di Alice
Il principe di Metternich, arbitro della politica europea al congresso di Vienna, definì l’Italia un’espressione geografica. Poi, com’è noto, grazie alle tessiture del conte di Cavour e in virtù delle grazie della contessa di Castiglione, l’espressione geografica si trasformò in nazione, divenne Stato e partecipò, con la “grande guerra”, alla fine dell’impero d’Austria e dell’Europa.
A 150 anni dal miracolo iniziale, pare opportuna una riflessione.
Dietro gli occhialini e le basette del conte di Cavour e l’ovale perfetto e i capelli sciolti della contessa di Castiglione, dietro le barbe di Mazzini e Garibaldi e gli eroismi della “meglio” gioventù”, a ben vedere, si nascose la necessità della creazione del mercato nazionale.
A 150 anni di distanza il “ninno” nato allora è divenuto adulto e con Marchionne va alla conquista del mercato globale. La nazione nata dal combinato disposto di Cavour, degli eroi e delle eroine del Risorgimento, per i produttori di automobili e di ogni altra merce diviene una cornice stretta e asfissiante. Come un guscio d’uovo, lo Stato nato dal Risorgimento si frantuma innanzi all’avvento della globalizzazione: l’Italia torna ad essere un’espressione geografica, come la Mitteleuropa, come il mondo intero.
Come sfuggire alle servitù della nuova civiltà è un compito che si presenta nuovo alle forze sociali cui la “civiltà” capitalistica nuoce.
Fuori della cinta delle mura del sistema “globale” sarà bene cominciare a pensare a una civiltà altra, oltre che alternativa: bisogna immaginare e produrre automobili migliori e più belle di quelle che Marchionne fa costruire nei luoghi in cui costano di meno e inventare una “partita universale” in sostituzione della “partita doppia”.