si appella contro i “pericoli della democrazia”.

E’ il “filosofo della politica” Bobbio che già nel 1973 aveva avviato sulla pubblicistica del Psi un dibattito sulle istituzioni e la democrazia, aprendo un fronte culturale di lotta che dal 1973 al 1978 contribuì a quella crisi del processo di crescita della democrazia sociale che era in atto – sotto la spinta dei movimenti di lotta e di massa che stavano dando attuazione alla Costituzione (1) bloccata dalle forze conservatrici che avevano governato – movimenti che stava imponendo, tra l’altro, le Regioni: contro tutti i giuristi e i “filosofi del diritto” che fino ad allora dicevano “delegato non può delegare” (cioè il Parlamento non può delegare alle regioni); così Bobbio contribuì a quella crisi più complessiva da cui è derivato il passaggio dalla fase della democratizzazione della società e dello stato, alla fase della modernizzazione nel segno delle “riforme istituzionali”.

Il filosofo della politica, che è altro dal filosofo del diritto e soprattutto dal giurista, testimoniava così lo scopo politico e contingente del dibattito teorico che aveva avviato, dimostrando di avere di mira il significato delle lotte democratiche degli anni ’68-’75: A tal proposito precisando che le prevenzioni teoriche da lui dedotte assumendo come test il c.d. socialismo reale – importante ma certo non assolutizzabile – sarebbero altrettanto desumibili e applicabili a “quel cattivo sistema parlamentare che è il sistema italiano del 1976”, tenuto conto “delle difficoltà cui va incontro il processo di democratizzazione in corso” di cui denunciava il processo di democratizzazione in atto attraverso le forma della partecipazione diretta delle masse. 

Bobbio, la Trilateral e la P2.

Un giudizio non simile ma convergente con gli attacchi contemporanei mossi alla democrazia italiana dalla Commissione Trilaterale del 1975 (l’internazionale delle teste d’uovo del capitalismo, comprendente Agnelli e il famigerato segretario di stato di Nixon, Henri Kissinger, intimo di Agnelli) e dallo stesso Piano di Rinascita democratica della P2 di Licio Gelli (scoperto nell’ ’81 ma che è del ’75), in cui tutti hanno una base di partenza e identificano mezzi comuni: tutti partono dal riconoscimento che non si possono mettere in discussione i valori della democrazia (termine ricorrente quello dei valori, quasi si intendesse sottolineare che una cosa sono i valori formalmente proclamati, altra cosa la loro attuazione) per denunciare che devono essere posti dei limiti alla agibilità della democrazia, limiti da porre con riforme istituzionali e costituzionali (da cui la “grande riforma” proposta da Craxi), sulla base della preoccupazione ideologica dominante anche in Bobbio (come nella destra e nel moderatismo liberale) contro le trasformazioni del regime sociale e quindi del capitalismo.

Dal che si è anche capito che l’inesistenza di una teoria marxista dello stato di cui parlava Bobbio, e da cui il teorico della sinistra antimarxista era partito per aprire il fronte di lotta culturale contro il rischio di una trasformazione sociale e di una piena attuazione della Costituzione programmatica del 1948 verso cui e in nome della Costituzione spingeva un forte movimento democratico e di massa (Gelli, similmente, per spiegare il Piano P2 disse: perché i comunisti stanno vincendo con la democrazia), era dovuto esclusivamente ad un pregiudizio ideologico in base al quale Bobbio nega (involontariamente avvallando la sfiducia di quell’area grigia della società che guardava al terrorismo con simpatia e con speranza, e respingeva ogni ipotesi e possibilità di una trasformazione democratica e graduale del regime sociale e che non a caso dette qualche base di massa al terrorismo solo dopo le convergenze di governo DC-PCI contro i quali attuarono il rapimento di Moro non senza qualche simpatia del craxismo e altre aree della sinistra non marxista) la possibilità di una trasformazione del regime sociale capitalistico attraverso un processo rivoluzionario di lunga durata concretantesi mediante riforme, anziché con la violenza ed attraverso un regime di dittatura.

Il susseguirsi dei suoi interventi oltre che dei numerosi saggi raccolti in “Quale socialismo” (’76), “Il futuro della democrazia”(’84), “Stato, governo, società”(’85) denotano l’esistenza di una divaricazione in Bobbio tra l’intenzione di un approccio politico di sinistra democratica e l’approccio teorico conservatore e di destra in particolare rispetto:

a) il significato della Costituzione italiana di cui tende a liquidare come non giuridici gli aspetti più significativamente democratici e innovativi rispetto alla tradizione dell’autoritarismo liberale (fino al punto da arbitrariamente distinguere i discorsi alla Costituente in giuridici e politici, come se il politico non fosse esso stesso anche giuridico e in base ad una pregiudiziale ideologica secondo cui egli ritiene che non ci possano – o non ci debbano essere – altri modelli giuridici dopo e oltre quelli dello stato borghese e liberale) con ciò e già sol da questo creando la base teorica per una “riforma dei valori fondamentali su cui poggia la Repubblica italiana”, che sono appunto i valori della democrazia e non del tradizionale stato di diritto liberale, borghese e autoritario;

b) il rapporto assunto dai movimenti e tutelato dalla costituzione democratica (diversamente da una liberale) rispetto ai partiti e allo stato;

c) la portata e differenza tra i concetti di democrazia rappresentativa e democrazia diretta di base; tra democrazia formale e democrazia sostanziale, tra democrazia politica e democrazia sociale, nel contesto di una teoria del diritto e dello stato democratico e non solo nel contesto di uno teoria del diritto e dello stato liberale, da cui si confermano i suoi riferimenti ad una teoria affatto “democratica” ma liberale, borghese, autoritaria e di destra, della politica e dello stato.

E’ a causa di questa divaricazione che egli ha gettato le basi teoriche del craxismo e poi, visti i risultati politici, differenziarsi sulle conseguenze, così come fa oggi per il berlusconismo.

Bobbio e il craxismo-berlusconismo. Le sue teorizzazioni politologiche hanno costituito una base teorica convergente con i centri di potere del sovversivismo economico e capitalistico nazionale e internazionale; e con quelli dei centri del sovversivismo reazionario come le P2, costituendo l’humus culturale, politico e sociale del craxismo (che non era corruzione semmai aggiuntasi come conseguenza) e delle controriforme sociali e istituzionali degli anni ’80 e ’90, che hanno attaccato gli istituti e “i valori fondamentali su cui poggia la democrazia italiana”. Da questa convergenza teorica – con delle differenze tattiche e politiche e di potere e di interessi – contro “i valori della democrazia su cui poggia la nostra Repubblica”, deriva il fatto che molti si siano chiesti e si chiedano ripetutamente come mai il Piano P2 di Licio Gelli risulta essere stato praticamente tutto attuato e con il concorso di tutti, destra e sinistra, imprenditori e sindacati, intellettuali pseudo-democratici e antidemocratici.

Da questa convergenza, in ultima analisi, sono derivati e sorti il leghismo e il berlusconismo (e il pidiessimo), uniti nella lotta contro i valori e i fondamenti costituzionali e istituzionali della nostra Repubblica democratica.

A Berlusconi si offre la possibilità non di rompere la democrazia, ma semplicemente di continuare a fare ciò che fino ad ora ha teorizzato Bobbio e fatto una sinistra elitaria, aristocratica, antipopolare e antioperaia – e quindi per ragioni sociali e culturali anticomunista e antimarxista – che ha in odio gli istituti democratici di una Costituzione che ha contro tutti i vertici oligarchici di tutti i partiti, perché tutti hanno una sola idea del potere (nei partiti e quindi anche fuori), inteso come forma di comando dall’alto e di pochi su molti. Una forma di potere che la Costituzione democratica italiana, prima e sola, ha rovesciato sancendo una nuova forma di governo parlamentare che ha posto sullo stesso piano (non siamo ancora ad un rovesciamento totale, di potere “socialista” dal basso ) governo e Parlamento – prima subordinato al governo a sua volta dipendente dal re o dal presidente come avviene con il presidenzialismo. Con ciò rovesciando le forme tradizionali del potere duale e dall’alto dello stato assoluto e dello stato liberale, e riportando ad unità il potere della sovranità popolare nel Parlamento, nella assemblee elettive e nel controllo sociale e democratico dal basso delle imprese, dell’economia, dello stato e della pubblica amministrazione: con l’ente locale a fare da soggetto di partecipazione alla programmazione economica nazionale delle comunità locali e territoriali (sociale):

altro che il federalismo, con il quale le comunità locali non vedrebbero nemmeno con il cannocchiale i poteri che alle autonomie locali affida la Costituzione italiana, fondata non sullo stato persona giuridica, ma sullo stato comunità, cioè sulla Repubblica (comuni, provincie e regioni);

altro che le discussioni demenziali tra destra e sinistra elettorale su come privatizzare per destatalizzare i servizi, senza che ci sia uno solo tra tanti inintelligenti politici e intellettuali che chieda: “ma di grazia, quando mai la sanità in Italia è stata statale?”

La Costituzione italiana, unica e sola democratica tra tante liberali, ha superato veramente e in avanti il fascismo, senza porlo tra parentesi per tornare come niente fosse al prefascismo, autoritario e liberale; e ha dato una risposta storica, e democratica, alla grande crisi economica del 1929 e al fallimento storico e definitivo del liberalismo morto e sepolto; un liberalismo che sopravvive solo nelle mistificazioni ideologiche di chi oggi si preoccupa di sostenere e imporre valori e interessi privati e corporativi propri, contro la comunità e la società, chiamando ossimoricamente liberalismo ciò che non è altro che statalismo e intervento diretto dello stato a favore del privato e del mercato. Non si dimentichi del resto che lo statalismo nasce con la borghesia che ha “inventato” lo stato borghese e liberale: la matrice originaria dello statalismo non è “di sinistra” ma “di destra”.

Il tradimento dei valori della Costituzione. Con il superamento delle forme di potere duale e gerarchico dall’alto, si dovevano attuare sia la socializzazione che la riforma democratica – non quella aziendalistica – della pubblica amministrazione, prevista dalla Costituzione fin dal 1948 ma impedita, come tante altre riforme democratiche, dalla lotta politica e sociale condotta contro i valori della Costituzione dai partiti e dagli intellettuali conservatori e di destra e dai partiti e intellettuali conservatori di una sinistra affatto democratica ma solo liberale. 

Con le forme di controllo democratico dal basso, doveva derivare una programmazione democratica dell’economia (non una programmazione centralistica come quella sovietica e centralistica, antiautonomistica e antisindacale come quella del centro sinistra di Nenni e Lombardi e delle socialdemocrazie europee e dei Piani di settore e centralisti dei governi italiani degli anni ‘70) e ha posto limiti e controlli alle bramosie di potere di tutti i gruppi oligarchici e di tutti i capitale finanziario nazionale e internazionale partiti.

Bobbio è contro tutti questi valori e istituti su cui si fonda la Repubblica democratica italiana. Ed è persino contro la parificazione democratica dei poteri tra assemblee elettive ed esecutivi, è per il potere duale, autoritario e dall’alto – e presidenzialista con il partito d’azione – dello stato liberale derivato direttamente dallo stato assoluto e dalle monarchie costituzionali: Bobbio è cioè contro la socializzazione e la democratizzazione dello stato, della pubblica amministrazione, della società e dell’economia, è cioè contro “i valori
fondamentali
su cui poggia la Repubblica italiana”.

Il suo appello non va letto come una cosa con cui la sinistra si pone su un terreno diverso da quello della destra, ma come cosa con cui come al solito, la sinistra si pone in concorrenza sulla stesso terreno della destra: come quando nella sanità la sinistra diceva alla destra “le mie aziende (comunali) sono migliori delle tue (regionali)” – e poi il mio manager è migliore del tuo – così oggi pretende sostenere che la distruzione dei valori della democrazia italiana berlusconiana sarebbe peggiore di una distruzione bobbiana dei valori democratici.

Una sinistra elettorale che come e diversamente da Berlusconi continuerà e continuerebbe nell’opera di destrutturazione più o meno dichiarata e più o meno mistificata di “riformare” la Costituzione, anche nei suoi valori fondamentali.

In questo senso e solo in questo senso è vero che “destra e sinistra non c’entrano: è in gioco la democrazia”. Da difendere contro letre destre: la vecchia destra tradizionale; la nuova destra antisociale e anticomunista chiamata “sinistra”; la vera destra che per l’appunto appoggia la “nuova destra” chiamata “sinistra” anche con la propria stampa internazionale.

In ogni caso Berlusconi non è sorto oggi e non è cresciuto da solo: è stato aiutato, favorito, sostenuto e persino vezzeggiato e corteggiato. Non gli avessero permesso le televisioni private…Non gli avessero servito il piatto d’argento del maggioritario-uninominale…Non l’avessero inseguito sul suo terreno culturale e il comune terreno politico craxiano…

Non avesse rotto Lui con la Bicamerale di D’Alema oggi sarebbe al Quirinale, a fare il Presidente della Repubblica bipartisan. Al posto di Ciampi. Come Ciampi.

Chi ha sbagliato, e ripetutamente ed enormemente, faccia analisi autocritica oggi, oppure taccia per sempre. Non è morale né indice di rigore intellettuale, teorizzare e praticare una cosa e poi lamentarsi delle conseguenze e di chi vuole fare ciò che si è iniziato in proprio. Senza nemmeno cospargersi il capo, né “dimettersi” dalla posizione acquisita e ricominciare da capo. Dal basso. Dalla scuola di base. Dal lavoro manuale e faticoso. Non fosse altro per capire che cosa significa aver fatto del Profitto una variabile indipendente dell’economia, dopo aver criticato i Salari come variabili indipendente, portando in cinque anni di governo della sinistra elettorale alla quintuplicazione dei profitti e a una riduzione dei salari, come mai era avvenuto in passato, salvo che durante il fascismo. Portando una grande fetta dei lavoratori dipendenti al di sotto del livello di povertà. Grazie alla politica dei redditi di Cofferati, Amato e D’Alema, tante volte denunciata e ripudiata in passato, proprio perché si sapeva che questo era e a questo avrebbe portato.

(1Bobbio invece in un libro sul Novecento li delegittimava, dando inconsapevole vantaggio al terrorismo che vedeva riconosciuta la sua tesi secondo cui solo con la lotta armata si poteva ottenere giustizia sociale, contro l’opinione di chi sosteneva che era raggiungibile attuando la Costituzione e accrescendo la democrazia; come anche quando corse in soccorso di Craxi sostenendo, cialtronescamente – quando ci vuole ci vuole –, come un politicante qualsiasi, che il referendum non può essere per questioni economico-sociali come la scala mobile.

UN APPRENDISTA STREGONE DI NOME BOBBIO.ultima modifica: 2012-07-09T08:43:00+02:00da iskra2010
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